Nell'intervista
che segue il prof. Giulio Vignoli
tocca alcuni temi che recentemente – con Achille Ragazzoni –
ho trattato con lo storico nizzardo Alain Roullier-Laurens. E'
l'occasione per aprire un vivace e proficuo dibattito intorno alla
questione nizzarda. Al di là delle singole posizioni è importante
che – con rispetto per l'altrui opinione – si parli di Nizza,
della sua storia, del suo presente e del suo futuro.
Giulio
Vignoli, già docente di diritto internazionale all'Università di
Genova, è iscritto all'Associazione culturale “Nizza italiana”
ed è autore di numerose ed apprezzate pubblicazioni sulle comunità
italiane che vivono fuori dagli attuali confini politici della nostra
nazione.
Prof.
Giulio Vignoli, lei afferma che la cessione di Nizza era inevitabile
per raggiungere l'unità nazionale, ma al tempo stesso ritiene che
l'Italia avrebbe dovuto - alla prima occasione – riprendersi questa
città. Non le sembra una contraddizione? Può spiegarci meglio il
suo pensiero?
A
me non sembra una contraddizione. Spesso dobbiamo fare dei sacrifici
per raggiungere un risultato importante. Poi se è possibile, ci
diamo da fare perché questi sacrifici vengano annullati.
Io,
per esempio, ho dovuto fingere nel mondo accademico: per cercare di
fare carriera ho dovuto celare i miei veri sentimenti. Ho sempre
disprezzato il mondo accademico che considero mefitico. Quando poi
sono giunto a quella che secondo me era la meta che mi ero prefissa,
ho palesato la mia vera natura e i miei sentimenti. La guerra di
popolo chiesta da Mazzini era inattuabile vista la situazione in
cui si trovava lo stesso popolo. Coi forconi contro l'Impero
d'Austria?
La
guerra federale del 1848 era fallita perché alle prime sconfitte,
tranne il Regno di Sardegna, gli altri Stati italiani si erano
ritirati. Rimaneva appunto solo il Piemonte che da solo non ce
l'avrebbe fatta contro l'Austria. Ci voleva un forte alleato. L'unico
all'epoca interessato era la Francia di Napoleone III. Chi altro, se
no? E poi Napoleone III simpatizzava per i patrioti italiani. Non
aveva partecipato nel '30 ai moti mazziniani? Chiese un compenso,
oneroso, ma valeva la pena pagarlo per l'Unità e la liberazione
d'Italia. Le recriminazioni attuali sono ridicole. Critico però che
nel 1871, all'epoca dei Vespri nizzardi, non si sia colta l'occasione
per intervenire a Nizza. Ma anche Garibaldi sbagliò andando alla
difesa della Repubblica francese, che lo ricambiò con somma
ingratitudine, invece di accorrere a Nizza. Critico che i vari
Governi italiani non alzarono mai un dito di fronte alla persecuzione
degli italiani di Nizza dal 1860 al 1910. Ma questo l'ho scritto e
riscritto nelle mie pubblicazioni.
Il
Regno era debole, è vero, ma bisognava come minimo tenere sempre
desta l'attenzione dell'opinione pubblica. Anche Mussolini saltò
fuori con Nizza, senza adeguata preparazione. Comunque noi facciamo
tante critiche al Regno, ma vediamo cosa non fa la Repubblica? Questa
massa amorfa? Se addirittura un funzionario del consolato italiano di
Nizza strappa il microfono a uno studioso abbastanza noto perché
ricorda le persecuzioni francesi?
Lei
ha fatto ora un accenno a Giuseppe Garibaldi che era intervenuto per
difendere la repubblica francese. Ebbene, pare che Garibaldi non
abbia mai voluto un intervento militare per liberare Nizza perché
temeva un bagno di sangue a danno dei suoi concittadini. Lei cosa ne
pensa?
Non
l'ho mai sentito dire. Non ci credo.
Insomma, non si poteva proprio evitare la cessione di Nizza?
Premesso
che bisogna dare atto che la cessione di Nizza era malvista anche da
Camillo Benso conte di Cavour, occorre sottolineare che Napoleone III
premeva soprattutto dopo l'annessione di Toscana ed Emilia.
Minacciava anche. Se non avesse ottenuto Nizza, Napoleone III non
avrebbe nemmeno tollerato la spedizione dei Mille e l'invasione di
regioni come le Marche e l'Abruzzo.
prof. Giulio Vignoli
A
suo avviso Vittorio Emanuele II che concetto aveva dell'unità
nazionale italiana?
Vittorio
Emanuele II ambiva unire la Penisola e diventare Re d'Italia. Mi pare
un'ambizione legittima. Ricordiamo che fu Garibaldi a salutare
nell'agro di Teano o di Caianello (poco importa) "il
sopraggiunto Re", come Re d'Italia. Un evento glorioso,
indimenticabile: dopo più di mille anni l'Italia era una, come negli
auspici di grandi personaggi come Dante, Petrarca, Alfieri, Verdi e
Manzoni.
Lo
storico Alain Roullier-Laurens ha dei dubbi sulla vera identità del
padre di Vittorio Emanuele II...
Ma
guardi che questa storia è vecchia come il cucco. Già regnante
Vittorio Emanuele II circolava liberamente (c'era più libertà
allora che oggi). Io ho un bellissimo libro di mio padre dei primi
del Novecento, glorificante il Gran Re, dove è riportata questa
diceria. Indubbiamente Vittorio Emanuele II non assomigliava al
padre. Ma il naso era il suo e assomigliava agli Asburgo. Queste
dicerie nelle famiglie regnanti erano abituali. Tanto è vero che i
parti avvenivano alla presenza della corte proprio per smentirle. Ma
anche di Napoleone III si diceva che non era figlio di suo padre. In
questo caso il primo a dirlo era il re d'Olanda, che accusava
Ortensia di adulterio. Poi Luigi Bonaparte fu fatto passare per
matto.
Vediamo
il fatto. Come lei sa dopo i fatti del 1821 e la reazione di Carlo
Felice, Carlo Alberto fu allontanato dalla Corte e spedito in Toscana
presso il suocero Granduca. Una notte, a causa di una candela accesa,
la culla del piccolo Vittorio prese fuoco. La nutrice si buttò sulla
culla per spegnere il fuoco, il suo vestito prese fuoco e morì,
mentre il bimbo si salvò. Versione gossipistica: morirono tutti e
due e il bimbo fu sostituito col figlio di un macellaio dei dintorni.
Questa versione non regge per vari motivi...
Può
spiegarceli?
In
primo luogo, c'era la difficoltà di organizzare il tutto. In secondo
luogo, Maria Teresa di Toscana era fertile, tanto è vero che poi
generò Ferdinando, duca di Genova. A ciò deve aggiungersi che i
fratelli andarono sempre d'accordo, e mai risultò astio o invidia
nel secondo.
Viviamo
in un tempo dove i pettegolezzi più indegni hanno corso. Seppellirei
definitivamente la diceria su Vittorio Emanuele II.
Anche
per Vittorio Emanuele III si disse che non era figlio di Margherita,
ma sostituito. Colui che diceva di esserlo fece persino causa. E
questo non instaurata la Repubblica, ma negli anni Venti e Trenta del
secolo scorso. Un processo lunghissimo che si può leggere in un
libro di Casalegno - il giornalista ucciso dalle brigate rosse -
intitolato "La Regina Margherita" (Einaudi editore); e sì
che Vittorio Emanuele III assomigliava moltissimo in questo caso alla
madre.
(a
cura di Carlo Silvano)
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