Ieri in Sicilia, oggi nel Congo…
Non si può mai giustificare la violenza
“Rosso Malpelo” è una delle novelle più emblematiche di Giovanni Verga, un capolavoro del Verismo italiano che denuncia le disumane condizioni di vita dei ceti più poveri nella Sicilia dell’Ottocento. Pubblicata per la prima volta nel 1878, questa novella racconta la storia di un ragazzo, Rosso Malpelo, vittima di un'esistenza segnata dalla miseria, dai pregiudizi e dalla crudeltà umana.
Il soprannome “Rosso Malpelo” deriva dalla credenza popolare che i capelli rossi fossero un segno di malvagità. Fin da piccolo, il protagonista è stigmatizzato dalla società che lo circonda e subisce continui maltrattamenti. Nell’ambiente di lavoro, una cava di sabbia rossa, viene malmenato fisicamente e moralmente dai compagni, trattato come un reietto senza alcuna possibilità di riscatto. Anche in famiglia, Malpelo trova solo freddezza e indifferenza: la madre e la sorella, anziché proteggerlo, lo considerano una fonte di vergogna e lo lasciano completamente solo nella sua sofferenza.
L’unica persona che gli dimostrava affetto era il padre, un umile lavoratore della cava, che Malpelo ammirava e considerava un eroe. Tuttavia, anche questa fragile fonte di amore gli viene strappata via quando il padre muore tragicamente in un incidente sul lavoro, proprio davanti ai suoi occhi. Da quel momento, Rosso Malpelo si convince che la vita non possa offrirgli altro che dolore e ingiustizia, accettando il suo destino di solitudine e violenza.
La storia di Rosso Malpelo è emblematica per comprendere come la violenza subita possa plasmare il comportamento di un individuo. A causa delle vessazioni e degli abusi, Malpelo sviluppa un carattere duro, cinico e diffidente. In alcune occasioni, diventa egli stesso carnefice, come nel caso del giovane compagno di lavoro Ranocchio, che Malpelo maltratta. Questo atteggiamento potrebbe essere visto come un tentativo di replicare il modello relazionale che ha interiorizzato fin da piccolo: chi è debole è destinato a subire.
Tuttavia, è fondamentale sottolineare che la violenza, per quanto spiegabile da un punto di vista psicologico, non può mai essere giustificata. La capacità di distinguere il bene dal male è qualcosa che ogni individuo può sviluppare con la maturità, indipendentemente dalle esperienze passate. Crescere in un contesto violento può rendere difficile rompere il ciclo dell’abuso, ma ogni persona ha il dovere morale di riconoscere che perpetuare la violenza non è mai una soluzione.
L’essere umano possiede un potenziale per la riflessione e il cambiamento che lo distingue dagli istinti più primitivi. Questo significa che, anche se le esperienze infantili possono influenzare profondamente il carattere e il comportamento di una persona, non ne determinano in modo definitivo le azioni future. La consapevolezza del male subito dovrebbe diventare un incentivo per rompere il ciclo della sofferenza, non per alimentarlo.
Se “Rosso Malpelo” ci appare come una denuncia sociale di un’epoca lontana, la sua drammatica attualità emerge se pensiamo al lavoro minorile che ancora oggi, nel XXI secolo, continua a esistere in molte parti del mondo. Un esempio tragico è quello delle miniere della Repubblica Democratica del Congo, dove migliaia di bambini vengono sfruttati per estrarre minerali preziosi come il cobalto, fondamentale per la produzione di batterie ricaricabili e dispositivi elettronici.
Proprio come Rosso Malpelo, questi bambini sono costretti a lavorare in condizioni disumane, in ambienti pericolosi e senza alcuna tutela. Trascorrono ore sotto terra, esposti a polveri tossiche e al rischio costante di crolli, spesso per salari irrisori o addirittura senza essere pagati. Molti di loro perdono la vita nelle miniere, vittime non solo di incidenti, ma anche di un sistema economico globale che chiude gli occhi di fronte a tali atrocità.
La storia di questi bambini ricorda tristemente quella di Rosso Malpelo: la povertà, l’ingiustizia e l’indifferenza della società si intrecciano per negare loro l’infanzia e una vita dignitosa. Le vicende del passato narrate da Giovanni Verga non sono solo un monito, ma un richiamo urgente a non ignorare le sofferenze che ancora oggi affliggono i più vulnerabili.
“Rosso Malpelo”, in conclusione, non è solo una denuncia sociale, ma un’opera che ci invita a meditare sulla complessità dell’animo umano. Mostra come l’ambiente e le esperienze possano plasmare una persona, ma ci ricorda anche che ognuno di noi ha il potere – e il dovere – di scegliere ciò che è giusto. Rompere il ciclo della violenza richiede coraggio, ma è un atto di resistenza necessario per costruire una società più giusta.
Infine, questa novella ci obbliga a guardare al presente con occhi più consapevoli: le ingiustizie descritte da Giovanni Verga non appartengono solo al passato, ma si manifestano oggi in forme diverse, come nel caso dei bambini sfruttati nelle miniere del Congo. Denunciare e combattere queste realtà è un dovere morale di ogni individuo e della società tutta, per impedire che il destino di “Rosso Malpelo” continui a ripetersi ovunque nel mondo. (Carlo Silvano)
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Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare sul collegamento a Il Libraccio: Libri di Carlo Silvano
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