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La prostituzione ai tempi della senatrice Lina Merlin

Lo sfruttamento della prostituzione
e la chiusura delle “case di tolleranza”
con la legge della sen. Lina Merlin
 di Carlo Silvano

Definito e giustificato dal sentire comune come “il mestiere più antico del mondo”, il fenomeno della prostituzione ruota, in realtà, attorno ad una criminalità spesso barbara e crudele. Per tentare di comprendere l'opportunità o meno della riapertura delle cosiddette “case chiuse” si propone, in questo capitolo, una lettura di brani tratti da un libro[1] curato dalla senatrice Lina Merlin[2] e dalla giornalista Carla Barberis[3]. Già da giovane, Lina Merlin seguì come giornalista il fenomeno della prostituzione e si convinse dell'opportunità di chiudere i bordelli con un'apposita legge anche in Italia, dopo che questi erano stati aboliti in Francia nel 1946, grazie  soprattutto all'impegno di una ex prostituta, Marthe Richard, eletta in parlamento.
Dal 1949 la senatrice Lina Merlin iniziò a ricevere numerose lettere da parte di ragazze che si prostituivano nelle cosiddette “case chiuse”: si trattava di lettere sia firmate che anonime, a volte senza l'indirizzo del mittente. In certi casi le autrici si firmavano con uno pseudonimo. Nelle loro lettere le ragazze invocavano la chiusura dei postriboli, chiedevano un aiuto materiale o comunque economico, descrivevano la propria miseria, denunciavano gli sfruttamenti e le inadempienze dei titolari delle case; non mancano tuttavia lettere di ragazze che chiedevano di lasciare aperte le “case chiuse”. Tra le tante lettere che la sen. Merlin ricevette, ne furono scelte settanta ai fini della pubblicazione del libro, e tutte furono depositate presso un notaio con studio a Milano. Si tratta di documenti spesso sgrammaticati, scritti da ragazze che non hanno studiato o quantomeno completato il percorso scolastico.
Leggendo le pagine di questo libro si ricavano numerosi elementi sulla vita che queste ragazze conducevano nei postriboli.
Se è importante conoscere la storia per comprendere il presente e progettare il futuro, vale allora la pena di leggere i brani che seguono, per poi porsi degli interrogativi sul fenomeno della prostituzione.

1. Il reclutamento delle prostitute

Dalle lettere pubblicate si evince che nei bordelli venivano coinvolte quasi esclusivamente due categorie di ragazze: quelle che si trovavano in stato di bisogno e quelle – una risicata minoranza – che si illudevano di guadagnare in breve tempo grosse cifre di denaro. Scrive una ragazza:

“Ci sono tante e tante ragazze ingenue e povere come lo ero io che ci cascano dentro, ci sono i vampiri (si riferisce ai titolari delle case, ndr) che succhiano il sangue delle povere ragazze, ma se queste case non ci fossero anche se una sbaglia una volta non ha più la possibilità di andare dentro. Quando una di noi è nel giro, se proprio non è finita non la lasciano più uscire, perché oltre a tutto ci fanno firmare tante cambiali, ci indebitiamo per vestirci per le malattie per tutto, e pensi che se spendiamo per 50 dobbiamo firmare per 100, e la Questura è d'accordo con le padrone e non possiamo protestare”[4].

La stragrande maggioranza delle ragazze che si prostituivano nei bordelli proveniva da fasce sociali molto deboli ed erano donne che vivevano in uno stato di bisogno. Si tratta di giovani che erano state ingannate con la promessa di un lavoro, violentate anche in famiglia, etichettate come puttane e spesso  vittime di luoghi comuni.
Ecco, ad esempio, cosa scrive una ragazza figlia di un padre non noto:

“Onorevole,
sono una di «quelle» e seguo con interesse quanto Lei vuol fare. Le dirò soltanto perché a 25 anni faccio questa vita.
Ho fatto le scuole medie e poi mi sono impiegata. Il mio principale quando ha visto che sull'atto di nascita risultavo, senza mia colpa, figlia di N.N., ha subito preteso di approfittare di me.
Il resto va da sé”[5].

Da notare che anche oggi, nelle nazioni che hanno legalizzato lo sfruttamento della prostituzione,  il reclutamento delle prostitute avviene tra le fasce sociali più deboli, tra cui spesso figurano immigrati e  tossicodipendenti. E' il caso – ad esempio – dell'Olanda, dove nel 1999 un'indagine evidenziò quanto segue:

“[...] solo un terzo del totale delle persone che esercitavano la prostituzione era in possesso della nazionalità olandese. In totale furono censite 45 nazionalità diverse: la maggior parte di queste persone provenivano dalla Repubblica Dominicana, dalla Colombia, dalla Repubblica Ceca, dalla Romania e dalla Polonia. Per quanto atteneva alle persone dedite alla prostituzione e non dotate di regolare permesso di soggiorno non era noto alcun dato.
Al momento dell'indagine circa il 5% del totale delle persone dedite alla prostituzione era di sesso maschile, mentre le stime indicavano che un ulteriore 5% era transessuale. Anche in questo caso, il gruppo era formato in larga parte da immigrati.
Il 10% delle persone dedite all'esercizio della prostituzione era tossicodipendente: di questo gruppo, la maggior parte aveva in origine la cittadinanza olandese”[6].

Ritornando in Italia, prima dell'approvazione della Legge Merlin, nei postriboli si trovavano spesso “sorelle maggiori rimaste orfane e con fratelli da crescere”. Non mancava qualche donna abbandonata dal proprio marito[7]. In generale, comunque, era la miseria a spingere tante ragazze a vendere il proprio corpo. Una di loro racconta:

“...ero una ragazza profondamente onesta. Purtroppo però ebbi un fidanzato mascalzone che sulla soglia del matrimonio mi lasciò, ed inoltre ebbi da lui un figlio che porta il mio nome.
Non avevo io un'occupazione e il mio stato non mi permetteva di fare molto. Cercavo ugualmente e disperatamente un lavoro, ma non lo trovai.
Quando arrivavo negli uffici tanti mi facevano proposte poco pulite, ma la fame nel mio stato era qualcosa di terribile ed infine una sera incontrai un signore che mi portò in un caffè nel centro di Milano. La questura quella sera venne in quel caffè, mi chiesero i documenti, ma essendo quel luogo un posto equivoco ed essi credendo che io ne fossi una frequentatrice, mi portarono in guardina, e di lì iniziò la mia più nera storia”[8].

E un'altra ragazza aggiunge:

“Io sono entrata nelle case di mia volontà spontanea, però non sapevo più cosa fare, erano mesi che mangiavo una volta ogni due giorni e nessuno mi dava lavoro e tante volte non potevo andarci io al lavoro perché capivo che mi volevano però non per lavorare”[9].

Soprattutto le orfane, o comunque le ragazze che non potevano contare sui propri genitori, erano prese di mira dai tenutari dei bordelli. Interessante, al riguardo, questa testimonianza:

“...Sono una povera donna di 34 anni, con due figli a carico ed anche illegittimi. Il destino ha voluto che io entrassi fin dai primi anni della mia gioventù, in queste tetre «case chiuse» e non trovo il modo di uscirmene […].
Uscita dal collegio dopo 15, 16 anni circa, quasi all'età di venti anni circa, inesperta della vita, e ignara di tutto ciò che mi poteva succedere, senza per di più genitori, il destino avverso ha voluto che io dopo un mondo di peripezie, e lunghi digiuni, che a raccontarlo ci vorrebbe un romanzo, per volere di chi ce ne ha colpa sono entrata in queste prigioni libere e come ripeto non posso trovarne il modo di uscire”[10].

Sembra che i giardini pubblici rappresentassero il luogo ideale per individuare e adescare ragazze da avviare alla prostituzione nei bordelli. In diverse lettere, infatti, le ragazze riferiscono di essere state avvicinate in questi luoghi pubblici, come l'autrice della lettera che segue:

“Disperata chiesi lavoro, aiuto, ma invano ed un giorno mentre giravo in un pomeriggio di festa, lì in un giardino pubblico, mi avvicinai ad una signora elegante che era ferma e le chiesi se poteva assumermi come cameriera […] questa signora sorrise dicendo di non aver bisogno di cameriera e mentre mi allontanavo mi chiamò e disse: Ho un lavoro per te, un lavoro che ti farà fare la signora e guadagnerai molto. La seguii ciecamente e dopo due giorni mi trovai in una casa della quale la elegante signora era padrona, e così per tanti anni sono stata schiava di quella vita e sfruttata dai padroni di queste case. […].
Da due anni vivo nella miseria; ho venduto tutto quello che avevo guadagnato con il peccato e ora vivo nella più squallida miseria”[11].

La stragrande maggioranza delle giovani che si prostituivano erano dunque obbligate a farlo, così come sostiene anche l'autrice della missiva che segue:

“Si dice tante volte in giro, io l'ho sentito spesso, che non siamo obbligate a entrare nella vita. Non è vero: siamo peggio che obbligate. Tante volte sono dei luridi sfruttatori che costringono a darsi al prossimo, tante volte è la fame, e altre volte è il bisogno di soldi per poter mantenere la famiglia, o i figli, o il marito malato, eccetera. Ma sempre sono gli altri a obbligarci a entrare in questi inferni, a ricevere 30-35 uomini al giorno, i vecchi sporcaccioni e i giovani infoiati, e quelli ubriachi, e quelli che gridano, e quelli che vogliono sentir parlare. Quasi tutta questa gente, che paga per averci, come bestie al mercato. Perché, e per quanto dovremo sopportare questa vergogna?”[12].
  

2. Chi resiste alla chiusura dei bordelli?

Leggendo alcune lettere inserite nel libro curato dalla sen. Merlin si colgono  anche le motivazioni delle ragazze che invece non sono a favore della chiusura dei bordelli:  la paura di finire in prigione, la “necessità di contenere” i depravati e di “occuparsi” dei soldati in caso di occupazioni militari. Scrive una ragazza:

“Gentile Senatore,
dicono che mi metteranno in galera appena chiudono le case ma io non ho mai fatto del male a nessuno e in galera non ci voglio andare, ci vadano i padroni che ci sfruttano il sangue a tutti noi, sono una di quelle ma non ero così e volevo crescere onesta...”[13].

Viene spontaneo chiedersi, leggendo questo passo, chi abbia inculcato nella mente dell'autrice la paura di finire in prigione.
Nella lettera che segue emerge invece l'obiettivo del guadagno facile, la solitudine delle prostitute, l'amarezza di fronte alla presa di coscienza del valore del proprio corpo.

“Si entra coll'incoscienza, il miraggio di ambizioni stupide. E dopo quando vediamo che questo denaro è veramente sudato col nostro dono migliore, non dà né il risultato e nemmeno la felicità, non siamo più capaci di trovare la vera via. [...] Passano gli anni, le speranze, qualche illusione d'amore, una grande pietà ci prende per noi stesse per essere così perdutamente sole”[14].

Con i bordelli era possibile realizzare cospicui incassi e di questo erano ben consapevoli le ragazze che vi si prostituivano, per le quali tuttavia restavano soltanto le briciole e le umiliazioni. Interessante il passo che segue:

“Pensate che solo nella prima casa di M. composta di sei ragazze, dove la tariffa è di L. 1500, se un signore vuole intrattenersi qualche ora deve sborsare dalle 30-40-50 mille lire. Dietro quelle pareti chiuse nessuno li disturba e nessuno può immaginare ciò che succede. Altro che bisogno naturale fisiologico. Di naturale si possono contare qualche caso solo”.

Ad approfittare delle prostitute non sono solo i tenutari, ma anche sanitari, poliziotti, personale addetto al postribolo, venditori, ecc.. La disperazione e la mancanza di alternative inducono tante ragazze e donne ad entrare nei bordelli, così come leggiamo nel brano che segue:

“Infine mi sono decisa a mettermi con un uomo però era peggio degli altri e allora sono tornata a cercare di lavorare ma senza trovare niente. Allora sono entrata nelle case: che qui almeno il mangiare è assicurato anche se fanno tante ruberie e tante ingiustizie, e posso mantenere il mio figlio.
Oramai ho trentacinque anni e non posso trovarmi ancora in mezzo di una strada e forse morirò presto perché sono malata per adesso leggera ma potrei anche aggravarmi. Io dico allora che fino che si può devo rimanere dentro le case e guadagnarmi più soldi che posso. Non è possibile che ricomincio da capo”[15].

Ai magri guadagni si aggiungono le umiliazioni, come emerge da questo e da molti altri brani:

“Guai se una si rifiuta al cliente di fare delle cose sconcie: Su guardi [dicono le tenutarie] che la mia casa sono abituati i clienti a tutto senò domani se ne vada, e poverina a male in cuore bisogna fare o andarsene”[16].

  
3. Igiene e controlli medici

In tanti forum presenti in “rete” e gestiti anche da giornali, nonché in diverse trasmissioni televisive, non manca chi invoca la riapertura delle “case di tolleranza”, così da sottoporre le prostitute a continue visite mediche, proprio come – secondo loro – accadeva prima dell'approvazione della legge Merlin. Ma è proprio vero che nei bordelli esistenti a quel tempo si tutelava la salute delle ragazze e dei loro clienti con l'impiego di medici? Ecco cosa scrive una ragazza:

“Quelle due visite settimanali, fatte nella casa stessa, senza mezzi adeguati o anche all'ambulatorio comunale per le tesserate non ospiti delle case, non sono meglio che niente, sono il nulla, o il peggio, poiché fingono di dare all'inesperto, o incauto cliente, una sicurezza che il medico serio non può dare [...]. D'altra parte, quale garanzia può offrire la donna ai clienti che si succedono a decine in una sola giornata?”.

Ed un'altra ragazza aggiunge:

“Mi fanno ridere quando vengono per far le visite di controllo.
La maggioranza sono sempre d'accordo (mangiano tutti e tutti tacciono). Nel mese di marzo 1950 venne una bella giovane di anni 21 naturalmente non pratica di nulla. Incominciò il traffico, le fecero fare l'esame del sangue, dopo dieci giorni ebbe la risposta positiva. Quanti sifilitici à fatti solo lei? Mettiamo che sono solo 40 al giorno, che codesta signorina accontentava, dieci giorni 400 persone.
[…] Non le dico poi delle povere ragazze! Vengono sfruttate e consumate fino alle midolle. E devono tacere e fare silenzio.
Signora Senatrice faccia un'opera pia, al più presto possibile faccia chiudere”[17].

Se non mancavano medici disonesti che imponevano alle prostitute il pagamento di esorbitanti cifre durante le visite di controllo[18], capitava pure che in altre città i medici non visitassero le prostitute, le quali, quindi, rischiavano di ammalarsi e di trasmettere ad altri le proprie malattie[19]. La scarsità di disinfettanti e detersivi si evince dalle semplici e poche parole che seguono:

Chiedete alle Signorine i disinfettanti chi li paga? Voi vedete sempre i credenzini in ordine, quelli guai chi li tocca, sono sempre intatti e pieni”[20].

In sostanza, nelle “case chiuse” i tenutari erano obbligati a tenere disinfettanti e detersivi che, però, non passavano alle ragazze per non doverli di nuovo acquistare.
Nei bordelli le ragazze vivevano in precarie condizioni igienico-sanitarie: dormendo anche negli stessi letti dove ogni giorno ricevevano i clienti, non lasciavano che per poche ore la loro camera, e ciò causava vari disturbi legati anche all'insonnia. Erano praticamente recluse per tante ore nella stessa camera e molte avevano incubi[21]. Stordite dai neon[22] che assicuravano la luce anche fino alle due di notte, le ragazze erano private anche di aria fresca perché  le finestre erano sempre chiuse. Una ragazza denuncia:

“In molte case poi le Signorine sono costrette a dormire assieme perché il personale non ha le camere, perché tutti i buchi sono stati sfruttati […] materassi e biancheria nuova la ostentano a ogni commissione di controllo che si sa più o meno in anticipo e così si preparano i letti, ghiacciaie piene di carne, credenze piene di pasta e così via. Quando arriva un commissario noti che ci telefonano avvisandosi una con l'altra. […]
E' inutile che mandiate commissioni e ci interroghiate davanti alla direttrice, alle padrone, oppure anche senza queste, dentro le case. La verità non si può mai dire, non per viltà, ma perché sai che puoi fare la valigia e andartene e non venire più sulla piazza perché ti segnano a dito e nessuno ti vuole più”[23].

Una ragazza si sofferma sulla scarsità del cibo quando scrive che “Le signorine ed il personale hanno il mangiare misuratissimo[24].
Era davvero grave, poi, che nelle “tombe dei vivi[25], ovvero nei bordelli, fossero costrette a prostituirsi anche le ragazze ammalate, così come scrive una ragazza:

“Se stai male, hai la febbre, devi lavorare lo stesso, perché la padrona altrimenti ti manda via”.

A dipingere uno squallido ritratto della situazione igienico-sanitaria dei bordelli c'è anche una ragazza che usa queste parole:

“...siamo giovani e sembriamo delle vecchie e solo per il fatto che non prendiamo mai aria buona siamo quasi tutte gialle in faccia. Mettiamo i belletti per tirarci su ma se ci vedesse quando ci alziamo!
Faremmo pena a tutti meno che a quelli che ci guadagnano su di noi e dicono che noi siamo sgualdrine e non abbiamo voglia di lavorare.
Loro però hanno macchine pellicce i gioielli e noi sifilide, tubercolosi e nessuno ci vuole bene”[26].

  
4. I controlli della polizia

Le ragazze costrette a prostituirsi nei bordelli non manifestavano una buona concezione della polizia che, attraverso la sezione del “buon costume”, vigilava sulle “case chiuse”. In tante lettere traspare rabbia e paura nei confronti degli agenti che avrebbero dovuto tutelarle. In sintesi, poliziotti e carabinieri vengono descritti come corrotti, approfittatori e, soprattutto, come personaggi che, abusando del proprio ruolo, impedivano a queste ragazze di scrollarsi di dosso il marchio di prostitute e di ricominciare una nuova vita.
Nel brano che segue una ragazza, decisa  nel voler assicurare un futuro al proprio figlio, scrive:

“...sono convinta che questo tentativo ed altri che ne farò, se ne saranno necessario, varranno a qualcosa, se non altro a mettere alla luce come la funzione del buon costume sprezzante ed insultante, nel medesimo tempo convinti di poter mettere sotto i piedi con il loro potere qualsiasi persona, invece di amministrare queste faccende delicatissime con umana giustizia, ne approfittano  per compiere soprusi di questo e altro genere convinti di non trovare chi ne metta loro i bastoni fra le ruote”[27].

Ed un'altra aggiunge:

“Ci salvi tutte Onorevole e che più nessuna ragazza entri in queste case come ci sono entrata io e che nessuna debba più essere sfruttata da nessuno e minacciata anche dalla polizia. Si guardi anche da questa, che quasi sempre sono d'accordo e quando non sono d'accordo proprio sono dalla loro parte e contro di noi (però poi vengono con noi e  non ci danno niente)[28].


5. I tenutari

Chi gestiva i bordelli? E che opinione le ragazze avevano dei propri datori di lavoro? Ecco cosa scrive una di loro:

“Questi esseri abbietti immondi aguzzini sfruttatori continuano spudoratamente ad incassare almeno qui in R. e nelle grandi città cifre iperboliche che varia a seconda delle tariffe...”[29].

Dalle varie lettere contenute nel libro curato dalla sen. Merlin si ricava che ogni bordello ospitava almeno quattro ragazze e che diversi tenutari gestivano più di una casa di tolleranza. Nelle missive pubblicate nel volume si esprime rabbia e indignazione. La lettera n. 16 rappresenta una sintesi di quanto denunciavano le ragazze, ed è così breve che viene riportata per intero.

“La Sign. Merlin potrebbe applicare la legge anche come hanno potuto arricchire così sfacciatamente certi esseri spregevoli sangue delle povere vittime. Accordi con trafficanti. Ragazze giovani rovinate. Insista la Merlin per levar dalla schiavitù tante povere e giovani vite.
Le padrone sfruttano in tutto. Metà, tremila di pensione, si paga la servitù, si fa tre quarti e un quinto loro e un quinto noi. Accordi con i così detti ruffiani. Vera schiavitù. Quello che impressiona che la polizia indaga mai.
Viva la Merlin.
Finire lo sfruttamento. Basta indagare si sa”[30].

Non erano solo animati dall'avidità i tenutari dei bordelli, ma anche da sentimenti cattivi, se diamo credito al brano che segue:

“Moltissimi padroni dànno da mangiare dei polli interi ai suoi cani e biscotti, zabaglioni di uova ecc. ecc. Ed alle signorine danno la bistecca di 70 o 80 grammi l'una e licenziano la cuoca su due piedi se per caso si dovesse sbagliare a darne di più”[31].

Ed un'altra ragazza ci offre un quadro davvero desolante dei bordelli quando scrive:

“I padroni sono degli sporchi individui, i mezzani sono peggio di loro, e alcune colleghe sono delle vere e proprie pervertite che vanno dietro con le loro voglie alle altre ragazze. E anche da queste bisogna difendersi”[32].


 6. Quale futuro avevano le donne che uscivano dai bordelli?

Dal libro “Lettere dalle case chiuse” emerge che, giunte all'età di 35 anni, le donne che si prostituivano nelle case chiuse venivano mandate via e per loro non c'era un futuro. Spesso andavano incontro alla più squallida miseria. Significativi sono i due passi che seguono:

“Onorevole, brava con la sua legge, continui per la sua strada, non dia retta a coloro che ci hanno sempre sfruttate e poi quando non possono più sfruttarci ci buttano via come stracci”[33].

Un'altra donna scrive:

“Ammiro e sono quasi contenta del suo progetto; ma pensando che forse quest'altro poco tempo che mi è rimasto di sfruttare ancora i miei anni, in questo abbietto lavoro, poi non potrò più dare pane ai miei figli, mi viene quasi rammarico. Ci darà il governo un lavoro? Oppure saremo disprezzate e allontanate come siamo oggi?”[34].

Che le ragazze che si prostituivano fossero in seguito abbandonate al proprio destino non c'è nulla di cui meravigliarsi: dopo una vita trascorsa dentro un bordello e con soggetti – quali erano i clienti e i tenutari – preoccupati solo di sfruttarle per il proprio piacere e per i propri profitti, quale orizzonte poteva profilarsi nella loro vita? E quale futuro, oggi, può avere una ragazza costretta a prostituirsi sulle nostre strade o in qualche anonimo appartamento?


7.        Conclusioni

Sia diversi politici – anche donne che ricoprono la responsabilità di parlamentare o di sindaco di qualche Comune – che ampi strati dell'opinione pubblica ritengono necessaria la riapertura delle “case chiuse”, così che il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione venga legalizzato e, a loro avviso, sottratto alla malavita organizzata. Dai brani del libro della sen. Lina Merlin emergono, però, diversi problemi, che certamente si riproporrebbero con un'eventuale riapertura dei postriboli.
In primo luogo, a gestire le future “case chiuse” potrebbero essere gli stessi soggetti che oggi  sfruttano le donne conducendole sui marciapiedi dopo averle fatte entrare clandestinamente nel nostro Paese. A indossare l'abito della legalità sarebbero certamente anche quanti attualmente hanno trasformato anonimi appartamenti in postriboli illegali. Si parla anche di promuovere e organizzare cooperative composte da donne; è tuttavia risaputo che molte cooperative non rappresentano altro che gli interessi di una sola persona, che ufficialmente ricopre la carica di presidente della cooperativa, ma poi – nella realtà – ne è il “padrone”.
In secondo luogo, anche oggi il reclutamento delle prostitute avverrebbe coinvolgendo ragazze che vivono situazioni di disagio sociale, come tossicodipendenti e donne separate con figli. E' probabile che anche le giovani che hanno conseguito un titolo di studio come la laurea potrebbero essere coinvolte in un giro di prostituzione legalizzata: non trovando una seria occupazione lavorativa, e dovendo scegliere tra emigrare all'estero e restare in Italia a vendere il proprio corpo, potrebbero trovarsi ad optare per quest'ultima soluzione.
Un'eventuale legalizzazione della prostituzione, poi, concorrerebbe certamente a deresponsabilizzare i soggetti istituzionali preposti all'assistenza e al sostegno delle fasce sociali più deboli. Se oggi le donne che cercano un lavoro per far fronte al mantenimento dei figli e al pagamento dell'affitto per la casa sono invitate dalle assistenti sociali del Comune di appartenenza a lavorare nelle imprese di pulizia, un domani, con lo sfruttamento legalizzato della prostituzione, potrebbero essere invece indirizzate a “vendere” il proprio corpo presso un bordello, così da “guadagnare” e non essere più un peso sociale.
Per quanto riguarda i controlli sanitari e di ordine pubblico, nulla fa pensare che oggi – tra “malasanità” e “malagiustizia” –  la situazione potrebbe essere diversa e migliore rispetto al 1958.
Un altro punto sul quale è opportuno fare una seria riflessione riguarda i limiti che avrà certamente una legge sull'eventuale legalizzazione della prostituzione: fino ad oggi le proposte di legge avanzate da alcuni parlamentari non tengono conto del fatto che a dettare le future regole non sarà l'offerta delle prestazioni sessuali, ma la domanda imposta dai clienti. Se attualmente la “tariffa” di un rapporto sessuale consumato in strada non è inficiata da contributi Inps, versamenti di iva e spese per il mantenimento di una casa, con l'eventuale legalizzazione della prostituzione essa certamente lieviterebbe, raggiungendo anche il triplo di quella che viene attualmente richiesta. E quanti clienti – bisogna chiedersi – saranno disposti a evitare le donne che si prostituiscono per strada per recarsi nei futuri postriboli e pagare, così, una cifra molto più alta? Finché ci saranno clienti che non vorranno – o non potranno, per le limitate risorse finanziarie a disposizione – recarsi nelle “case chiuse” che si intendono riaprire, continueremo ad avere donne che si prostituiranno per strada proprio come accadeva in passato.
Altra considerazione. In Olanda i ragazzini crescono con la convinzione che le donne che si mostrano in vetrina possono essere ordinate e utilizzate come una merce prodotta in serie. Anche ciò che sta accadendo in questi ultimi anni in Germania – ovvero quello che viene considerato il Paese europeo con il più grande mercato della prostituzione – contribuisce a confermare che un'eventuale legalizzazione del meretricio in Italia avrebbe effetti deleteri, e che non si registrerebbe alcun effetto positivo circa la tutela della prostituta da violenze e discriminazioni. Come si evince da un articolo pubblicato sulla rivista "Der Spiegel" in Germania l'attuale normativa, approvata nel 2001, che dovrebbe regolamentare quello che viene definito il mestiere più antico del mondo, ha consentito l'apertura di un rilevante numero di bordelli che praticano tariffe forfettarie e dove, di fatto, le donne – che provengono per lo più dalla Romania e dalla Bulgaria – sono costrette a lavorare in condizioni economiche sempre più svantaggiate, impiegate a ritmi estenuanti e costrette a ogni tipo di prestazione sessuale[35]. La legalizzazione della prostituzione ha pure determinato l'aumento del traffico di esseri umani e dell'affluenza di donne dall’estero, “soprattutto dall’Est europeo, mentre, nonostante tutto, la prostituzione di strada è sempre presente[36].
In Germania, dunque, non soltanto l'obiettivo della legge di eliminare lo “sconcio” pubblico della visibilità delle prostitute non è stato raggiunto, ma è stata anche peggiorata la situazione, con conseguenze negative sull'immagine e la dignità della donna, come dimostra il fenomeno che viene così descritto:

«Le agenzie di viaggio organizzano bus turistici e offrono tour anche di otto giorni che hanno come meta i bordelli tedeschi, molti a prezzo forfettario. Le escursioni sono “legali” e “sicure”, scrive un fornitore sulla sua homepage per rassicurare i potenziali clienti a cui vengono promesse fino a 100 “donne completamente nude” con indosso nient’altro che i tacchi. Alcuni clienti sono stati persino prelevati all’aeroporto e portati ai club in una Bmw Serie 5»[37].

A distanza di circa 15 anni dall'approvazione della legge tedesca si può concludere che in Germania la legalizzazione della prostituzione non ha funzionato. Anzi, ha reso pure più difficile contestare il reato di sfruttamento ai protettori, che sono riusciti a trincerarsi dietro ad una parvenza di legalità e  ha determinato il peggioramento delle condizioni delle donne, le quali, a chi ha raccolto le loro testimonianze, hanno descritto situazioni a volte forse anche peggiori rispetto a quanto le prostitute italiane scrivevano alla senatrice Lina Merlin negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso.
Cosa fare in Italia, allora, per sottrarre il fenomeno della prostituzione alla malavita organizzata? Personalmente ritengo che la strada migliore da seguire – e certamente anche la più difficile – è quella della sensibilizzazione e di un cambiamento culturale[38]. Un cambiamento che può avvenire da un lato perseguendo soprattutto i clienti delle prostitute col sequestro di beni (si pensi all'automobile utilizzata per consumare un rapporto sessuale in strada) e sanzioni amministrative, dall'altro a livello educativo, sensibilizzando le nuove generazioni al rispetto del proprio e dell'altrui corpo, sottolineando che una ragazza che si prostituisce non vende semplicemente il proprio corpo, ma svende l'immagine stessa della donna.

[Il presente testo è stato rivisto, ampliato e pubblicato nel volume "Non ero così e volevo crescere onesta. L'impegno della sen. Lina Merlin contro lo sfruttamento della prostituzione", di Carlo Silvano, ed. Youcanprint 2024, pp. 108. Il volume si può ordinare in tutte le librerie fisiche e si può reperire anche in quelle in rete. Per ulteriori informazioni sul volume cliccare sul seguente collegamento: Non ero così e volevo crescere onesta ]
  
  




[1]Lina Merlin, Carla Barberis, “Lettere dalle case chiuse”, Edizioni Avanti!, Cremona 1955, pp. 204.
[2]Lina Merlin, all'anagrafe Angelina (Pozzonovo 1889 – Padova 1979). Fu insegnante di scuola media, collaborò con diversi giornali e per la sua militanza nel Partito socialista italiano fu arrestata dai fascisti. Durante la Seconda guerra mondiale fu attiva come partigiana e  fu la prima donna ad essere eletta in Senato. Già quando lavorava come insegnante, Lina Merlin si occupò delle donne del Chioggiotto e del Polesine che, lasciate sole anche per settimane dai mariti che lavoravano come marinai e pescatori, si prostituivano per concedersi qualche piccolo lusso o anche per fame ai benestanti locali. Su iniziativa della senatrice Lina Merlin nel 1958 fu approvata la Legge n. 75 che aboliva in Italia la prostituzione legalizzata. Con questa legge venivano accolti nell'ordinamento legislativo del nostro Paese i principi della “Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione”, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con risoluzione 317 (IV) del 2 dicembre 1949, ed entrata in vigore il 25 luglio 1951.
[3]Carla Barberis era, in realtà, Carla Voltolina (1921-2005), giornalista e moglie di Sandro Pertini (1896-1990).
[4] Lettera n. 7.
[5] Lettera n. 2.
[7] Cfr. Lettera n. 12.
[8] Lettera n. 5 del 5 aprile 1950.
[9] Lettera n. 9 del 2 dicembre 1950.
[10] Lettera n. 11.
[11] Lettera n. 10 del 4 maggio 1955.
[12] Lettera n. 24 del 15 luglio 1949.
[13] Lettera n. 3.
[14] Lettera n. 54.
[15] Lettera n. 9.
[16] Lettera n. 15.
[17] Lettera n. 13 del 29 dicembre 1950.
[18] Cfr. Lettera n. 26.
[19] Cfr. Lettera n. 27.
[20] Lettera n. 14.
[21] Cfr. Lettera n. 24.
[22] Cfr. Lettera n. 27.
[23] Lettera n. 14.
[24] Lettera n. 17.
[25] Tombe dei vivi” è così che una ragazza, autrice della Lettera n. 27, definisce i postriboli. Nella lettera l'autrice si firma “Una delle tante”.
[26] Lettera n. 7.
[27] Lettera n. 5 del 5 aprile 1950.
[28] Lettera n. 7.
[29] Lettera n. 14.
[30] La lettera n. 16 non era firmata e non riportava né luogo, né data.
[31] Lettera n. 17.
[32] Lettera n. 24.
[33] Lettera n. 7.
[34] Lettera n. 11.
[35]Vedi il servizio giornalistico che la rivista tedesca “Der Spiegel” ha pubblicato il 30 maggio 2013.
[36]Ibidem.
[37]Vedi in blitzquotidiano.it il servizio “Germania. Prosti-tute, inferno nei bordelli legali, sfruttatori in paradiso”, del 24 giugno 2013.
[38]Su questo argomento si consiglia la visione del documentario “Il corpo delle donne”, di Lorella Zanardo.

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