Il Papa non è un diplomatico,
ma un profeta del Vangelo
In tempi di conflitti drammatici e devastanti come quelli di Gaza o della guerra tra Russia e Ucraina, molti si domandano perché il Papa non assuma posizioni nette, quasi come se fosse un capo di Stato chiamato a definire strategie militari o diplomatiche. Ma questa aspettativa tradisce un equivoco di fondo: la Chiesa cattolica non è un’agenzia umanitaria né un organismo politico internazionale. La sua natura è diversa, e la sua missione è più profonda.
Il compito di negoziare trattati di pace o di mediare tra potenze in conflitto spetta alle istituzioni civili — le Nazioni Unite, l’Unione Europea, gli Stati Uniti d’America, e tutte quelle organizzazioni che operano a livello geopolitico e diplomatico. Esse hanno strumenti e responsabilità concrete per fermare i combattimenti, alleviare le sofferenze delle popolazioni e costruire accordi stabili.
La Chiesa, invece, è chiamata ad altro. Come Cristo che non si fece portavoce delle lotte contro l’oppressione romana né delle stragi militari del suo tempo, ma annunciò il Regno di Dio e la misericordia del Padre, così oggi il Papa non è un politico né un generale. Egli è una guida spirituale che parla alla coscienza delle persone, che richiama tutti — potenti e umili, vincitori e vinti — alla conversione del cuore, alla riconciliazione, alla misericordia.
Leone XIV, come i suoi predecessori, non ignora la sofferenza dei popoli. Al contrario, la assume nel suo ministero universale pregando, denunciando l’ingiustizia del peccato e invitando a non spegnere la speranza. Egli non promette soluzioni geopolitiche: indica una pace diversa, più radicale, quella che nasce dal Vangelo e che sola può trasformare in profondità le relazioni tra gli uomini. Senza questa pace interiore e spirituale, ogni accordo politico resta fragile, ogni tregua rischia di essere provvisoria.
Chi chiede al Papa di diventare un diplomatico dimentica la sua vera missione: essere profeta, non stratega. Egli è chiamato a custodire l’annuncio di Cristo, a ricordare al mondo che la pace non si costruisce solo con firme e conferenze, ma con la conversione dei cuori e la capacità di riconoscere nell’altro un fratello. È proprio questa la forza unica della voce della Chiesa: non si confonde con i linguaggi della politica, ma li attraversa con la luce del Vangelo.
Difendere Leone XIV significa allora riconoscere che il suo silenzio diplomatico non è indifferenza, ma fedeltà al Vangelo; che la sua parola non è calcolo politico, ma profezia spirituale. La sua missione non è quella di fermare i carri armati, ma di toccare i cuori perché nessuno li faccia partire. (Carlo Silvano)
______________________
Commenti
Posta un commento