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Il caso "Ruby" insegna ai minori come ottenere il successo?

TREVISO -  A distanza di tempo riprendere a parlare del caso "Ruby-Berlusconi" può rivelarsi utile per discutere sul futuro dei nostri giovani che, attraverso le nuove tecnologie, si immergono in un mondo molto distante da quello degli adulti. Con la psicologa Rita Giannetti, che mi ha rilasciato l'intervista che segue, affronto, in particolare, il tema dei rapporti sessuali tra i minori e il ruolo che i media possono avere per legittimare o meno certi fenomeni sociali. Rita Giannetti coordina il centro di orientamento scolastico di Pordenone, è presidente di "Telefono rosa" a Treviso e fa parte del Circolo di lettura "Matilde Serao" di Villorba.

Dottoressa Rita Giannetti, c'è un degrado diffuso in tutta Italia: minori che fanno sesso e si esibiscono davanti a video camere per poi vomitare su internet filmati girati anche all'interno delle aule scolastiche. Se i rapporti sessuali staccati dall'affettività, e anche mercificati, accadevano anche in passato, ciò che ora appare come una novità è proprio il fatto che questi adolescenti mostrano di non avere alcun pudore né remora morale. Qual è, secondo lei, soprattutto sotto il profilo educativo, il pericolo insito nel fare e mostrare questi filmati?
E’ necessario fare una premessa: le nuove tecnologie - internet, cellulari, e altro ancora - hanno di fatto modificato il nostro modo di comunicare e hanno reso la comunicazione e i contatti tra le persone più diretti, senza “altra” mediazione, consentendo una visibilità personale nel mondo esterno che non ha paragoni. I giovani, che, rispetto agli adulti, hanno un'innata facilità ad usare le tecnologie, si sono appropriati di questi strumenti e per molti di loro si è creata, potremmo dire, una forma di dipendenza tale da non distinguere l’uso dall’abuso. Senza questi elementi è difficile comprendere i cambiamenti in atto nella società italiana ed europea, dove molti giovani mescolano la ricerca dell’autonomia con il libero accesso alle tecnologie, la costruzione di relazioni affettive con l’esibizione di sé, una vera messa in onda e in rete dei propri comportamenti senza alcun vincolo, l’acquisizione di competenze sociali, personali e di apprendimento con il competere contro gli altri considerando come valori imprescindibili il possesso di denaro, l’aspetto fisico secondo canoni dettati dai mass media, il successo senza impegno personale. Se consideriamo che l’adolescenza è un periodo di grandi trasformazioni fisiche, psicologiche, cognitive, che comportano impegnativi compiti di sviluppo per ogni ragazzo, ci appare più chiaro il nuovo contesto in cui avvengono e si sviluppano le relazioni tra pari, con la famiglia e con gli adulti che rivestono un ruolo significativo per il giovane. Per i giovani il vero pericolo, dal punto di vista educativo, non consiste solo nell’esibire una sessualità che non ha più controllo e mettere in atto comportamenti illegali, ma nel ritenere che tali comportamenti possano in qualche modo venire giustificati dal mondo degli adulti e accettati come forme di immaturità o, peggio, in quanto determinati dai cambiamenti sociali e culturali su cui si sta affermando una forma di “impotenza sociale” per interventi di arginazione di questi fenomeni.
Le cosiddette “agenzie educative”, come famiglia e scuola, hanno un ruolo determinante sul versante dell’educazione, in quanto promotrici della formazione in itinere del giovane e non solo come “agenti” di punizione e rigore quando i comportamenti attivati generano situazioni ad alto rischio personale e sociale. E hanno il compito di osservare i fenomeni, predisporre azioni educative, monitorare i cambiamenti che avvengono e instaurare con i giovani un nuovo modo di dialogare che si focalizzi sull’ascolto attivo e sul feedback continuo di idee, riflessioni e progetti che diano un nuovo senso alla relazione con i giovani e per i giovani.
A me sembra che il dibattito che di tanto in tanto si accende attorno al caso “Ruby” sia di chiaro stampo maschilista: pare, infatti, che vari opinionisti, e purtroppo anche donne impegnate in politica, siano intenti a farci credere che, in fondo, devono essere lasciate libere quelle donne che vogliono barattare la propria libertà sessuale in cambio del successo. Lei cosa ne pensa? E un discorso del genere, in che misura può coinvolgere anche una minorenne?
Per la mia esperienza non solo come psicologa, ma anche come presidente del “Telefono Rosa” di Treviso, non posso che condividere la sua opinione: ancora oggi, nonostante il lungo percorso di emancipazione che la donna ha fatto in questi ultimi 50 anni, la conquista di diritti sanciti anche dalla nostra Costituzione e da leggi importanti come quella contro la violenza sulle donne, assistiamo attonite al dibattito - sia in televisione che sulla stampa -, rispetto al concetto che la libertà delle proprie scelte, e quindi anche quella dell’uso del proprio corpo, debba essere un fatto privato e personale anche quando si configura come una vera schiavitù o viene percepito dalle giovani donne come l’unico mezzo per ottenere il successo, il riconoscimento di sé, ma, credo, soprattutto “il poter contare” ed affermare “io esisto”! Se questa è l’immagine che la nostra società richiede alle giovani donne, il rischio è che tale modello diventi il solo punto di riferimento per la costruzione della propria identità e anche l’unico progetto di vita.
Secondo lei, i mass media come hanno trattato e stanno trattando il caso “Ruby”? Cioè, lei è soddisfatta per il genere di informazioni che riceve su questa vicenda giudiziaria?
Nonostante tutto, siamo in un Paese democratico dove la stampa è libera ed informa, anche su posizioni diverse. E’ anche vero che su questo caso si è sviluppato un business mediatico che - mi sembra di poter affermare - ci ha reso un po’ tutti “guardoni un po’ morbosi e superficiali” di quanto è avvenuto. L’informazione dei mass media va comunque selezionata e va operata da parte del lettore o telespettatore una lettura/visione critica di quanto viene proposto per poter rielaborare una propria idea sulla vicenda e non semplicemente una presa d’atto.
In che termini - secondo lei - il fenomeno della prostituzione minorile intacca il sistema dei valori della nostra società?
Innanzitutto perché lede i diritti di crescita e sviluppo equilibrato dei bambini sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti dei bambini del 1990… basterebbe solo questa risposta… ma posso aggiungere che una società matura e democratica deve avere come valore prioritario il futuro dei bambini. Il fenomeno della prostituzione minorile nel mondo è tra i più gravi crimini che possono essere commessi; solo questo dovrebbe far riflettere! E' un fenomeno che sta assumendo i contorni di una vera e propria piaga a livello mondiale. Ormai in tutti i paesi meta di turismo internazionale, dall'Estremo Oriente all’America Latina, all’Europa, la prostituzione infantile sta toccando livelli allarmanti, coinvolgendo centinaia di migliaia di bambini e adolescenti, costretti al commercio sessuale da organizzazioni clandestine che ne gestiscono i proventi. In Italia, la prostituzione minorile riguarda in primo luogo i minori stranieri condotti sul territorio nazionale dalla criminalità organizzata.
Il caso “Ruby” può aiutare, secondo lei, a leggere degli aspetti della società italiana che difficilmente cogliamo in altri contesti? Ed eventualmente quali sono questi aspetti?
Mi sembra che questo caso li abbia portati “allo scoperto”, lasciandoli scoprire anche a quella parte della società che pensava non esistessero. Abbiamo tutti aperto un po’ più gli occhi su una società che da troppo tempo guardava maggiormente verso “i forti”, che riteneva solo il successo personale come un motore di sviluppo sociale, parlava alla pancia delle persone senza preoccuparsi del cuore e della testa, facendo sì che chi più aveva più potesse avere, lasciandoci credere che tra legalità ed illegalità in fondo ci sia solo un “il” in più!
Sul caso “Ruby” quale dovrebbe essere, secondo lei, la risposta responsabile che la classe politica deve dare per salvaguardare gli autentici diritti delle donne e, in particolare, delle minorenni?
Una condanna ferma e rigorosa, un impegno a contrastare ogni forma di violenza e abuso sui minori e sulle donne, anche quando sono coinvolti personaggi politici, destinando risorse economiche, sociali e culturali, perché solo attraverso una precisa progettualità possono pensare di contribuire a costruire una nuova etica nei rapporti tra la classe politica e i cittadini.
Questa giovane marocchina di nome Ruby rischia, secondo lei, di diventare – comunque vada il processo a Silvio Berlusconi – un modello per delle minorenni? Può parlamene?
Nonostante tutto, non ritengo che possa diventare un modello per le minorenni; l’enorme esposizione mediatica che ha avuto, ha anche fatto vedere che “ il mondo dei potenti” si costruisce sui soldi e sulla mercificazione del corpo delle donne. Il movimento delle donne, che sembra essere rinato dopo queste vicende, ci fa vedere che si è riaperto un dibattito serio che ha anche coinvolto molte giovani e che forse dopo molti anni, in cui pensavamo di aver già conquistato tutto, si è aperto uno scambio intragenerazionale tra noi e loro. Questa può essere la strada per un nuovo dialogo sulle pari opportunità, fondato sulla consapevolezza che i diritti conquistati vanno ogni giorno coltivati per non perderli.
In conclusione, di questa vicenda giudiziaria qual è l'aspetto che più la preoccupa? Perché?
Un aspetto rilevante: che non si faccia chiarezza e distinzione tra vittima e “utilizzatore”. Se ciò avvenisse, apriremmo una porta che conduce in un terreno che non ha più confini, dove prevale l’idea che se tutti hanno fatto qualcosa di sbagliato, allora la gravità dei comportamenti diminuisce, e si sviluppa “un pensiero sociale” che “tutto” in fondo si può fare, basta farlo tutti!
(a cura di Carlo Silvano, silvcarlo[chiocciola]tin.it)

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