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Giancarlo Grasso: Fare un film, racconta quello che sai

 

 

(Giovanni Galavotti, sceneggiatore)

 

(Adriano Sforzi, regista)

 

Su richiesta dell'amico e dottore Giancarlo Grasso, propongo in questo blog un'intervista a Giovanni Galavotti (sceneggiatore) e ad Adriano Sforzi (regista). 

Laboratorio di critica cinematografica

Fare un film: racconta quello che sai!

 Intervista a Giovanni Galavotti e Adriano Sforzi di Giancarlo Grasso

 

Un giovane Adriano Sforzi, agli inizi della sua carriera, domandò ad Ermanno Olmi quali dovevano essere le proprietà di un bravo regista. Olmi rispose lapidario: «Racconta quello che sai!»

Venendo da una famosa famiglia circense, i film di Sforzi raccontano quel mondo nella sua realtà, fatta di sacrifici quotidiani, allenamenti costanti, ma ad un tempo, mostrando anche la cultura che si cela dietro a questo mondo. 

Stessa cosa si può dire di Giovanni Galavotti, sceneggiatore, che ha scritto storie legate alla sua terra e al suo tempo. 

Un lavoro di critica cinematografica veramente fondato deve necessariamente prestare attenzione a tale aspetto, oltre logicamente alla qualità dello scritto e del girato di un film, dal momento che il cinema si può considerare una narrativa per immagini. 

In questa intervista sia Galavotti - candidato ai David di Donatello 2010 e vincitore del Premio Suso Cecchi D’Amico 2020 - sia Sforzi - vincitore del David di Donatello 2011 - si mostrano per quelli che sono, senza infingimenti. 

Il mondo del cinema è apertura, lavoro intellettuale, fiducia nel futuro. C’è sempre qualcosa da approfondire e su cui scrivere, non solo per eventuali pubblicazioni ma anche per noi stessi, perché ci arricchisce, ci spinge più avanti, ci stimola. Studiare apre sempre nuove prospettive. L’arte dà senso alla vita: è una forza che si autoalimenta e cresce sempre. Bisogna solo avere la curiosità e dargli tempo per costruire i suoi percorsi dentro di noi. Una vita dedicata all’arte e allo studio è assolutamente degna di essere vissuta. 

Ascoltarli, pertanto, è sicuramente utile per chiunque voglia intraprendere il difficile lavoro di critico cinematografico.

Parte prima

Note per una critica cinematografica

Credo che sia necessario, per prima cosa, una vostra breve presentazione, evidenziando quello che ritenete più opportuno...

Galavotti Sono uno sceneggiatore. Sono di Modena, ma vivo a Bologna. Ho scritto cortometraggi e lungometraggi. Di questi, alcuni sono stati realizzati, altri no, altri sono in attesa di essere prodotti. E perciò incrocio le dita, affinché possano andare a buon fine.

Sforzi Sono un regista, ma sono anche uno sceneggiatore e un piccolo produttore indipendente. Vengo da una famiglia dello spettacolo viaggiante. In particolare, la mia famiglia si occupa di circo e giostre da otto generazioni, ed anch’io spesso ho gestito alcuni spettacoli, contemporaneamente al lavoro di regista.

Ho avuto la fortuna di conoscere Ermanno Olmi e di lavorare con lui. Da qui è iniziata la mia avventura nel mondo del cinema: ho girato dei cortometraggi e nel 2011 ho vinto il Premio David di Donatello per il cortometraggio Jody delle giostre.

Adesso sto lavorando ad un altro documentario sul circo e al mio primo lungometraggio.

Il mondo del cinema è notoriamente un mondo difficile. Non voglio dire che sia chiuso, ma sicuramente non è semplice entrarvi...

Galavotti Durante l’università, studiavo Lettere, mi piaceva scrivere racconti. Poi ho cominciato a frequentare realtà inerenti al mondo della narrativa. In particolare, ricordo con piacere le discussioni che avvenivano tra noi che partecipavamo alle riunioni di una rivista letteraria, Il semplice. Ugo Cornia, che avevo conosciuto all’università, e che oggi è uno scrittore affermato, mi aveva invitato e ho cominciato ad andarci. Qui ho conosciuto, tra gli altri, scrittori come Ermanno Cavazzoni e Gianni Celati. Era una rivista di prose, come veniva chiamata, ed era pubblicata dalla Feltrinelli. Successivamente, facendo un corso di sceneggiatura con registi e sceneggiatori venuti da Roma, ho scoperto quello che volevo davvero, ossia scrivere. Devo dire che ero ignaro delle difficoltà che tale passione comportava, ma ho capito che quella era la mia strada. Sono andato a Roma, città fondamentale per poter iniziare questo lavoro, e ci sono rimasto per così dire invischiato. Certo, la situazione per chi lavora nel cinema non è semplice, anche a causa della crisi economica cominciata anni fa. I compensi si sono notevolmente abbassati e la crisi è stata acuita anche da una congiuntura internazionale fatta di guerre e di instabilità politica. In definitiva, la passione di scrivere è al momento l’unica vera ragione che mi spinge a fare questo.

Sforzi Sono arrivato al cinema, dopo essere “scappato” da casa. Fino all’età di dodici anni ero al seguito della mia famiglia. Dopo aver girato in lungo e in largo per l’Italia, ci siamo fermati in Liguria, precisamente a Genova.

In questa città, ho scoperto la passione per il calcio. Giocavo nella squadra primavera della Sampdoria. Devo dire che i miei idoli sono Roberto Baggio e Maradona. Le loro foto sono ai lati di quella di Chaplin nel mio studio. Sono molto legato alla Sampdoria, anche se da un po' di tempo non se la passa bene.

Poi, ho deciso di coltivare un’altra passione: quella del cinema. Ho lasciato la mia famiglia, un lavoro sicuro e sono venuto a Bologna. Mi sono iscritto al DAMS, indirizzo cinema e teatro, e qui ho conseguito la laurea. Nel 2000 sono uscite le prime piccole telecamerine. Al DAMS noi studenti grazie ad esse abbiamo incominciato a girare cortometraggi. Possiamo dire che c’è stata una democratizzazione del mondo del cinema. Aggiungo che sono stato avvantaggiato dal fatto che provenivo da una famiglia di imprenditori dello spettacolo e pertanto ero abbastanza esperto nell’organizzare spettacoli di intrattenimento: montare e smontare gli allestimenti, fare cassa. I soldi sono importanti, affinché lo spettacolo possa andare avanti.

Sono entrato nel mondo dei cortometraggi di Bologna come direttore di produzione, perché nessuno dei miei compagni di lavoro era capace di farlo. Sono stato, per così dire, avvantaggiato rispetto a loro.

Poi, però, ho incominciato a pensare di fare il regista e, naturalmente, avevo bisogno di un maestro. Venendo dal circo, è importante avere un maestro. Io ho avuto come maestro mio zio, Alberto Sforzi detto Bertino, unanimemente considerato il più bravo giocoliere del ‘900. A lui ho dedicato un mio documentario L’equilibrio del cucchiaino del 2015. Ricordo che dormivo con lui nella stessa roulotte. Mi divertivo molto nel vedere mio zio allenarsi e insegnarmi l’arte del mestiere. Lui si riprendeva con un Super 8 mentre faceva i suoi numeri. Nella sua roulotte c’erano quelle che nel gergo cinematografico si chiamano le pizze ed io piccolino le vedevo insieme a lui. Gli dicevo: «Zio, bisogna fare un film su di te!». Puntualmente, non ho fatto altro che realizzare un mio sogno di bambino. Un film che ha fatto il giro del mondo. Siamo stati persino in Cina ed ha vinto due premi al Biografilm Festival. In realtà il film è una storia d’amore tra mio zio e la figlia di Leonida Casartelli, proprietario del Circo Medrano.

La mia fortuna è stata quella di incontrare Ermanno Olmi. Ho frequentato la sua “non scuola” di cinema che si chiamava IpotesiCinema. Ho fatto l’assistente alla regia in Cento chiodi e per altri registi, fino poi a girare Jody delle giostre

Chiedo scusa per l’interruzione, ma ricordo che, insieme al Circo Medrano, hai fondato la Casa Fellini.

Più che fondata, l’abbiamo trovata! Era la casa dei nonni di Federico Fellini, immortalata nel film .

Da una finestra Fellini vide per la prima volta il circo. Grazie alla collaborazione del Comune di Gambettola è nata questa Casa, con la collaborazione non solo della famiglia Medrano, ma anche degli Orfei e dei Togni. Devo dire che, noi che veniamo dal mondo circense, siamo tutti imparentati. Ci sposiamo tra di noi… come i nobili! Nando Orfei era un caro amico di Fellini. Era Er Patacca di Amarcord.

Partendo dalle vostre esperienze di sceneggiatore e regista-sceneggiatore, è interessante sapere la vostra visione di come fare un film.

Galavotti La sceneggiatura è il punto di partenza di un film. È il film sulla carta, pronto per prendere corpo sul set. Ci sono registi che intervengono direttamente nella sua stesura, altri registi invece che si limitano a leggere e a esprimere pareri. Noi sceneggiatori siamo più metodici rispetto al lavoro di scrittura. Preferiamo rispettare tutte le tappe della scrittura: dal soggetto di poche pagine dove c’è la storia del film, al trattamento, dove si sviluppano trama e personaggi; poi c’è la scaletta, che permette di avere uno sguardo d’insieme della struttura del film, per vedere se ci sono “buchi di sceneggiatura”; infine la stesura della sceneggiatura o copione, come si dice anche in teatro, o script, come si dice oggi.

Concretamente, qual è stato il tuo modo di applicare la tua idea di sceneggiatura, partendo dai film che hai scritto come L’uomo che verrà, Il vegetariano o L’agnello?

Galavotti Ogni film ha una sua storia. Nel caso de L’uomo che verrà oppure ne Il vegetariano il soggetto c’era già, rispettando le tappe che ricordavo prima. Quando si parla di un film, inteso come arte e non puro intrattenimento, la parola “struttura” può suonare come qualcosa di meccanico. In realtà parlando di lungometraggi - e non di cortometraggi, che sono più liberi – la struttura è fondamentale. C’è bisogno di una struttura solida, per dare vita a un film di un’ora e mezza o due ore. Oggi poi ci sono film sempre più lunghi e il compito di chi scrive è quello non solo di portare le persone al cinema, ma anche di farle stare “sedute” per tutta la durata del film! La struttura è perciò non solo fondamentale, ma direi necessaria.

Tornando a L’uomo che verrà, siamo partiti da un soggetto già esistente, scritto da Giorgio Diritti (anche lui formatosi alla “non scuola” di cinema di Ermanno Olmi, e si vede dai suoi film), come per Il vegetariano, scritto da Roberto San Pietro. Non si può dire questo per L’agnello, diretto da Mario Piredda, dove siamo partiti da zero. Da un’idea di Piredda, attraverso discussioni e confronto di valutazioni su come si dovesse districare la storia, il film si è sviluppato in una storia inedita. In breve, la protagonista è una ragazzina tra i sedici e i diciassette anni che vive drammaticamente il suo rapporto con il padre malato. Ma molte cose sono cambiate dalla prima idea del film.

Un’opera può essere chiusa, ovvero intelligibile agli spettatori di qualsiasi epoca, oppure aperta, ossia con riferimenti al contemporaneo e perciò intelligibile solo agli spettatori dell’epoca in cui è ambientata. Nel caso de L’agnello il riferimento è diretto anche ai problemi legati alla presenza di basi militare e alla contemporanea diffusione di patologie che interessano persone e animali.

Galavotti In effetti, questa è un po’ la “scintilla” della storia, anche se rimane sullo sfondo. Nella zona della Sardegna dov’è ambientato il film esiste un poligono militare che viene affittato a eserciti di mezzo mondo per “allenarsi” a fare la guerra. La sperimentazione militare può in effetti aver portato a contaminazioni importanti, i sospetti sono fondati, ma per varie ragioni non è stato ancora completamente provato che ci sia una correlazione con la situazione di quella terra. Fatto sta che molte persone lì si ammalano di tumore, leucemia in particolare. L’incidenza è molto alta. Nascono anche molti animali deformi. Come detto abbiamo preferito lasciare la cosa sullo sfondo, il problema viene affrontato narrativamente attraverso la figura del padre malato. Il cuore della storia rimane quello di una figlia che, dopo aver perso la madre per la stessa malattia, vuole salvare il padre, che ama profondamente.

Il cinema può essere letto come “narrativa per immagini”. Da arte popolare si eleva a pari dignità del teatro o del romanzo. Un regista-sceneggiatore o uno sceneggiatore puro può chiamarsi “scrittore di cinema”?

Sforzi Trovo molto interessante questa definizione. Il cinema per me è qualcosa che ti fa spiare la vita dal buco della serratura dello schermo cinematografico. Io amo particolarmente i film che non pretendono di esprimere verità assolute, ma che ti lasciano la possibilità di scegliere tu il significato attraverso le tue esperienze, la tua cultura, i tuoi sentimenti. Quindi il film si può assolutamente considerare come narrativa per immagini! Ho lavorato, per scelta, più con attori non professionisti proprio per questa mia volontà di ricerca della realtà.

Per esempio, come nel docufilm Più libero di prima

Sì, racconto la storia di un ragazzo italiano accusato di aver ucciso un suo compagno di viaggio, imprigionato in India e liberato dopo tante traversie. Io conoscevo lui e la sua famiglia. Anche se era in prigione con un’altra ragazza, proprio tenendo presente la massima di Olmi, la storia si è incentrata prevalentemente su di lui e sulla sua famiglia. Sono stato più volte in India ed ho corso il rischio di essere anche arrestato io stesso. Per fare questo docufilm, non era possibile avere una sceneggiatura intesa nel senso classico e con attori professionisti. Però io ho molto rispetto per questo modo di vedere il film come narrativa per immagini. Anzi, io aspiro ad essere uno “scrittore di cinema”, e so bene che esserlo è molto ma molto complicato! Essere uno scrittore di cinema significa anche essere uno scrittore attraverso il mimo, attraverso il suono, e così via. È necessario, poi, studiare le varie tecniche di scrittura di cinema, perché se è vero che il cinema può assurgere a dignità letteraria è anche vero che si discosta dal modo di scrivere un’opera teatrale o un romanzo. Per me è stata una necessità studiare la tecnica di scrittura cinematografica, comprendere la struttura di un film, il modo di stendere una sceneggiatura. I miei film vanno da un costo di ventimila euro a due milioni di euro o anche cinque milioni di euro. Come produttore indipendente, devo tenere sotto controllo tutti gli aspetti di un film. Tuttavia, anche se riconosco l’importanza della figura di sceneggiatore, devo dire che preferisco fare da me una sceneggiatura. Il motivo è che i miei film, per quanto detto prima, sono molto personali e si ispirano ad un mondo che se non si vive in prima persona è difficile comprendere. E questo vale anche per chi studia un film, per chi fa il lavoro di critico. In fin dei conti “racconta quello che sai” vale anche per un critico. Un critico che non conosce una realtà, come può svolgere con coscienza e serietà il suo compito? Purtroppo, non sempre il critico si attiene a questa regola deontologica. Ed è un peccato! Una critica sincera, è sempre bene accetta. Ritornando al mio modo di fare un film, dico che io seguo il personaggio, nel senso “zavattiniano” del termine, lo curo, lo faccio nascere. Adesso, sto collaborando con alcuni sceneggiatori, perché sto lavorando su personaggi non reali, ma di fiction. Essere scrittori di cinema è molto, ma molto complesso. E qui credo che anche Giovanni possa essere d’accordo con me….

Galavotti Sì, posso confermare quanto detto da Adriano.

Sforzi Io sono un aspirante sceneggiatore, sono più regista. Vado sul posto, vedo il luogo, incomincio a pensare come girare…

Il cinema è a vostro avviso messo in difficoltà dai nuovi media, in particolare dall’esplosione dello streaming che è diventato talmente invasivo da trasformare il modo di concepire la cosiddetta settima arte? Le sale cinematografiche sono una realtà in declino e chiudono. Le piattaforme online stanno prendendo il loro posto. I produttori vogliono profitti sicuri e i film che non fanno “cassa” vengono subito tolti dal circuito.

Galavotti È un tema difficile da affrontare. Sicuramente è cambiato il modo di fruire lo spettacolo cinematografico. A Bologna siamo fortunati, ci sono la Cineteca e altre realtà estremamente impegnate nel difendere la sussistenza delle sale. Ma in molte altre città, specie nei centri storici, le sale cinematografiche sono scomparse. E non si può dire che la loro assenza sia colmata dalle piattaforme online. Di film di ottima fattura ce ne sono, ultimamente ne sono usciti tanti. Ma, per esempio, un film importante come La chimera di Alice Rohrwacher, di una regista ormai riconosciuta in tutto il mondo, è rimasto nelle sale per pochissimo tempo. Questo è difficile da capire.

Però la Rohrwacher non ha un grande seguito…

Galavotti Questo non lo so, tra le persone che conosco è seguita e apprezzata. Sicuramente il suo è cinema d’autore e non di puro intrattenimento. Richiede un maggiore impegno, una maggiore partecipazione intellettuale da parte degli spettatori. Quello che posso dire è che gli spettatori si sono sicuramente abituati a film con tempi di racconto estremamente serrati, colmi di colpi di scena ed effetti speciali. Ma non essendo né un produttore né un distributore non conosco queste dinamiche nel profondo.

Sforzi Io vado in controtendenza, penso infatti che il cinema stia benissimo. Oggi possiamo vedere film coreani, indiani, africani… È il sistema cinematografico a essere andato in crisi. Il sistema basato sulle sale cinematografiche, sulla distribuzione intesa nel senso classico. Prima andare al cinema era il grande evento, uno andava nelle sale proprio perché si aspettava di assistere ad un evento straordinario. Oggi il grande evento lo puoi trovare in casa. Ci sono schermi televisivi che non hanno nulla da invidiare allo schermo di una sala cinematografica. Ma il cinema per me va alla grandissima… Il sistema che c’è dietro è un disastro completo.

Quando sono venuto a Bologna, dalla Stazione a Piazza Maggiore c’erano moltissime sale. I giovani potevano vedere tantissimi film, vivere il cinema. Adesso ci sono soltanto negozi di vestiti o di ristorazione. I giovani cosa devono fare? Andare per vestiti o per mangiare, manca una politica culturale che sostenga il cinema. Io svolgo anche l’educatore di cultura cinematografica nelle scuole e mi chiedo quanti giovani conoscono Georges Méliès, che possiamo dire è stato un antesignano di TikTok. Manca nelle scuole uno studio delle arti multimediali e, quindi, anche del cinema. E non si può dire che a livello di Unione europea ci sia una sensibilità tale da far ben sperare. Poi se facciamo un discorso sul cinema d’autore allora bisogna chiedersi cosa uscirà fuori da questi TikTok? Io non lo so, però sono fortemente curioso. Io non sono preoccupato per niente, perché quando possiamo vedere un film come quello di Alice Rohrwacher, allora vuol dire che il cinema è vivo. Secondo me, stiamo assistendo solo ad una nuova versione del cinema. È successo quando è arrivato il sonoro, quando è arrivato il colore, quando è arrivato il 3D. La bellezza del cinema è proprio la sua capacità di trasformarsi e sorprenderti… come la vita.

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Giancarlo Grasso, laureato in Scienze politiche, ha pubblicato il volume "Memento mori, sei una persona. Non può essere compresa in altro, se non altrimenti". Per informazioni cliccare sul collegamento: Libro di Giancarlo Grasso 


 

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