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Il "cuore" vivo di Roberta


Ho conosciuto la scrittrice Roberta Sorgato in occasione della presentazione di un suo libro, “Cuori nel pozzo”, che si svolse a Villorba nel settembre 2012. La manifestazione fu promossa ed organizzata dal Circolo di lettura “Matilde Serao” in collaborazione con la locale sezione dei Trevisani nel Mondo. Da allora ho seguito le attività di Roberta, nata in Belgio da genitori italiani e da decenni residente in provincia di Treviso dove lavora come insegnante. Ha pubblicato diversi volumi, come i romanzi per ragazzi “Una storia tutta pepe” e “All’ombra del castello”. Prima con l’editore Canova e poi con le edizioni Tracce ha pubblicato “La casa del padre”; recentemente è uscito “Anima e dintorni”.
Cuori nel pozzo. Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone” è un libro che si rivolge al grande pubblico: la “storia” dei minatori italiani in Belgio non appartiene solo ai tanti connazionali che per guadagnarsi da vivere hanno lavorato nelle viscere della terra, ma è una pagina della nostra storia – che purtroppo ancora tanti ignorano – che per il suo spessore morale ed umano dovrebbe far parte a pieno titolo del nostro bagaglio identitario.
Nell’intervista che segue ho provato a far emergere solo alcuni degli aspetti più importanti di questo volume.

Roberta, cosa ti ha spinto a scrivere “Cuori nel pozzo”?
Scrivere “Cuori nel pozzo” è stata la sola, possibile conclusione di un percorso esistenziale culminante con il bisogno di riconoscermi come individuo e, allo stesso tempo, come parte. Figlia di un veneto, partito nei primi anni Cinquanta verso le miniere del Belgio (vedi patto del carbone tra Italia e Belgio del 1946) ho vissuto la tristissima esperienza dell’emigrazione, culminata nel più tragico dei modi, con la morte di mio padre e, allo stesso tempo, del sentirmi “dispatriata”: vista e trattata da straniera nella terra d’accoglienza, vista e trattata come straniera una volta tornata in Patria. Crescere senza padre, senza casa (per reali difficoltà economiche), senza un Paese di cui sentirsi “parte” è stato estremamente destabilizzante. Ripercorrere la storia di mio padre e, con la sua, quella dell’epopea dell’emigrazione italiana nel Secondo dopoguerra mi ha restituito passato, radici, appartenenza.

Perché questo titolo?
L’ho intitolato “Cuori nel pozzo” perché ogni lavoro, anche il più umile come quello del minatore, gli italiani lo hanno fatto con passione, con amore, mettendoci il cuore, oltre che la forza delle loro braccia. In fondo alle miniere ci sono andati per amore delle loro famiglie, della propria terra e, i cuori di quelli che sono morti, sono rimasti in fondo al pozzo: in attesa che le future generazioni ricordassero il loro sacrificio.



I minatori scendono nelle profondità della terra e si confrontano col buio, il lavoro duro e tanti pericoli che minacciano la loro vita. Se tu – come donna e scrittrice – dovessi scendere nelle profondità dell’animo di un minatore, cosa pensi che troveresti?
Molti vecchi minatori con cui ho parlato, ancora oggi, trattengono a stento le lacrime ricordando l’inferno del lavoro in miniera. E non solo per le disumane condizioni lavorative ma anche per la consapevolezza, ad ogni discesa, che avrebbero potuto non risalire mai più. La maggior parte delle tragedie minerarie, prima di quella di Marcinelle, si è consumata nella più assoluta mancanza di conoscenza dell’opinione pubblica mondiale. A farli accettare un lavoro tanto disumano è stata la grande povertà, l’incoraggiamento da parte del Governo italiano, la mancata conoscenza di che cosa realmente li aspettava e l’impossibilità di rinunciare al lavoro, una volta arrivati: infatti, firmavano (senza saperlo) un contratto che li obbligava per un minimo di cinque anni.

Oggi nei Paesi della Comunità europea le condizioni dei minatori sono notevolmente migliorate rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, però nelle miniere di altri Paesi – pensiamo alla Cina – si registrano purtroppo ancora tantissime vittime. Alla luce della tua personale esperienza umana e considerando che anche oggi ci possono essere bambini cinesi che restano orfani per la perdita del padre in miniera, come ti immagini la loro crescita e il loro futuro?
È davvero orribile pensare che, ancor oggi, ci siano parti del mondo in cui il lavoro minerario presenti la mancanza delle più elementari norme di sicurezza. Non ci è dato sapere i numeri reali della mortalità in questo settore ma non ho difficoltà ad immedesimarmi nella tristissima condizione degli orfani di miniera.


Roberta Sorgato (a sx) con Adriana Michielin (centro) e Maria Bona Saccol (a dx)


Nelle pagine del libro “Cuori nel pozzo” ci sono “tracce” della presenza di Dio?
In “Cuori nel pozzo” quella di Dio è una presenza costante come si conviene alla società del tempo.
“Cuori nel pozzo” è rivolto al grande pubblico e tutti sono invitati a leggerlo, ma pensando ai giovani ti chiedo perché uno studente delle scuole superiori dovrebbe avvicinarsi al tuo libro?
Quando ho avuto modo di incontrare i ragazzi e i giovani delle scuole di diverso ordine e grado, ho avuto la conferma di come le nuove generazioni manchino di conoscenza del nostro passato recente, ma soprattutto di quella “storia” che non è scritta nei libri di testo. La vera conoscenza ci rende liberi e la libertà ci rende uomini. Di questo i giovani hanno diritto.

Qual è stata la più grande soddisfazione che hai ottenuto con la pubblicazione di “Cuori nel pozzo”?
Le soddisfazioni raggiunte con “Cuori nel pozzo” sono state tantissime: credo che, dal punto di vista personale, non potrei desiderare di più. Forse la più significativa è stata la presentazione del libro a Palazzo Montecitorio: non perché sia stata la sola sede prestigiosa, ma perché i “musi neri” sono entrati con le loro storie nei palazzi del potere, dove il loro triste destino era stato deciso per la ragion di stato per poi essere completamente dimenticati.
Recentemente sei ritornata in libreria col libro “Anima e dintorni”: puoi parlarmi di questa tua ultima fatica letteraria?
Anima e dintorni” rappresenta un po’ la continuazione, nel tempo attuale, di uno dei grandi temi che da sempre accompagnano l’umanità, cioè le migrazioni. Infatti, questo libro ha vinto proprio il Premio Dispatriati. Ambientato in Italia e a Parigi, rappresenta un ponte ideale tra la vecchia migrazione di “Cuori nel pozzo” e le nuove migrazioni dei nostri giorni con tutte le problematiche ad essa connesse: diversità culturali e religiose, difficile integrazione, intolleranza, estremismo/terrorismo islamico. Ma è anche una straordinaria vicenda umana al femminile in cui la protagonista, Maria, si misura con le problematiche più scottanti dei nostri tempi: disagio giovanile, scontro generazionale, violenza sulle donne, fuga dei cervelli, scontri tra culture. Una panoramica umana e sociale del mondo contemporaneo, vista attraverso gli occhi della nostra “migliore gioventù”.

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