Ho conosciuto don Olivo
Bolzon e Marisa Restello circa quindici anni fa, quando lavoravo al settimanale
diocesano “La vita del popolo” di
Treviso, e ricordo che dovetti “raccogliere” una loro richiesta sul perché
venivano "trattate" in un certo modo le lettere che di solito inviavano alla posta del
direttore del giornale. Mosso da una certa curiosità andai a San Floriano di
Castelfranco Veneto per incontrarli e conoscerli: nacque presto una simpatica e
genuina amicizia anche per la visione che Olivo e Marisa mi proponevano della gerarchia
ecclesiastica e del laicato cattolico. Negli anni quest’amicizia si è
rafforzata anche grazie a diverse collaborazioni: Olivo ha scritto la
prefazione a due miei volumi ed io l’ho aiutato a pubblicare alcuni suoi libri,
come il noto “Diario” scritto quando lui ebbe modo di fare lo spazzino – anche se
solo per qualche mese – nella città tedesca di Colonia.
Olivo e Marisa hanno
dato molto – e sotto tanti aspetti – non solo alla comunità parrocchiale di San
Floriano, ma a tutte quelle persone che hanno avuto modo di conoscerli in tanti
decenni fatti di impegno ecclesiale, missionario, emigrazione e mondo del
lavoro. Lo scorso mese di aprile Olivo ha “cambiato residenza” per stabilirsi
definitivamente nella patria celeste e con Marisa ho voluto, brevemente,
ripercorrere alcune tappe del suo cammino terreno con l’intervista che segue.
Marisa, sotto il
profilo umano, sacerdotale e pastorale, tra le prime e significative esperienze
di don Olivo si può segnalare la
sua "avventura" tra gli spazzini della città di Colonia, maturata tra
il mese di luglio e quello di agosto del 1964. Oggi, ripensando a quella
esperienza di don Olivo, quali sono le tue considerazioni?
Il lavoro di spazzino svolto da Olivo a
Colonia nell’estate del 1964 rispondeva al suo bisogno vitale di condividere la
vita degli operai italiani emigrati. Dal 1962 si trovava a Bruxelles con
l’incarico di assistente a livello europeo di questi lavoratori e aveva deciso
di vivere il periodo di ferie nella loro stessa condizione di vita e di lavoro.
L’anno stesso della sua ordinazione,
1955, era stato inviato nella zona di Cornuda come Assistente dei Lavoratori,
era l’ONARMO a patrocinare questo ministero che allora era agli inizi nella
chiesa italiana. “Il più giovane prete d’Italia”, così scherzosamente si
vantava, sprovvisto di una specifica preparazione, si era recato in Francia a
incontrare Alfredo Ancel, vescovo ausiliare di Lione e operaio a domicilio, che
viveva in una piccola comunità di lavoratori. Egli l’accolse come un figlio e
Olivo fece molto riferimento a lui e alle sue opere per tutta la vita.
L’esperienza di Colonia tuttavia era
particolare. I suoi compagni di lavoro, tutti provenienti da una stessa zona
della Sicilia, lo conoscevano come uno spazzino che per caso proveniva dal nord
Italia, aveva delle abitudini diverse dalle loro e sapeva leggere e scrivere.
Per Olivo fu una piena immersione tra questi fratelli che l’Italia aveva
costretto a emigrare quasi senza scuola o formazione civica, abbandonati a loro
stessi e ospitati nei prefabbricati di quello che era stato un campo di
concentramento. Nemmeno la missione italiana di Colonia poteva far qualcosa
dato che loro consideravano la Chiesa alleata del potere e nemica, e neanche
immaginavano che un rappresentante ufficiale della Chiesa era tra di loro come
colui che serve. Sì, penso che questo periodo di Colonia abbia avuto una forte
influenza sul pensiero e sul ministero di Olivo. La più profonda motivazione
tuttavia era ancorata alla conoscenza concreta con i lavoratori e lavoratrici
della zona di Cornuda e Montebelluna dove aveva vissuto il suo primo servizio
ecclesiale.
Marisa Restello e Olivo Bolzon
Secondo te, don Olivo
si è sentito davvero un "prete operaio"?
Olivo non si è mai definito un
prete-operaio. Aveva letto ancora prima della traduzione italiana “Francia, paese di missione” e tutta la
letteratura che fioriva negli anni della nostra prima giovinezza che ci
presentava una Chiesa profetica che usciva dai muri per
incontrare fratelli e sorelle là dove si trovavano a vivere e a tribolare. Nella
periferia di Parigi aveva incontrato il piccolo gruppo di Madeleine Delbrel che
faceva parte delle nostre amicizie librarie insieme con “Condizione operaia” e “L’ombra
e la grazia” di Simone Weil, il “Diario
nero” della Locusta, “I santi vanno
all’inferno” di Cesbron; più o meno consapevolmente, eravamo in tanti a desiderare
di essere “Come loro”, l‘amatissimo
libro di Renè Voillaume, anche a costo di andare all’inferno con loro.
Nella mia partecipazione ai gruppi di
Charles de Foucauld, avevo conosciuto don Sirio Politti uno dei primi
preti-operai italiani. L’immagine della loro piccola cappella è così luminosa
nella mia memoria che non serve neanche un clic per ritrovarla. Qualche anno più tardi Olivo andò a vivere in
una piccola comunità di preti e laici operai a Spinea. Vi facevano anche parte
alcune giovani donne, con una di loro che aveva lasciato l’insegnamento per
lavorare in fabbrica siamo ancora in affettuosa corrispondenza. Olivo
condivideva profondamente il loro impegno e le loro lotte, ma il suo servizio
sacerdotale era allora quello di seguire i preti del Prado, messaggio
spirituale che egli stesso aveva contribuito a far conoscere in Italia e molti
giovani preti operai vi facevano riferimento. Viveva nel mondo operaio, per
alcuni periodi anche molto impegnato nella CISL per la formazione, ma non ha
lavorato che come spazzino quella volta a Colonia e in fabbrica solo per un
breve periodo insieme con alcuni seminaristi dell’America latina in una
industria di Francoforte.
Il suo desiderio più vivo era di
condividere la vita dei più deboli, dei più poveri e in questa totale
immersione effondere il suo amore per il Vangelo. E questo noi suoi amici lo
sentivamo forte, ma lo sentiva anche chi si avvicinava a lui per la prima
volta. Mi colpiva perché a volte trattava con distacco chi poneva domande
partendo da preconcetti, “questo non lo vediamo più”, pensavo io. Invece quasi
sempre le persone capivano e tornavano ancora a chiedere aiuto, amicizia, luce,
a respirare libertà.
Olivo Bolzon mentre legge il suo intervento nel corso della presentazione del suo "Diario"
a Castelfranco Veneto.
Secondo te, qual è stato o sono stati i preti operai che per don Olivo
erano dei punti di riferimento sotto il profilo umano, pastorale e spirituale?
Penso che per tutta la vita, il
riferimento primo di Olivo sia stato padre Alfredo Ancel, il vescovo-operaio di
Lione. Il loro primo incontro era avvenuto in quella che era stata una stalla di
cavalli di posta e padre Ancel continuando il suo lavoro (si trattava di
stirare stracci che servivano a proteggere gli strati sovrapposti di fòrmica, ndr) cominciò narrargli il Vangelo con
parole che mai aveva sentito prima così vere e così famigliari. Olivo ce ne ha
parlato più di una volta e sempre con il gioioso senso di scoperta di quel
primo giorno.
Marisa,
anche tu hai avuto modo di conoscerlo?
Sì ed era una persona eccezionale, un’espressione
mite e accogliente con una parola semplice, autorevole, piena di verità. Ci
eravamo già letto il suo libro “Cinque
anni con gli operai” ed ora l’incontro con la sua persona ce lo rendeva più
comprensibile, più famigliare, più nostro. Più tardi uno dei componenti della
sua piccola comunità, Riccardo, un operaio trentino che era capitato
giovanissimo a Lione come immigrato clandestino, era venuto a vivere nella
comunità operaia di Spinea, oltre alla profonda amicizia con lui, abbiamo
goduto tutti di questo più forte e diretto legame con padre Ancel. Se ci fosse
tempo ti leggerei le riflessioni che ha scritto dopo i primi incontri…
Certo!
Era il 1959 e Olivo aveva 27 anni: “Ho rivisto il Vescovo Mons. Ancel, ma più
ancora, ho vissuto con Lui, ho vissuto come Lui e la sua vita è passata in me,
perché Mons. Ancel ha voluto che lo chiamassi Padre e certamente Egli ha
generato vita in me. Ha irrobustito in me la fiducia in Dio e sviluppato in me
l’amore verso gli uomini specialmente i più deboli. È rimasto sempre un mistero
l’amore di Dio verso di me, ed è un mistero talmente profondo da farmi cadere
in ginocchio sbigottito dalla bontà di Dio. L’Amore non ha ragioni, e siamo su
una strada sbagliata quando tentiamo di scoprirla. La nostra comune stanza da
letto, il nostro povero letto tutto di legno, il russare dei miei compagni, mi
tenevano in stretto contatto con l’umanità così povera e debole e così ricca,
perché Dio si interessa di essa e d’altra parte mi davano l’imperativo
categorico di camminare nella vita sempre con il passo del più debole. (Lione
21-26 agosto 1959).
Tanti anni più tardi, all’inizio del
nuovo millennio erano capitati alcuni giovani preti ungheresi a chiedere in che
cosa consistesse l’evangelizzazione degli operai e questa volta fu Olivo a raccontare
di Vangelo, di amicizia, di cose vissute insieme coi piccoli passi della vita.
Non sono rimasti delusi e hanno continuato a venire, uno anche quest’anno pur
sapendo che Olivo “ha cambiato residenza” come dice il suo amico-cardiologo.
L'ultimo libro scritto da Olivo e Marisa
Oggi, ripensando alle
tantissime e lunghe conversazioni che hai avuto con don Olivo, quanto - secondo
te - ha inciso nella sua formazione di prete la sua conoscenza del mondo operaio
e sindacale?
Posso
dire che le sue prime intuizioni sono diventate nella vita una fedeltà di
approfondimento, che il suo amore verso
gli uomini, specialmente i più deboli è diventato una fedeltà quotidiana,
sempre più vera. E la dedizione ai lavoratori anche nel sindacato, erano una parte
del dono di tutta la sua vita. Ero con lui quando ha dato il suo ultimo
respiro, l’ho ricevuto sul volto come una benedizione, un nuovo soffio creatore
e mi sono sentita esclamare a voce alta ora
hai dato proprio tutto Olivo! Sì,
posso testimoniare che Olivo non ha mai riservato niente per sé, la sua era una
vita donata fin nei più piccoli particolari e fino all’ultimo respiro.
In base ai tuoi ricordi, qual è stato per don Olivo il
momento più brutto, quello che più di altri gli ha fatto sperimentare la
solitudine e l'angoscia di sentirsi solo?
C’è
stato un momento molto doloroso vissuto insieme nel luminoso periodo di
Cornuda. Eravamo un bel gruppo attorno a lui perché in lui trovavamo l’aiuto a
vivere autenticamente e a trovare il coraggio, deboli come eravamo, di lottare
contro le ingiustizie, e tutto questo nel vivere una reciproca amicizia e
cercare di crescere nella fede. Frequentavamo molto i monasteri e mi pareva di
ritrovare in noi ragazze e ragazzi (io già avevo qualche anno più di loro) la
dedizione dei monaci e delle monache, certo in modo diverso, ma con la stessa
genuina sincerità. E come un fulmine a ciel sereno arrivò la notizia che Olivo
era stato trasferito a Bruxelles come Assistente dei Lavoratori all’estero. Per
noi c’era la sofferenza del distacco, ma per Olivo c’era anche l’ingiustizia di
questa decisione motivata dallo scontento degli industriali delle nostre zone
per il suo operato considerato rivoluzionario. Purtroppo il Seminario Vescovile
era ancora in rovina a causa dei bombardamenti e gli industriali contribuivano
alla ricostruzione. Un bel giorno decisero che non avrebbero più dato niente se
Olivo non fosse stato trasferito. Noi non ne sapevamo niente, pensavamo a una
promozione e fu così che dovette partire per Bruxelles: piangevamo tutti e
piangeva anche lui.
"Il prete visto dai giovani" con prefazione a firma di Olivo
Qual è stato, invece, il momento più bello, quello che
gli ha dato una forte carica per avere una speranza nell'umanità?
Di
momenti pieni di gioia e di bellezza ce ne sono stati tanti da non poterli
enumerare. Ma la gioia più piena gliela ho letta sul volto nei suoi ultimi
anni, ancor più negli ultimi mesi di vita. C’era la sofferenza certo e anche
per alcuni versi la paura della morte, ma il suo volto diventava sempre più
trasparente di anima, di sorrisi di ringraziamento e mi pareva che tutto,
tutto, anche il servizio più semplice, diventasse sempre più santo, come se il
paradiso avesse socchiuso una porta verso di noi. “Ma ci faranno ben fare qualcosa in Paradiso, non ci lasceranno mica là
a non far niente” diceva. Di certo starà facendo qualcosa e posso anche
farmene una piccola idea, ma mi piacerebbe tanto saperne di più.
[a cura di Carlo Silvano]
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