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Ricordi della naja (1)

Tra le mie carte ho riesumato dei racconti scritti durante il servizio militare svolto tra Savona e Casarsa della Delizia (Pordenone) tra febbraio 1989 e gennaio 1990 (1° scaglione 1989). Ecco il primo racconto.

Tutta la camerata è illuminata. Dall'edificio del vicino battaglione del "19° Guide" giungono delle note di musica leggera che portano un po' di buonumore. Intorno alle ore 20.30 sono in pochi in camerata. Quasi tutti sono andati in giro per le vie di Pordenone o in qualche pizzeria più per sentirsi fuori dal perimetro del muro di cinta della caserma che per fame. Altri, invece, sono al "Centro tempo libero" a guardare la televisione.
Fa abbastanza caldo e qualcuno in mutande si è sdraiato sulla branda a leggere un giornale; un altro, invece, armato di santa pazienza e applicandosi ingegnosamente, si cimenta in un arduo lavoro di riparazione della propria radio portatile che puntualmente, alle due di notte, mentre dorme profondamente, gli scivola dal letto cadendo a terra, attirandosi così le imprecazioni di chi ha il sonno leggero. Non manca, poi, chi guarda fuori dalla finestra con lo sguardo perso e a ripensare alle ultime parole che la fidanzata gli ha impresso nella memoria nel corso dell'ultima telefonata.
Insomma, è una serata molto tranquilla, di quelle che si spengono lentamente tra piccole noie e grandi sospiri. E' il termine di un giorno vissuto in caserma, un giorno che va via e che fa accorciare i tempi di arrivo del prossimo scaglione, mentre la fine della propria naja si fa più vicina: un'altra crocetta, in sintesi, su un numero della propria stecca personale. E' una tranquillità, però, che non tarda a svanire, soffocata com'è da un urlo improvviso: "Un topo! Un topo!... sotto l'armadietto di Giulio!".
E' un attimo e tutti si armano con le prime cose che capitano sottomano: anfibi e scarpe ginniche sono i proiettili preferiti ed anche più efficaci, ma anche la scopa per le pulizie giornaliere - imboscata in un vecchio e appartato stipo per evitare che ogni mattina ci siano perdite di tempo e calorose dispute per accaparrarsi quelle poche che la "Fureria" mette a disposizione - può rivelarsi un'arma decisiva per sopprimere, schiacciare, sventrare ed evirare l'indesiderato intruso.

Tra i ragazzi presenti in camerata non manca, poi, quello che non sapendo cosa prendere, afferra dalla vicina branda la coperta del compagno assente. Dalla "Fureria", intanto, arriva pure un rinforzo con la stecca "antirospo", ovvero un semplice bastone da suonare in testa a chi chiede le solite informazioni su come si compila un nullaosta, quasi volesse, con questo suo infastidire, scovare un nuovo regolamento in merito.
In breve la caccia si fa spietata e senza esclusioni di colpi: la prassi vuole che come prima manovra vengano serrati tutti gli armadietti aperti, mentre la seconda manovra consiste nel sistemare due validi piantoni all'ingresso della camerata. A questo punto chi ha una coperta sale sulla branda più vicina all'armadietto dove si è asserragliato il nemico, mentre un altro - quello con la scopa - vi si piazza davanti, tenendo saldamente la propria arma e pronto ad usarla non appena un terzo commilitone inizi a scuotere il mobile.
L'azione, dopo questi preliminari, ha subito luogo e il topo - che in realtà non è altro che un miserabile sorcio più morto di paura che vivo - non tarda ad uscire ai primi scossoni dati violentemente all'armadietto, per infilarsi con una incredibile velocità tra le gambe del militare che gli sta davanti. Quest'ultimo, non aspettandosi tanta temerarietà, non riesce a rispondere in maniera adeguata e si limita a dare un secco colpo sul pavimento per ricevere, in cambio, una coperta in testa.
Il malcapitato sorcio riesce così a dirigersi senza alcuna difficoltà verso l'uscita della camerata; qui i due piantoni stanno discutendo e chiedendosi se quel colpo di scopa sia riuscito ad annientare il nemico, e così se lo lasciano debitamente sfuggire.
Il sorcio, però, non può ancora ritenersi al sicuro: in breve si trova alle calcagna una folla scatenata e urlante che lo insegue per tutto il corridoio con scarponi e cuscini che si agitano nell'aria. Qualcuno che in quel momento sta uscendo da una delle camerate adiacenti, si ritira bruscamente prima al passaggio del sorcio e poi a quello degli inseguitori, e infine, anch'egli rabbioso e furioso, si accoda alla truppa inferocita. Intanto il sorcio non è ancora arrivato alla porta che apre sul pianerottolo, che un sergente, attirato dal trambusto, si pianta mussolinianamente sulla soglia. Un respiro profondo, pancia in dentro e petto in fuori, dopodiché urla: "Cosa sta succedendo qui dentro?".
La vista del topolino gli appare una risposta più che esauriente: sgrana gli occhi, serra le labbra e allunga timidamente un piede per calpestarlo. Il sorcio, però, sebbene si trovi di fronte a preponderanti forze nemiche, sembra inafferrabile e [continua]. 
(di Carlo Silvano, silvcarlo@tin.it)

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