È freddo. È Russia. È il millenovecentodiciassette. Un’inquietudine crescente, un senso di
malessere mi invadono; sono una lettrice nata quasi sessant’anni
dopo, in un Paese abbastanza caldo, poco avvezza alla neve; di
storia ne è passata tanta sotto i ponti, diciamo che in genere mi è
scivolata addosso senza che io la vivessi, tuttavia dovrebbe essermi
abbastanza chiaro da che parte stare.
Bellissima l’allegoria dell’uccisione
del maiale: un arcaico rito annuale, obbligatorio per la comunità,
che mi ha di colpo gettata in un passato ormai lontano che credevo
avere dimenticato, in un’aia che adesso non c’è più. Chiunque
abbia sentito gli urli strazianti di un maiale che viene ucciso
difficilmente li dimentica, ma ciò non toglie che rinunci al
gustarne la carne; del resto, i porci vengono uccisi proprio perché
il padrone si sazi con le loro carni.
Fa parte dell’ineluttabile. Lo stesso
boiaro, Ivan, non si è mai chiesto se fosse giusto o meno tenere
sottomessi i servi, che pure sono uomini e donne fatti di carne. Come
non c’è distinzione tra maiale e maiale, così nulla distingue un
servo dall’altro, e chi è nato servo, figlio di servi, non
dovrebbe aspirare ad altro che a servire.
Dicevo, dopo tanti anni di storia letta
dovrei aver capito che alcune rivoluzioni sono un mezzo necessario al
cambiamento dello status quo, perché mi rifiuto di credere che le
cose non possano cambiare e credo utopisticamente che anche il più
miserabile abbia il diritto di prendere in mano il proprio destino, o
per lo meno di provarci.
Eppure, non posso non sentirmi toccata
dall’incredulità del boiaro Ivan, che rappresenta tutti coloro che
sperano che mai il male li riguarderà; l’incredulità di chi viene
privato di ciò che un tempo gli fu dato; come si può pensare di
stravolgere una società, togliere la terra da chi l’ha avuta dai
propri antenati? E come si può non provare pietà per chi sente che
anche Dio gli è stato tolto?
Un’altra allegoria, quella dei
cavalli al galoppo, preannuncia la rivoluzione, inarrestabile.
Il freddo che coglie il lettore
all’inizio del romanzo inizia a sciogliersi nelle ultime righe,
quando, guardando verso l’alto, Ivan pensa che una nuova alba dovrà
pur giungere, prima o poi.
Molto apprezzabile l’opera dello
scrittore Carlo Silvano, che ha saputo tratteggiare uno spaccato di
storia col merito di riuscire a non schierarsi.
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