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Gli alunni incontrano l’uomo del mare Giulio Tochet

 

(qui sopra da dx verso sx: Marilena Spironello, Margherita Massaro, 

Giulio Tochet, Antonella Tochet e Carlo Silvano)

  

Gli alunni delle quarte D ed E

della scuola primaria "Tina Anselmi"

incontrano l’uomo del mare Giulio Tochet

Marcon (Venezia) – Lo scorso 18 ottobre le classi quarte D ed E della scuola primaria “Tina Anselmi” di Marcon, hanno ricevuto in aula un eccezionale maestro: il signor Giulio Tochet, classe 1929, che per due ore ha parlato di navigazione e comunicazioni marittime, offrendo agli alunni tante e utili nozioni di geografia e illustrando i più antichi e principali strumenti usati dai marinai per orientarsi in mare aperto. Col signor Giulio Tochet gli alunni hanno avuto anche l’occasione per conoscere le rotte seguite dalle navi mercantili cariche di merci di ogni genere trasportate nei porti asiatici e dell’America, sia settentrionale che meridionale. 

Il signor Giulio, papà dell’insegnante Antonella, ci ha rilasciato l’intervista che segue.

Signor Giulio Tochet, a che età ha iniziato a navigare e cosa lo ha spinto a farlo?

 Come ho detto agli alunni, sono nato a Venezia nel 1929 e ho sempre amato la mia città e la sua laguna. Mio padre lavorava come motoscafista ed io, durante il periodo estivo, quando ero libero dagli impegni scolastici, ero spesso in barca con lui per aiutarlo nella pulizia dell’imbarcazione e negli attracchi, ovvero quello che noi veneziani chiamiamo “el ganser”. Ebbi, così, sin da ragazzo la possibilità di conoscere i canali della città e della laguna, e di imparare i primi rudimenti della navigazione. Nel 1947, quasi a predire la sua sostituzione, mio padre mi incoraggiò a conseguire la patente nautica utile a guidare le imbarcazioni a motore, e in seguito mi aiutò procurandomi dei lavori di noleggio delle imbarcazioni come motoscafista. Insomma, mi diede una bella spinta a lavorare sul mare!

Poi ha lasciato la sua città per imbarcarsi sulle navi…

 Sì, perché a diciannove anni fui chiamato a svolgere il servizio militare di leva in Marina. Dopo l’arruolamento al Centro di addestramento reclute (CAR) di La Spezia fui inviato, per migliorare la mia preparazione tecnico-culturale, a Napoli presso la Stazione radio trasmittente costiera, e precisamente a Castel Sant’Elmo, cioè “in coppa a u Vomero” (sopra alla collina del Vomero), il più bel sito di Napoli, perché da lì si può ammirare tutta la città e il suo golfo.

 Per quanto tempo è stato a Napoli?

 Rimasi in Campania per sei mesi e poi venni trasferito a Taranto dove mi imbarcai sull’incrociatore “Montecuccoli” (qui sotto in foto), una delle poche navi da guerra rimaste all’Italia dopo la fine del Secondo conflitto mondiale. Il “Montecuccoli” era una nave utilizzata prevalentemente per l’addestramento dei cadetti dell’Accademia navale di Livorno. A bordo del “Montecuccoli” feci la mia prima crociera…


 

In cosa consisteva questa prima esperienza a bordo di una nave da guerra?

 Il “Montecuccoli” fece da scorta al convoglio di navi che l’Italia cedette alla Russia come risarcimento per i danni causati durante la guerra. Ci recammo al porto di Costantinopoli, ovvero ad Istanbul, e lì furono consegnate ai russi il veliero “Cristoforo Colombo” (gemello del veliero “Amerigo Vespucci”), la corazzata “Giulio Cesare”, i cacciatorpediniere “Artigliere” e “Fuciliere”, le torpediniere “Ardimentoso”, “Fortunale” e “Animoso”, e i sommergibili “Nichelio” e “Marea”. Consegnate le navi, riportammo in patria gli equipaggi.

Quando si è congedato?

 Nel 1950, e con le conoscenze tecniche che avevo acquisito e le esperienze che avevo maturato, fui in grado di sostenere l’esame ministeriale per conseguire il certificato internazionale di ufficiale radiotelegrafista, di prima classe, per le navi civili.

E così passò nella marina mercantile…

 Esatto. Iniziai a inoltrare domande di lavoro presso varie compagnie di navigazione e fui assunto dalla società Sidarma che mi assegnò a piroscafo “Pietro Orseolo II”, classe “Liberty”, che per lavori di manutenzione si trovava in un bacino di carenaggio del porto di Venezia…

 Cosa può dirci dei piroscafi “Liberty”?

 Erano navi costruite da Stati Uniti e Canada ed utilizzate per i trasporti militari durante la Seconda guerra mondiale. I cantieri navali americani fabbricarono circa duemila unità, che furono soprattutto usate per lo sbarco in Normandia. Diverse unità furono anche affondate per realizzare un porto artificiale prospiciente la spiaggia di Arromaches, indicata come area di sbarco “gold”.

Alcune di queste navi “Liberty” sono poi finite in Italia…

 Sì, finita la guerra, col “piano Marshall” alcune di queste navi furono concesse in comodato d’uso agli armatori italiani che avevano perso la propria flotta. Le navi “Liberty” erano piroscafi in grado di trasportare diecimila tonnellate di merci, e potevano navigare ad una velocità massima di dodici nodi con un equipaggio composto da circa quaranta uomini.

Nella sua lunga carriera è stato in tanti porti: può raccontarmi le traversate più interessanti che ha compiuto?

 Ricordo che il mio primo viaggio fu da Venezia a Spalato, nell’ex Jugoslavia, dove caricammo diecimila tonnellate di cemento destinato all’Argentina. Facemmo una sola sosta nel porto di Dakar per rifornirci di carburante, e poi dopo circa quaranta giorni di navigazione arrivammo a Buenos Aires. Scaricato il cemento avremmo dovuto caricare del frumento per conto della Italgrani, ma per ragioni politiche ciò non fu possibile. L’armatore, allora, ci ordinò di lasciare il porto sudamericano senza alcun carico. Tra noi marinai, allora, venne spontaneo dire: “brutta è la navigazione a nave vuota”. Quando però raggiungemmo il mar dei Caraibi, per via radio ricevetti il messaggio che ci informava riguardo alla nostra nuova destinazione: Nuova York ovvero New York. Tutto l’equipaggio apprese con gioia questa comunicazione perché avevamo l’occasione per visitare la “grande mela”. La sosta in questa città statunitense durò una decina di giorni perché prima di caricare il frumento, dovevamo far eseguire alcuni lavori a bordo utili a contenere il grano che sarebbe stato depositato nella stiva.

Cosa ha fatto nell’arco di quei dieci giorni a Nuova York?

 Per me è stato un bellissimo soggiorno perché ero libero dal lavoro, in quanto durante la sosta in porto le apparecchiature radio non devono essere usate, e così visitai la città: ebbi modo di ammirare il panorama dall’alto dell’Empire State Building, andai a Manhattan center e anche al palazzo dell’Onu. Insomma vidi un po’ tutto…

Ci può parlare di qualche altro viaggio?

 Molto interessante fu anche un viaggio da Rotterdam, in Olanda, a Montreal, in Canada, passando davanti all’isola di Terranova, cioè nella zona teatro dell’affondamento del “Titanic”. Arrivammo nel golfo di San Lorenzo e da lì in quello del Quebec. A bordo di una nave ho visitato anche la baia di Hudson, il mar glaciale Artico e il Labrador e ho ammirato le aurore boreali. In seguito ho toccato i porti dell’Ucraina e della Crimea. Come in aula ho spiegato agli alunni il funzionamento delle chiuse del canale di Panama, ho attraversato questo canale artificiale per passare dall’oceano Atlantico al Pacifico e raggiungere alcune città del Giappone, come Kioto e Kobe. Quest’ultima conosciuta per le sue acciaierie.

 In tutti questi viaggi ha sicuramente affrontato delle tempeste…

 Certo. Le tempeste più violente si possono registrare anche tra la Florida e il golfo del Messico: una volta, ad esempio, avevamo a bordo un carico di sottoprodotti solidi del petrolio destinati alla centrale termoelettrica di Marghera, e ricordo che dopo aver superato il porto di New Orleans, comunicai al primo ufficiale che il bollettino meteorologico informava che nella parte meridionale dello stato del nord Carolina si stava formando un violento uragano e si prevedevano venti superiori ai 60 nodi con rotta sud-ovest. L’ufficiale propose al comandante della nave di cambiare rotta per evitare l’uragano, ma il comandante non volle, perché ciò ci avrebbe fatto accumulare un ritardo di due giorni di navigazione…

E cosa successe?

 Che l’uragano ci investì in pieno: una lancia di salvataggio fu spazzata via, il secondo camino fu scardinato e tutte le antenne del sistema radio furono danneggiate e anche la fiancata di babordo subì danni…

E in momenti del genere cosa pensano i membri dell’equipaggio?

 Che il buon Dio ce la mandi buona! Un altro fatto grave accadde nel 1956 quando ero imbarcato sul piroscafo “Locarno”, nel golfo di Guascogna: avevamo lasciato un porto olandese e un violento temporale si accanì contro la nostra nave danneggiandola, tanto che si aprì una falla di cinque o sei metri. Per fortuna a bordo avevamo tutto l’occorrente per ripararla e utilizzando delle pompe buttammo fuori l’acqua che avevamo imbarcato. Per circa venti ore tutto l’equipaggio si diede da fare per scongiurare il disastro e intanto, su ordine del mio comandante, lanciai un segnale di richiesta attenzione per pericolo di naufragio su una particolare frequenza. Il messaggio fu raccolto dalla stazione radio costiera francese di Brest che avvisò un transatlantico italiano, che si trovava in zona, che si tenne pronto a soccorrerci in caso di emergenza. Per fortuna andò tutto bene e l’emergenza rientrò.

 Signor Tochet, passiamo ora ad un altro argomento: ogni tanto si parla di azioni compiute da pirati, come quelli della Somalia. Quando lei lavorava a bordo delle navi, si rischiava di essere assaliti dai pirati?

 No, ai miei tempi non si sentiva parlare dei pirati, ma c’era, invece, il pericolo di urtare e di esplodere su una mina vagante dell’ultima guerra mondiale. Questo pericolo era riconosciuto dagli armatori che nella busta paga ci riconoscevano un’apposita indennità. In quegli anni, inoltre, avevamo la preoccupazione di ammalarci o di subire durante il lavoro dei traumi. Sulle navi mercantili non ci sono medici, e chi si ammala o si frattura un arto viene curato dai colleghi che dopo aver descritto via radio a un medico le condizioni del malato o di chi ha subito un trauma, seguono le indicazioni, sempre via radio, per prestare le prime cure in attesa che si arrivi in un porto.

Sicuramente ha tanti ricordi della sua vita lavorativa, ma qual è il ricordo più bello che porta nel suo cuore?

 Sì, i ricordi sono veramente tanti e tanta è anche la nostalgia del mare. A bordo non svolgevo un lavoro pesante anche se di grande sacrificio, e mi ha permesso di visitare tanti Paesi. Ricordo quando sbarcai definitivamente per mettere su famiglia e provai tanta nostalgia, ma non per il lavoro bensì per il mare…

Una volta sbarcato che lavoro ha svolto?

 Trovai lavoro presso quella che era la SIP-Telefonica (attuale Telecom, ndr), ma ogni volta che ero libero dal lavoro e dagli impegni familiari,mi dedicavo a corsi di navigazione a vela come istruttore federale presso la “Compagnia della vela di Venezia” e “Canottieri di Mestre”, e poi quando andai ad abitare a Mogliano Veneto, mi dedicai alla costruzione di un cabinato a vela di 8,5 metri…

Davvero?

 Sì, e mia figlia Antonella lo ricorda bene perché ogni anno facevamo delle crociere lungo la costa dell’Istria e della Dalmazia.

 Recentemente, signor Tochet, ha incontrato insegnanti e alunni di due quarte elementari, e ha tenuto una lezione sulle comunicazioni marittime e sull’orientamento in mare. Per ben due ore gli alunni l'hanno ascoltata con molto interesse! Che emozione ha provato di fronte agli alunni che le ponevano tante domande?

 Ho già avuto un’esperienza del genere anni addietro, quando incontrai una quinta elementare della scuola “Carlo Collodi” nel mio quartiere. In quell’occasione facemmo anche una visita al museo navale di Venezia e potemmo tutti, insegnanti e alunni, ammirare i transatlantici ormeggiati alle zattere. Certo, stare con alunni e studenti è sempre bello ed emozionante e sono sempre disponibile ad incontrare chiunque voglia conoscere la bellezza del mare!

(a cura di Carlo Silvano)

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