VILLORBA – “Quando con l’auto percorro la strada statale Pontebbana e noto delle ragazze che si prostituiscono, davanti a questa miseria umana provo una tristezza infinita: è evidente che queste donne si vendono perché spinte dalla disperazione oppure perché sono sfruttate da criminali senza scrupoli”. A parlare è l’avvocato Silvia Barbisan che dal 2011 al 2020 è stata – a parte una breve parentesi come Presidente del Consiglio comunale – Assessore nella Giunta municipale di Villorba e ha accettato di rilasciare l’intervista che segue.
Avvocato Silvia Barbisan, dal 2011 ad oggi il Consiglio comunale di Villorba ha mai affrontato il problema della prostituzione sulle nostre strade?
Non abbiamo mai preso in gran considerazione il problema. In qualche occasione è stata avanzata la proposta di installare dei cartelli che potessero scoraggiare la presenza di clienti e prostitute, ma in pratica ci si è fermati al mero controllo del territorio e a monitorare la situazione. È comunque un problema che riguarda tante realtà della nostra provincia.
In Svezia con la punizione del cosiddetto “cliente” il fenomeno della prostituzione è stato praticamente eliminato. A suo avviso, nel nostro comune la Polizia locale ha gli strumenti giuridici per debellare o almeno arginare questo problema colpendo il “cliente”?
Purtroppo no, perché in Italia c’è un vuoto legislativo, in quanto è vietato lo sfruttamento della prostituzione, ma non si impedisce ad una donna di “vendersi”. È chiaro che ci troviamo in una situazione molto particolare, perché rappresentano solo una minoranza le donne che si prostituiscono e trattengono per sé tutto il denaro che ottengono dai cosiddetti “clienti”. Il mondo della prostituzione è gestito, almeno per un 80%, da sfruttatori. Occorre quindi colmare questo vuoto legislativo e intanto riprendere un servizio che anni fa si offriva sul Terraglio con la presenza di personale qualificato, dotato di automezzi e supportato dall’Amministrazione comunale di Venezia, che avvicinava le ragazze per offrire assistenza sanitaria, tutela legale e sostegno morale. Questa forma di aiuto, che purtroppo oggi non viene più praticata, era di fondamentale importanza per le donne che volevano abbandonare la strada della prostituzione e ricercare una forma di riscatto sociale.
In Italia le cosiddette “case chiuse” furono abolite nel 1958 grazie all’impegno politico della senatrice Lina Merlin che, in un libro, raccolse numerose lettere ricevute da donne che erano praticamente recluse nei bordelli. Le leggo un brano tratto da una lettera: “Disperata chiesi lavoro, aiuto, ma invano ed un giorno mentre giravo in un pomeriggio di festa, lì in un giardino pubblico, mi avvicinai ad una signora elegante che era ferma e le chiesi se poteva assumermi come cameriera […] questa signora sorrise dicendo di non aver bisogno di cameriera e mentre mi allontanavo mi chiamò e disse: Ho un lavoro per te, un lavoro che ti farà fare la signora e guadagnerai molto. La seguii ciecamente e dopo due giorni mi trovai in una casa della quale la elegante signora era padrona, e così per tanti anni sono stata schiava di quella vita e sfruttata dai padroni di queste case. […]. Da due anni vivo nella miseria; ho venduto tutto quello che avevo guadagnato con il peccato e ora vivo nella più squallida miseria”. Che impressione le ha fatto ascoltare queste righe? Secondo lei è possibile con un’eventuale riapertura dei bordelli in Italia possano ripetersi storie del genere?
Secondo me, se oggi i “bordelli” dovessero essere riaperti ci ritroveremmo in una situazione identica a quella descritta in questa lettera, perché solo la disperazione induce una donna a prostituirsi. Tutto parte da e ruota intorno ad una profonda crisi morale ed economica. Attualmente come avvocato mi occupo di diritto della famiglia e di consulenza alle aziende, ma in passato ho lavorato anche come penalista e ho conosciuto la realtà di donne che pur non facendosi sfruttare da nessuno, si portavano dietro un vissuto quotidiano molto sofferto: penso, ad esempio, a quelle donne che erano state abbandonate dai mariti o che vivevano con uomini dediti all’alcol e all’uso di droghe, e avevano figli da crescere e a cui spesso il denaro ottenuto lavorando come badanti non bastava, e allora bisognava ripiegare su qualcosa di più redditizio come, appunto, la prostituzione. In queste donne, però, ho trovato una miseria morale ed economica spaventosa. Bisogna allora lavorare su questi aspetti per debellare la piaga del meretricio.
In Germania una Legge del 2001 ha consentito la riapertura dei bordelli che “arruolano” donne provenienti per lo più dalla Romania e dalla Bulgaria. In queste strutture le donne – come ha rivelato un servizio giornalistico pubblicato nella rivista “Der Spiegel” del 30 maggio 2013 – sono impiegate a ritmi estenuanti e costrette ad ogni tipo di prestazione sessuale. Una volta diventate “vecchie”, cioè a 30-35 anni, vengono sostituite con altre donne più giovani. Le chiedo, provocatoriamente, che altro “impiego lavorativo” può assolvere una donna che sulle proprie spalle ha solo dieci o quindici anni di prostituzione…
Il problema, a mio avviso, non è quello di cercare un altro impiego “lavorativo” a una donna che ha conosciuto solo la prostituzione e non ha, magari, terminato nemmeno le scuole d’obbligo, perché attraverso vari enti, come il Centro per l’impiego e la Regione, si possono elaborare e offrire tanti corsi per una riqualificazione professionale. Il problema vero, invece, è che dopo una vita trascorsa sulla “strada” avremo donne devastate sotto il profilo psicologico, e sarà difficile ricostruire una personalità e dare motivazioni forti per gestire le sfide che ogni donna deve affrontare a quell’età.
In Italia un’eventuale legalizzazione della prostituzione inficerebbe inevitabilmente l’immagine della donna. Detto questo, le chiedo: a suo avviso, nello Statuto comunale della Città di Villorba la figura della donna è adeguatamente valorizzata sotto tutti gli aspetti oppure ritiene che occorra una modifica a qualche articolo dello Statuto?
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