Lo sfruttamento della prostituzione
e la chiusura delle “case di tolleranza”
con la legge della sen. Lina Merlin
di Carlo Silvano
Definito
e giustificato dal sentire comune come “il mestiere più antico del mondo”,
il fenomeno della prostituzione ruota, in realtà, attorno ad una criminalità
spesso barbara e crudele. Per tentare di comprendere l'opportunità o meno della
riapertura delle cosiddette “case chiuse” si propone, in questo
capitolo, una lettura di brani tratti da un libro[1]
curato dalla senatrice Lina Merlin[2]
e dalla giornalista Carla Barberis[3].
Già da giovane, Lina Merlin seguì come giornalista il fenomeno della
prostituzione e si convinse dell'opportunità di chiudere i bordelli con
un'apposita legge anche in Italia, dopo che questi erano stati aboliti in
Francia nel 1946, grazie soprattutto
all'impegno di una ex prostituta, Marthe Richard, eletta in parlamento.
Dal
1949 la senatrice Lina Merlin iniziò a ricevere numerose lettere da parte di
ragazze che si prostituivano nelle cosiddette “case chiuse”: si trattava
di lettere sia firmate che anonime, a volte senza l'indirizzo del mittente. In
certi casi le autrici si firmavano con uno pseudonimo. Nelle loro lettere le
ragazze invocavano la chiusura dei postriboli, chiedevano un aiuto materiale o
comunque economico, descrivevano la propria miseria, denunciavano gli
sfruttamenti e le inadempienze dei titolari delle case; non mancano tuttavia
lettere di ragazze che chiedevano di lasciare aperte le “case chiuse”.
Tra le tante lettere che la sen. Merlin ricevette, ne furono scelte settanta ai
fini della pubblicazione del libro, e tutte furono depositate presso un notaio
con studio a Milano. Si tratta di documenti spesso sgrammaticati, scritti da
ragazze che non hanno studiato o quantomeno completato il percorso scolastico.
Leggendo
le pagine di questo libro si ricavano numerosi elementi sulla vita che queste
ragazze conducevano nei postriboli.
Se
è importante conoscere la storia per comprendere il presente e progettare il
futuro, vale allora la pena di leggere i brani che seguono, per poi porsi degli
interrogativi sul fenomeno della prostituzione.
1. Il reclutamento delle prostitute
Dalle
lettere pubblicate si evince che nei bordelli venivano coinvolte quasi
esclusivamente due categorie di ragazze: quelle che si trovavano in stato di
bisogno e quelle – una risicata minoranza – che si illudevano di guadagnare in
breve tempo grosse cifre di denaro. Scrive una ragazza:
“Ci sono
tante e tante ragazze ingenue e povere come lo ero io che ci cascano dentro, ci
sono i vampiri (si riferisce ai titolari delle case, ndr) che succhiano
il sangue delle povere ragazze, ma se queste case non ci fossero anche se una
sbaglia una volta non ha più la possibilità di andare dentro. Quando una di noi
è nel giro, se proprio non è finita non la lasciano più uscire, perché oltre a
tutto ci fanno firmare tante cambiali, ci indebitiamo per vestirci per le
malattie per tutto, e pensi che se spendiamo per 50 dobbiamo firmare per 100, e
la Questura è d'accordo con le padrone e non possiamo protestare”[4].
La
stragrande maggioranza delle ragazze che si prostituivano nei bordelli
proveniva da fasce sociali molto deboli ed erano donne che vivevano in uno
stato di bisogno. Si tratta di giovani che erano state ingannate con la
promessa di un lavoro, violentate anche in famiglia, etichettate come puttane
e spesso vittime di luoghi comuni.
Ecco,
ad esempio, cosa scrive una ragazza figlia di un padre non noto:
“Onorevole,
sono
una di «quelle» e seguo con interesse quanto Lei vuol fare. Le dirò soltanto
perché a 25 anni faccio questa vita.
Ho
fatto le scuole medie e poi mi sono impiegata. Il mio principale quando ha
visto che sull'atto di nascita risultavo, senza mia colpa, figlia di N.N., ha
subito preteso di approfittare di me.
Il
resto va da sé”[5].
Da
notare che anche oggi, nelle nazioni che hanno legalizzato lo sfruttamento
della prostituzione, il reclutamento
delle prostitute avviene tra le fasce sociali più deboli, tra cui spesso
figurano immigrati e tossicodipendenti.
E' il caso – ad esempio – dell'Olanda, dove nel 1999 un'indagine evidenziò
quanto segue:
“[...]
solo un terzo del totale delle persone che esercitavano la prostituzione era in
possesso della nazionalità olandese. In totale furono censite 45 nazionalità
diverse: la maggior parte di queste persone provenivano dalla Repubblica
Dominicana, dalla Colombia, dalla Repubblica Ceca, dalla Romania e dalla
Polonia. Per quanto atteneva alle persone dedite alla prostituzione e non
dotate di regolare permesso di soggiorno non era noto alcun dato.
Al momento dell'indagine circa il 5% del totale delle persone
dedite alla prostituzione era di sesso maschile, mentre le stime indicavano che
un ulteriore 5% era transessuale. Anche in questo caso, il gruppo era formato
in larga parte da immigrati.
Il 10% delle persone dedite all'esercizio della prostituzione era
tossicodipendente: di questo gruppo, la maggior parte aveva in origine la
cittadinanza olandese”[6].
Ritornando
in Italia, prima dell'approvazione della Legge Merlin, nei postriboli si
trovavano spesso “sorelle maggiori rimaste orfane e con fratelli da crescere”.
Non mancava qualche donna abbandonata dal proprio marito[7].
In generale, comunque, era la miseria a spingere tante ragazze a vendere il
proprio corpo. Una di loro racconta:
“...ero
una ragazza profondamente onesta. Purtroppo però ebbi un fidanzato mascalzone
che sulla soglia del matrimonio mi lasciò, ed inoltre ebbi da lui un figlio che
porta il mio nome.
Non
avevo io un'occupazione e il mio stato non mi permetteva di fare molto. Cercavo
ugualmente e disperatamente un lavoro, ma non lo trovai.
Quando
arrivavo negli uffici tanti mi facevano proposte poco pulite, ma la fame nel
mio stato era qualcosa di terribile ed infine una sera incontrai un signore che
mi portò in un caffè nel centro di Milano. La questura quella sera venne in
quel caffè, mi chiesero i documenti, ma essendo quel luogo un posto equivoco ed
essi credendo che io ne fossi una frequentatrice, mi portarono in guardina, e
di lì iniziò la mia più nera storia”[8].
E
un'altra ragazza aggiunge:
“Io sono entrata nelle case di mia volontà
spontanea, però non sapevo più cosa fare, erano mesi che mangiavo una volta
ogni due giorni e nessuno mi dava lavoro e tante volte non potevo andarci io al
lavoro perché capivo che mi volevano però non per lavorare”[9].
Soprattutto
le orfane, o comunque le ragazze che non potevano contare sui propri genitori,
erano prese di mira dai tenutari dei bordelli. Interessante, al riguardo,
questa testimonianza:
“...Sono una
povera donna di 34 anni, con due figli a carico ed anche illegittimi. Il
destino ha voluto che io entrassi fin dai primi anni della mia gioventù, in
queste tetre «case chiuse» e non trovo il modo di uscirmene […].
Uscita dal
collegio dopo 15, 16 anni circa, quasi all'età di venti anni circa, inesperta
della vita, e ignara di tutto ciò che mi poteva succedere, senza per di più
genitori, il destino avverso ha voluto che io dopo un mondo di peripezie, e
lunghi digiuni, che a raccontarlo ci vorrebbe un romanzo, per volere di chi
ce ne ha colpa sono entrata in queste prigioni libere e come ripeto
non posso trovarne il modo di uscire”[10].
Sembra
che i giardini pubblici rappresentassero il luogo ideale per individuare e
adescare ragazze da avviare alla prostituzione nei bordelli. In diverse
lettere, infatti, le ragazze riferiscono di essere state avvicinate in questi
luoghi pubblici, come l'autrice della lettera che segue:
“Disperata
chiesi lavoro, aiuto, ma invano ed un giorno mentre giravo in un pomeriggio di
festa, lì in un giardino pubblico, mi avvicinai ad una signora elegante che era
ferma e le chiesi se poteva assumermi come cameriera […] questa signora sorrise
dicendo di non aver bisogno di cameriera e mentre mi allontanavo mi chiamò e
disse: Ho un lavoro per te, un lavoro che ti farà fare la signora e guadagnerai
molto. La seguii ciecamente e dopo due giorni mi trovai in una casa della quale
la elegante signora era padrona, e così per tanti anni sono stata schiava di quella
vita e sfruttata dai padroni di queste case. […].
Da
due anni vivo nella miseria; ho venduto tutto quello che avevo guadagnato con
il peccato e ora vivo nella più squallida miseria”[11].
La
stragrande maggioranza delle giovani che si prostituivano erano dunque
obbligate a farlo, così come sostiene anche l'autrice della missiva che segue:
“Si dice
tante volte in giro, io l'ho sentito spesso, che non siamo obbligate a entrare
nella vita. Non è vero: siamo peggio che obbligate. Tante volte sono dei luridi
sfruttatori che costringono a darsi al prossimo, tante volte è la fame, e altre
volte è il bisogno di soldi per poter mantenere la famiglia, o i figli, o il
marito malato, eccetera. Ma sempre sono gli altri a obbligarci a entrare in
questi inferni, a ricevere 30-35 uomini al giorno, i vecchi sporcaccioni e i
giovani infoiati, e quelli ubriachi, e quelli che gridano, e quelli che
vogliono sentir parlare. Quasi tutta questa gente, che paga per averci, come
bestie al mercato. Perché, e per quanto dovremo sopportare questa vergogna?”[12].
2. Chi
resiste alla chiusura dei bordelli?
Leggendo
alcune lettere inserite nel libro curato dalla sen. Merlin si colgono anche le motivazioni delle ragazze che invece
non sono a favore della chiusura dei bordelli:
la paura di finire in prigione, la “necessità di contenere” i
depravati e di “occuparsi” dei soldati in caso di occupazioni militari.
Scrive una ragazza:
“Gentile
Senatore,
dicono
che mi metteranno in galera appena chiudono le case ma io non ho mai fatto del
male a nessuno e in galera non ci voglio andare, ci vadano i padroni che ci
sfruttano il sangue a tutti noi, sono una di quelle ma non ero così e volevo
crescere onesta...”[13].
Viene
spontaneo chiedersi, leggendo questo passo, chi abbia inculcato nella mente
dell'autrice la paura di finire in prigione.
Nella
lettera che segue emerge invece l'obiettivo del guadagno facile, la solitudine
delle prostitute, l'amarezza di fronte alla presa di coscienza del valore del
proprio corpo.
“Si entra coll'incoscienza, il miraggio di
ambizioni stupide. E dopo quando vediamo che questo denaro è veramente sudato
col nostro dono migliore, non dà né il risultato e nemmeno la felicità, non
siamo più capaci di trovare la vera via. [...] Passano gli anni, le speranze,
qualche illusione d'amore, una grande pietà ci prende per noi stesse per essere
così perdutamente sole”[14].
Con
i bordelli era possibile realizzare cospicui incassi e di questo erano ben
consapevoli le ragazze che vi si prostituivano, per le quali tuttavia restavano
soltanto le briciole e le umiliazioni. Interessante il passo che segue:
“Pensate che solo nella prima casa di M. composta
di sei ragazze, dove la tariffa è di L. 1500, se un signore vuole intrattenersi
qualche ora deve sborsare dalle 30-40-50 mille lire. Dietro quelle pareti
chiuse nessuno li disturba e nessuno può immaginare ciò che succede. Altro che
bisogno naturale fisiologico. Di naturale si possono contare qualche caso
solo”.
Ad
approfittare delle prostitute non sono solo i tenutari, ma anche sanitari,
poliziotti, personale addetto al postribolo, venditori, ecc.. La disperazione e
la mancanza di alternative inducono tante ragazze e donne ad entrare nei
bordelli, così come leggiamo nel brano che segue:
“Infine mi
sono decisa a mettermi con un uomo però era peggio degli altri e allora sono
tornata a cercare di lavorare ma senza trovare niente. Allora sono entrata
nelle case: che qui almeno il mangiare è assicurato anche se fanno tante
ruberie e tante ingiustizie, e posso mantenere il mio figlio.
Oramai ho
trentacinque anni e non posso trovarmi ancora in mezzo di una strada e forse
morirò presto perché sono malata per adesso leggera ma potrei anche aggravarmi.
Io dico allora che fino che si può devo rimanere dentro le case e guadagnarmi
più soldi che posso. Non è possibile che ricomincio da capo”[15].
Ai
magri guadagni si aggiungono le umiliazioni, come emerge da questo e da molti
altri brani:
“Guai
se una si rifiuta al cliente di fare delle cose sconcie: Su guardi [dicono le
tenutarie] che la mia casa sono abituati i clienti a tutto senò domani se ne
vada, e poverina a male in cuore bisogna fare o andarsene”[16].
3. Igiene e
controlli medici
In
tanti forum presenti in “rete” e gestiti anche da giornali, nonché in diverse
trasmissioni televisive, non manca chi invoca la riapertura delle “case di
tolleranza”, così da sottoporre le prostitute a continue visite mediche,
proprio come – secondo loro – accadeva prima dell'approvazione della legge
Merlin. Ma è proprio vero che nei bordelli esistenti a quel tempo si tutelava
la salute delle ragazze e dei loro clienti con l'impiego di medici? Ecco cosa
scrive una ragazza:
“Quelle due visite settimanali, fatte nella casa
stessa, senza mezzi adeguati o anche all'ambulatorio comunale per le tesserate
non ospiti delle case, non sono meglio che niente, sono il nulla, o il peggio,
poiché fingono di dare all'inesperto, o incauto cliente, una sicurezza che il
medico serio non può dare [...]. D'altra parte, quale garanzia può offrire la
donna ai clienti che si succedono a decine in una sola giornata?”.
Ed
un'altra ragazza aggiunge:
“Mi fanno
ridere quando vengono per far le visite di controllo.
La
maggioranza sono sempre d'accordo (mangiano tutti e tutti tacciono). Nel mese
di marzo 1950 venne una bella giovane di anni 21 naturalmente non pratica di
nulla. Incominciò il traffico, le fecero fare l'esame del sangue, dopo dieci
giorni ebbe la risposta positiva. Quanti sifilitici à fatti solo lei? Mettiamo
che sono solo 40 al giorno, che codesta signorina accontentava, dieci giorni
400 persone.
[…] Non le
dico poi delle povere ragazze! Vengono sfruttate e consumate fino alle midolle.
E devono tacere e fare silenzio.
Signora
Senatrice faccia un'opera pia, al più presto possibile faccia chiudere”[17].
Se
non mancavano medici disonesti che imponevano alle prostitute il pagamento di
esorbitanti cifre durante le visite di controllo[18],
capitava pure che in altre città i medici non visitassero le prostitute, le
quali, quindi, rischiavano di ammalarsi e di trasmettere ad altri le proprie
malattie[19]. La
scarsità di disinfettanti e detersivi si evince dalle semplici e poche parole
che seguono:
Chiedete
alle Signorine i disinfettanti chi li paga? Voi vedete sempre i credenzini in
ordine, quelli guai chi li tocca, sono sempre intatti e pieni”[20].
In
sostanza, nelle “case chiuse” i tenutari erano obbligati a tenere
disinfettanti e detersivi che, però, non passavano alle ragazze per non doverli
di nuovo acquistare.
Nei
bordelli le ragazze vivevano in precarie condizioni igienico-sanitarie:
dormendo anche negli stessi letti dove ogni giorno ricevevano i clienti, non
lasciavano che per poche ore la loro camera, e ciò causava vari disturbi legati
anche all'insonnia. Erano praticamente recluse per tante ore nella stessa
camera e molte avevano incubi[21].
Stordite dai neon[22]
che assicuravano la luce anche fino alle due di notte, le ragazze erano private
anche di aria fresca perché le finestre
erano sempre chiuse. Una ragazza denuncia:
“In molte
case poi le Signorine sono costrette a dormire assieme perché il personale non
ha le camere, perché tutti i buchi sono stati sfruttati […] materassi e
biancheria nuova la ostentano a ogni commissione di controllo che si sa più o
meno in anticipo e così si preparano i letti, ghiacciaie piene di carne,
credenze piene di pasta e così via. Quando arriva un commissario noti che ci
telefonano avvisandosi una con l'altra. […]
E' inutile
che mandiate commissioni e ci interroghiate davanti alla direttrice, alle
padrone, oppure anche senza queste, dentro le case. La verità non si può mai
dire, non per viltà, ma perché sai che puoi fare la valigia e andartene e non
venire più sulla piazza perché ti segnano a dito e nessuno ti vuole più”[23].
Una
ragazza si sofferma sulla scarsità del cibo quando scrive che “Le signorine
ed il personale hanno il mangiare misuratissimo”[24].
Era
davvero grave, poi, che nelle “tombe dei vivi”[25],
ovvero nei bordelli, fossero costrette a prostituirsi anche le ragazze
ammalate, così come scrive una ragazza:
“Se
stai male, hai la febbre, devi lavorare lo stesso, perché la padrona altrimenti
ti manda via”.
A
dipingere uno squallido ritratto della situazione igienico-sanitaria dei
bordelli c'è anche una ragazza che usa queste parole:
“...siamo
giovani e sembriamo delle vecchie e solo per il fatto che non prendiamo mai
aria buona siamo quasi tutte gialle in faccia. Mettiamo i belletti per tirarci
su ma se ci vedesse quando ci alziamo!
Faremmo
pena a tutti meno che a quelli che ci guadagnano su di noi e dicono che noi
siamo sgualdrine e non abbiamo voglia di lavorare.
Loro
però hanno macchine pellicce i gioielli e noi sifilide, tubercolosi e nessuno
ci vuole bene”[26].
4. I
controlli della polizia
Le
ragazze costrette a prostituirsi nei bordelli non manifestavano una buona
concezione della polizia che, attraverso la sezione del “buon costume”,
vigilava sulle “case chiuse”. In tante lettere traspare rabbia e paura
nei confronti degli agenti che avrebbero dovuto tutelarle. In sintesi,
poliziotti e carabinieri vengono descritti come corrotti, approfittatori e, soprattutto,
come personaggi che, abusando del proprio ruolo, impedivano a queste ragazze di
scrollarsi di dosso il marchio di prostitute e di ricominciare una nuova
vita.
Nel
brano che segue una ragazza, decisa nel
voler assicurare un futuro al proprio figlio, scrive:
“...sono
convinta che questo tentativo ed altri che ne farò, se ne saranno necessario,
varranno a qualcosa, se non altro a mettere alla luce come la funzione del buon
costume sprezzante ed insultante, nel medesimo tempo convinti di poter mettere
sotto i piedi con il loro potere qualsiasi persona, invece di amministrare
queste faccende delicatissime con umana giustizia, ne approfittano per compiere soprusi di questo e altro genere
convinti di non trovare chi ne metta loro i bastoni fra le ruote”[27].
Ed
un'altra aggiunge:
“Ci salvi
tutte Onorevole e che più nessuna ragazza entri in queste case come ci sono
entrata io e che nessuna debba più essere sfruttata da nessuno e minacciata
anche dalla polizia. Si guardi anche da questa, che quasi sempre sono d'accordo
e quando non sono d'accordo proprio sono dalla loro parte e contro di noi (però
poi vengono con noi e non ci danno
niente)[28].
5. I tenutari
Chi
gestiva i bordelli? E che opinione le ragazze avevano dei propri datori di
lavoro? Ecco cosa scrive una di loro:
“Questi
esseri abbietti immondi aguzzini sfruttatori continuano spudoratamente ad
incassare almeno qui in R. e nelle grandi città cifre iperboliche che varia a
seconda delle tariffe...”[29].
Dalle
varie lettere contenute nel libro curato dalla sen. Merlin si ricava che ogni
bordello ospitava almeno quattro ragazze e che diversi tenutari gestivano più
di una casa di tolleranza. Nelle missive pubblicate nel volume si esprime
rabbia e indignazione. La lettera n. 16 rappresenta una sintesi di quanto
denunciavano le ragazze, ed è così breve che viene riportata per intero.
“La Sign.
Merlin potrebbe applicare la legge anche come hanno potuto arricchire così
sfacciatamente certi esseri spregevoli sangue delle povere vittime. Accordi con
trafficanti. Ragazze giovani rovinate. Insista la Merlin per levar dalla
schiavitù tante povere e giovani vite.
Le padrone
sfruttano in tutto. Metà, tremila di pensione, si paga la servitù, si fa tre
quarti e un quinto loro e un quinto noi. Accordi con i così detti ruffiani.
Vera schiavitù. Quello che impressiona che la polizia indaga mai.
Viva la
Merlin.
Finire lo
sfruttamento. Basta indagare si sa”[30].
Non
erano solo animati dall'avidità i tenutari dei bordelli, ma anche da sentimenti
cattivi, se diamo credito al brano che segue:
“Moltissimi
padroni dànno da mangiare dei polli interi ai suoi cani e biscotti, zabaglioni
di uova ecc. ecc. Ed alle signorine danno la bistecca di 70 o 80 grammi l'una e
licenziano la cuoca su due piedi se per caso si dovesse sbagliare a darne di
più”[31].
Ed
un'altra ragazza ci offre un quadro davvero desolante dei bordelli quando
scrive:
“I
padroni sono degli sporchi individui, i mezzani sono peggio di loro, e alcune
colleghe sono delle vere e proprie pervertite che vanno dietro con le loro
voglie alle altre ragazze. E anche da queste bisogna difendersi”[32].
6. Quale futuro avevano le donne che uscivano dai
bordelli?
Dal
libro “Lettere dalle case chiuse” emerge che, giunte all'età di 35 anni,
le donne che si prostituivano nelle case chiuse venivano mandate via e per loro
non c'era un futuro. Spesso andavano incontro alla più squallida miseria.
Significativi sono i due passi che seguono:
“Onorevole, brava con la sua legge, continui per
la sua strada, non dia retta a coloro che ci hanno sempre sfruttate e poi
quando non possono più sfruttarci ci buttano via come stracci”[33].
Un'altra
donna scrive:
“Ammiro e
sono quasi contenta del suo progetto; ma pensando che forse quest'altro poco
tempo che mi è rimasto di sfruttare ancora i miei anni, in questo abbietto
lavoro, poi non potrò più dare pane ai miei figli, mi viene quasi rammarico. Ci
darà il governo un lavoro? Oppure saremo disprezzate e allontanate come siamo
oggi?”[34].
Che le ragazze che si prostituivano
fossero in seguito abbandonate al proprio destino non c'è nulla di cui
meravigliarsi: dopo una vita trascorsa dentro un bordello e con soggetti –
quali erano i clienti e i tenutari – preoccupati solo di sfruttarle per il
proprio piacere e per i propri profitti, quale orizzonte poteva profilarsi nella
loro vita? E quale futuro, oggi, può avere una ragazza costretta a prostituirsi
sulle nostre strade o in qualche anonimo appartamento?
7.
Conclusioni
Sia diversi politici – anche donne che
ricoprono la responsabilità di parlamentare o di sindaco di qualche Comune –
che ampi strati dell'opinione pubblica ritengono necessaria la riapertura delle
“case chiuse”, così che il fenomeno dello sfruttamento della
prostituzione venga legalizzato e, a loro avviso, sottratto alla malavita
organizzata. Dai brani del libro della sen. Lina Merlin emergono, però, diversi
problemi, che certamente si riproporrebbero con un'eventuale riapertura dei
postriboli.
In primo luogo, a gestire le future “case
chiuse” potrebbero essere gli stessi soggetti che oggi sfruttano le donne conducendole sui
marciapiedi dopo averle fatte entrare clandestinamente nel nostro Paese. A
indossare l'abito della legalità sarebbero certamente anche quanti attualmente
hanno trasformato anonimi appartamenti in postriboli illegali. Si parla anche
di promuovere e organizzare cooperative composte da donne; è tuttavia risaputo
che molte cooperative non rappresentano altro che gli interessi di una sola
persona, che ufficialmente ricopre la carica di presidente della cooperativa,
ma poi – nella realtà – ne è il “padrone”.
In secondo luogo, anche oggi il
reclutamento delle prostitute avverrebbe coinvolgendo ragazze che vivono
situazioni di disagio sociale, come tossicodipendenti e donne separate con
figli. E' probabile che anche le giovani che hanno conseguito un titolo di
studio come la laurea potrebbero essere coinvolte in un giro di prostituzione
legalizzata: non trovando una seria occupazione lavorativa, e dovendo scegliere
tra emigrare all'estero e restare in Italia a vendere il proprio corpo,
potrebbero trovarsi ad optare per quest'ultima soluzione.
Un'eventuale legalizzazione della
prostituzione, poi, concorrerebbe certamente a deresponsabilizzare i soggetti
istituzionali preposti all'assistenza e al sostegno delle fasce sociali più deboli.
Se oggi le donne che cercano un lavoro per far fronte al mantenimento dei figli
e al pagamento dell'affitto per la casa sono invitate dalle assistenti sociali
del Comune di appartenenza a lavorare nelle imprese di pulizia, un domani, con
lo sfruttamento legalizzato della prostituzione, potrebbero essere invece
indirizzate a “vendere” il proprio corpo presso un bordello, così da “guadagnare”
e non essere più un peso sociale.
Per quanto riguarda i controlli sanitari
e di ordine pubblico, nulla fa pensare che oggi – tra “malasanità” e “malagiustizia”
– la situazione potrebbe essere diversa
e migliore rispetto al 1958.
Un altro punto sul quale è opportuno
fare una seria riflessione riguarda i limiti che avrà certamente una legge
sull'eventuale legalizzazione della prostituzione: fino ad oggi le proposte di
legge avanzate da alcuni parlamentari non tengono conto del fatto che a dettare
le future regole non sarà l'offerta delle prestazioni sessuali, ma la domanda
imposta dai clienti. Se attualmente la “tariffa” di un rapporto sessuale
consumato in strada non è inficiata da contributi Inps, versamenti di iva e
spese per il mantenimento di una casa, con l'eventuale legalizzazione della
prostituzione essa certamente lieviterebbe, raggiungendo anche il triplo di
quella che viene attualmente richiesta. E quanti clienti – bisogna chiedersi –
saranno disposti a evitare le donne che si prostituiscono per strada per
recarsi nei futuri postriboli e pagare, così, una cifra molto più alta? Finché
ci saranno clienti che non vorranno – o non potranno, per le limitate risorse
finanziarie a disposizione – recarsi nelle “case chiuse” che si
intendono riaprire, continueremo ad avere donne che si prostituiranno per
strada proprio come accadeva in passato.
Altra considerazione. In Olanda i
ragazzini crescono con la convinzione che le donne che si mostrano in vetrina
possono essere ordinate e utilizzate come una merce prodotta in serie. Anche
ciò che sta accadendo in questi ultimi anni in Germania – ovvero quello che
viene considerato il Paese europeo con il più grande mercato della
prostituzione – contribuisce a confermare che un'eventuale legalizzazione del
meretricio in Italia avrebbe effetti deleteri, e che non si registrerebbe alcun
effetto positivo circa la tutela della prostituta da violenze e
discriminazioni. Come si evince da un articolo pubblicato sulla rivista "Der
Spiegel" in Germania l'attuale normativa, approvata nel 2001, che
dovrebbe regolamentare quello che viene definito il “mestiere più antico del mondo”, ha consentito l'apertura di un
rilevante numero di bordelli che praticano tariffe forfettarie e dove, di
fatto, le donne – che provengono per lo più dalla Romania e dalla Bulgaria –
sono costrette a lavorare in “condizioni economiche sempre più svantaggiate, impiegate a
ritmi estenuanti e costrette a ogni tipo di prestazione sessuale”[35].
La legalizzazione della prostituzione ha pure determinato l'aumento del traffico
di esseri umani e dell'affluenza di donne dall’estero, “soprattutto dall’Est
europeo, mentre, nonostante tutto, la prostituzione di strada è sempre presente”[36].
In Germania, dunque, non soltanto l'obiettivo della legge di
eliminare lo “sconcio” pubblico della visibilità delle prostitute non è
stato raggiunto, ma è stata anche peggiorata la situazione, con conseguenze
negative sull'immagine e la dignità della donna, come dimostra il fenomeno che
viene così descritto:
«Le
agenzie di viaggio organizzano bus turistici e offrono tour anche di otto
giorni che hanno come meta i bordelli tedeschi, molti a prezzo forfettario. Le
escursioni sono “legali” e “sicure”, scrive un fornitore sulla sua homepage per
rassicurare i potenziali clienti a cui vengono promesse fino a 100 “donne
completamente nude” con indosso nient’altro che i tacchi. Alcuni clienti sono
stati persino prelevati all’aeroporto e portati ai club in una Bmw Serie 5»[37].
A distanza di circa 15 anni dall'approvazione
della legge tedesca si può concludere che in Germania la legalizzazione della
prostituzione non ha funzionato. Anzi, ha reso pure più difficile contestare il
reato di sfruttamento ai protettori, che sono riusciti a trincerarsi dietro ad
una parvenza di legalità e ha
determinato il peggioramento delle condizioni delle donne, le quali, a chi ha
raccolto le loro testimonianze, hanno descritto situazioni a volte forse anche
peggiori rispetto a quanto le prostitute italiane scrivevano alla senatrice
Lina Merlin negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso.
Cosa fare in Italia, allora, per
sottrarre il fenomeno della prostituzione alla malavita organizzata?
Personalmente ritengo che la strada migliore da seguire – e certamente anche la
più difficile – è quella della sensibilizzazione e di un cambiamento culturale[38]. Un cambiamento che può
avvenire da un lato perseguendo soprattutto i clienti delle prostitute col
sequestro di beni (si pensi all'automobile utilizzata per consumare un rapporto
sessuale in strada) e sanzioni amministrative, dall'altro a livello educativo,
sensibilizzando le nuove generazioni al rispetto del proprio e dell'altrui
corpo, sottolineando che una ragazza che si prostituisce non vende
semplicemente il proprio corpo, ma svende l'immagine stessa della donna.
[Il presente testo è stato rivisto, ampliato e pubblicato nel volume "Non ero così e volevo crescere onesta. L'impegno della sen. Lina Merlin contro lo sfruttamento della prostituzione", di Carlo Silvano, ed. Youcanprint 2024, pp. 108. Il volume si può ordinare in tutte le librerie fisiche e si può reperire anche in quelle in rete. Per ulteriori informazioni sul volume cliccare sul seguente collegamento: Non ero così e volevo crescere onesta ]
[Il presente testo è stato rivisto, ampliato e pubblicato nel volume "Non ero così e volevo crescere onesta. L'impegno della sen. Lina Merlin contro lo sfruttamento della prostituzione", di Carlo Silvano, ed. Youcanprint 2024, pp. 108. Il volume si può ordinare in tutte le librerie fisiche e si può reperire anche in quelle in rete. Per ulteriori informazioni sul volume cliccare sul seguente collegamento: Non ero così e volevo crescere onesta ]
[1]Lina
Merlin, Carla Barberis,
“Lettere dalle case chiuse”, Edizioni Avanti!, Cremona 1955, pp. 204.
[2]Lina Merlin, all'anagrafe
Angelina (Pozzonovo 1889 – Padova 1979). Fu insegnante di scuola media,
collaborò con diversi giornali e per la sua militanza nel Partito socialista
italiano fu arrestata dai fascisti. Durante la Seconda guerra mondiale fu
attiva come partigiana e fu la prima
donna ad essere eletta in Senato. Già quando lavorava come insegnante, Lina
Merlin si occupò delle donne del Chioggiotto e del Polesine che, lasciate sole
anche per settimane dai mariti che lavoravano come marinai e pescatori, si
prostituivano per concedersi qualche piccolo lusso o anche per fame ai
benestanti locali. Su iniziativa della senatrice Lina Merlin nel 1958 fu
approvata la Legge n. 75 che aboliva in Italia la prostituzione legalizzata.
Con questa legge venivano accolti nell'ordinamento legislativo del nostro Paese i principi della “Convenzione
per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della
prostituzione”, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con
risoluzione 317 (IV) del 2 dicembre 1949, ed entrata in vigore il 25 luglio
1951.
[3]Carla Barberis era, in realtà,
Carla Voltolina (1921-2005), giornalista e moglie di Sandro Pertini
(1896-1990).
[4] Lettera n. 7.
[5] Lettera n. 2.
[7] Cfr. Lettera n. 12.
[8] Lettera n. 5 del 5 aprile 1950.
[9] Lettera n. 9 del 2 dicembre
1950.
[10] Lettera n. 11.
[11] Lettera n. 10 del 4 maggio 1955.
[12] Lettera n. 24 del 15 luglio
1949.
[13] Lettera n. 3.
[14] Lettera n. 54.
[15] Lettera n. 9.
[16] Lettera n. 15.
[17] Lettera n. 13 del 29 dicembre
1950.
[18] Cfr. Lettera n. 26.
[19] Cfr. Lettera n. 27.
[20] Lettera n. 14.
[21] Cfr. Lettera n. 24.
[22] Cfr. Lettera n. 27.
[23] Lettera n. 14.
[24] Lettera n. 17.
[25]
“Tombe dei vivi” è
così che una ragazza, autrice della Lettera n. 27, definisce i postriboli.
Nella lettera l'autrice si firma “Una delle tante”.
[27] Lettera n. 5 del 5 aprile 1950.
[28] Lettera n. 7.
[29] Lettera n. 14.
[30] La lettera n. 16 non era firmata
e non riportava né luogo, né data.
[31] Lettera n. 17.
[32] Lettera n. 24.
[33] Lettera n. 7.
[34] Lettera n. 11.
[35]Vedi il
servizio giornalistico che la rivista tedesca “Der Spiegel” ha
pubblicato il 30 maggio 2013.
[36]Ibidem.
[37]Vedi in
blitzquotidiano.it il servizio “Germania.
Prosti-tute, inferno nei bordelli legali, sfruttatori in paradiso”, del 24 giugno 2013.
[38]Su questo argomento si
consiglia la visione del documentario “Il corpo delle donne”, di Lorella
Zanardo.
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