Una storia che parla del nostro tempo
Un fatto di cronaca avvenuto tra Milano, Monza e Brianza ha rivelato la realtà drammatica di giovani costretti a vivere in condizioni di schiavitù moderna. Sfruttati per il traffico di droga, segregati, manipolati e ridotti a strumenti di profitto da organizzazioni criminali. È una notizia che colpisce per la sua crudeltà, ma ancora di più perché rivela una ferita profonda della nostra società: la perdita del valore della persona umana, la solitudine dei giovani, l’indifferenza collettiva.
Questo scenario, pur nella sua crudezza, richiama con forza i temi centrali del mio romanzo La figlia del professore: la fragilità, la mancanza di legami, il fallimento di una generazione di adulti incapace di proteggere e ascoltare. Il professore del romanzo rappresenta l’uomo che ha creduto negli ideali politici, ma non ha saputo tradurli in amore concreto. La figlia, invece, incarna il volto smarrito di chi paga il prezzo dell’assenza, di chi cerca senso e approdo e trova solo vuoti e silenzi.
Nel leggere la cronaca e nel ripensare alla storia che ho raccontato, sento quanto il romanzo, pur nella sua dimensione letteraria, si intrecci con la realtà. Lì come qui, la disgregazione delle relazioni familiari apre varchi a ogni forma di sfruttamento: economico, emotivo, sessuale. Dove non c’è educazione affettiva, dove non c’è presenza, nasce un terreno fertile per la devianza e la disperazione. “La figlia del professore” racconta proprio questo: cosa succede quando la società smette di essere comunità e le persone smettono di guardarsi negli occhi.
Il romanzo parla ai giovani che si sentono invisibili, ma anche agli adulti che hanno smesso di credere nel valore della responsabilità. È una riflessione sulla solitudine, sulla perdita, ma anche sulla possibilità di rinascere. La figlia, nel suo cammino verso la libertà, rappresenta la speranza che nonostante tutto resiste: quella che nasce dal desiderio di ritrovare se stessi, di credere ancora nel valore della vita, nella dignità di ogni essere umano.
Scrivere questo libro è stato un modo per interrogarmi — come cittadino e come autore — su che tipo di società stiamo costruendo. Una società che misura il valore delle persone in base alla produttività, o una che riconosce nella fragilità la sua parte più umana? Il professore, con la sua coscienza ferita e i suoi silenzi, è il simbolo di una generazione che ha perso il coraggio di dire la verità. La figlia, invece, è la voce di chi vuole riprendersi la propria vita, anche dopo averla quasi distrutta.
La figlia del professore non è solo un romanzo, ma un invito a riflettere. È una storia che parla di prostituzione, di droga, di fallimenti, ma anche di redenzione e di amore. È un libro che si rivolge a chi cerca una lettura intensa, capace di scuotere e far pensare; a chi ama i romanzi sulla coscienza, sui rapporti familiari, sulla giustizia sociale; a chi crede che la letteratura possa ancora aiutarci a guardare dentro noi stessi.
In fondo, questo libro vuole ricordare che ogni vita è degna di essere ascoltata. Che dietro ogni silenzio c’è una storia, e dietro ogni errore, una possibilità di rinascita. Perché — come accade anche nella cronaca — l’indifferenza uccide più della violenza. E solo la compassione, quella vera, può ancora salvarci.
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Per reperire il volume collegarsi a Youcanprint: La figlia del professore di Carlo Silvano

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