Viviamo in un mondo attraversato da troppe forme di violenza e di ingiustizia. Ogni giorno i nostri occhi si aprono su notizie e immagini che ci raccontano un’umanità ferita. I più colpiti sono i più deboli: i bambini, le donne, gli anziani, ma anche tanti uomini e giovani che non hanno voce e non trovano difesa.
Pensiamo ai bambini che dovrebbero crescere nella spensieratezza, ma che diventano vittime degli adulti, sfruttati, abusati o costretti a lavorare fin da piccoli nelle fabbriche, nelle miniere, in condizioni disumane che negano loro il diritto all’infanzia. Ci sono bambini che non conoscono il gioco, che non hanno la possibilità di ricevere istruzione, che portano sulle spalle un peso più grande della loro età. Ogni volta che un bambino soffre, Dio stesso soffre, perché nei loro occhi innocenti si riflette il volto del Figlio che si è fatto piccolo e indifeso per salvarci.
Pensiamo alle donne, spesso relegate ai margini, costrette a mendicare per sopravvivere o a prostituirsi per necessità. Donne che non possono accedere all’istruzione, che non hanno la possibilità di esprimere i loro talenti, che subiscono umiliazioni e abusi. Eppure, proprio le donne sono chiamate a generare vita e speranza: quando vengono calpestate nella loro dignità, viene calpestato il progetto di Dio stesso sull’umanità.
Non dimentichiamo gli anziani, che dopo aver speso la vita nel lavoro e nel sacrificio si trovano a vivere la solitudine, senza cure, senza assistenza sanitaria, senza nemmeno il cibo sufficiente. Anziani che diventano un peso agli occhi del mondo, ma che per Dio restano un tesoro di saggezza, memoria e amore. L’abbandono degli anziani è un segno doloroso di una società che perde il senso della gratitudine e del rispetto per chi ci ha preceduto.
Di fronte a queste realtà siamo chiamati a riconoscere una verità fondamentale: davanti a Dio non ci sono persone di serie A, di serie B o di serie C. Ogni uomo e ogni donna, in qualsiasi parte del mondo viva, ha lo stesso valore. Non esiste un dolore più importante di un altro. Dove un uomo soffre, lì soffre anche Dio. Quando ci concentriamo troppo su alcune situazioni di violenza, rischiamo di dimenticare che le ferite dell’umanità sono diffuse ovunque, spesso anche vicino a noi, nelle nostre città, nelle nostre comunità e persino nelle nostre famiglie.
Un giorno, davanti al Signore, non saremo giudicati per non aver risolto i drammi lontani, che non ci appartenevano direttamente e che forse non avremmo mai potuto cambiare. Saremo invece chiamati a rendere conto del bene che non abbiamo compiuto nella nostra realtà quotidiana: del tempo non donato, della carità negata, delle occasioni di amore lasciate andare. Le parole del Vangelo sono chiare: “Ero affamato e mi avete dato da mangiare, ero malato e mi avete visitato, ero forestiero e mi avete accolto”. Non ci sarà chiesto se abbiamo cambiato il mondo intero, ma se abbiamo cambiato il mondo di chi ci vive accanto.
Per questo la nostra risposta non può essere l’indifferenza o la rassegnazione, ma la preghiera e il bene concreto. Pregare per tutti significa portare davanti a Dio il dolore del mondo, senza distinzione, e chiedere che la sua misericordia tocchi ogni cuore. Fare il bene al prossimo significa essere segni della sua presenza nelle piccole cose: una parola che consola, un gesto di accoglienza, un aiuto a chi è in difficoltà.
È così che si costruisce il Regno di Dio: non con i grandi progetti che rimangono solo ideali, ma con il bene quotidiano che diventa testimonianza. Se ciascuno di noi imparasse a farsi vicino al fratello che soffre, senza giudicare e senza chiudere gli occhi, il mondo intero ne sarebbe trasformato.
Gesù Cristo stesso ci ha insegnato che Dio si identifica con gli ultimi: in ogni bambino sfruttato, in ogni donna umiliata, in ogni anziano abbandonato, in ogni uomo dimenticato. Guardare a loro con compassione è guardare al volto di Cristo. Non possiamo salvare tutti, ma possiamo amare chi ci sta accanto. E in questo amore semplice, Dio si manifesta e rende nuova la storia. (Carlo Silvano)
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