Val Mesolcina (Grigioni italiano - CH) - Un giovane docente e scrittore della Val Mesolcina si interroga sul presente e sul futuro della propria valle, proponendo delle riflessioni di ampio respiro che interessano non solo i temi che tratta abitualmente – la cultura e il mondo della scuola –, ma anche la politica e la religione: nell'intervista che segue il prof. Gerry Mottis (1)è capace di cogliere la radice dei temi trattati perché, soprattutto come scrittore, si sta facendo strada con le proprie mani e con una sensibilità che gli consente di individuare il lato positivo di ogni situazione. Dalle parole di Mottis si comprende molto bene quanto sia importante la promozione culturale nei vari comuni della Val Mesolcina e della Val Calanca, e le relative responsabilità che devono assumersi le autorità politiche, le quali, come afferma lo scrittore di Lostallo, “dovrebbero capire il “valore” di un artista locale che potrebbe bene rappresentare il territorio e veicolare tramite la propria arte un riconoscimento che travalica il rendiconto economico. L’immagine del Comune o della Valle ne guadagnerebbe certamente. Basti pensare quali eredità ha lasciato Alberto Giacometti – in termine di immagine, e non solo – al paesino di Stampa”.
Prof. Mottis, come si possono descrivere i caratteri dell'identità dei mesolcinesi?
La Mesolcina si presenta, a mio avviso, come identità comunitaria solo “sulla carta”. Il riconoscimento identitario ci è indotto dall’esterno, soprattutto dai mass-media che etichettano territori e popolazioni per comodità – i ticinesi, i grigionitaliani, la Svizzera italiana, i giovani moesani ecc. –, uniformando e banalizzando tutto e tutti. Riconosco ciononostante che vi sia un certo attaccamento territoriale e culturale soprattutto nell’alta valle, mentre l’estremità sud – Roveredo e dintorni – si sta piano piano aprendo al fenomeno dell'“immigrazione” ticinese e italiana che penetra sempre più verso nord, nelle vallate meno chiassose e più verdi. In questo senso anche la Mesolcina sta subendo i contraccolpi di una globalizzazione di persone che si spostano e portano con sé idee e costumi diversi, che vanno poi ad intaccare quell’unità identitaria di cui si discute. In ambito sportivo si stanno lentamente trovando delle sinergie tra alta e bassa valle, mentre in ambito culturale la divisione è oggi ancora accentuata come in passato, purtroppo. Le offerte culturali appaiono così iniziative settoriali, benché di buona qualità, e non rappresentano tutta la Valle.
Gerry Mottis
A suo avviso, l'attuale classe politico-amministrativa delle due Valli è in grado di promuovere e tutelare in maniera significativa la cultura e l'identità locale?
La classe politico-amministrativa come dappertutto è disposta ad investire nei progetti interessanti che rendono anche su un piano di immagine e di ritorno economico. Poco si muove in difesa e a favore degli estrosi volontari che quotidianamente si impegnano per proporre attività culturali per la gente delle nostre valli. Vigono soprattutto iniziative di paese, locali, sostenute dagli enti di un territorio ristretto (vedi per esempio la Biblioteca di Soazza), piuttosto che una visione comune di realizzazione culturale su più ampia scala. Persino la sezione moesana della PGI (Pro Grigione italiano, ndr), che da decenni si impegna in questo senso, si vede sempre più decurtare i fondi da investire in progetti culturali. Dedicandomi al teatro e alla scrittura di opere letterarie, ho trovato buon sostegno ai primi passi, mentre poco interesse ora che maggiormente ne avrei bisogno. Un artista - poeta, scrittore, scultore, fotografo, teatrante, regista ecc. che sia -, sul nostro territorio rimane un solitario incompreso, e per questa ragione egli deve continuamente auto-promuoversi con grande investimento di energie (e soldi) per crearsi una nicchia di interesse. Le autorità politiche dovrebbero capire il “valore” di un artista locale che potrebbe bene rappresentare il territorio e veicolare tramite la propria arte un riconoscimento che travalica il rendiconto economico. L’immagine del Comune o della Valle ne guadagnerebbe certamente. Basti pensare quali eredità ha lasciato Alberto Giacometti – in termine di immagine, e non solo – al paesino di Stampa”.
Dal suo punto di vista, le parrocchie delle due Valli svolgono ancora – sotto il profilo socio-culturale – delle attività rilevanti?
Ritengo che le parrocchie si dovrebbero interrogare con serietà sul ruolo che vogliono e possono ancora svolgere all’interno delle nostre comunità. È indubbio che il centro dell’interesse della gente comune – che anticamente trovava nella Chiesa un luogo di ritrovo e un solido punto spirituale di riferimento – sia venuto piano piano a decadere quasi completamente. I giovani si interessano poco di spiritualità, e conoscono poco anche le Scritture, la vita di Gesù, così importanti per “decodificare” e “dare un senso” ad esempio a molti testi letterari – pensiamo solo alla “Divina Commedia” – o alle opere d’arte (ad esempio il “Giudizio universale” di Michelangelo). Questo scarso interesse verso la religione e la religiosità impoverisce i ragazzi e le ragazze anche sotto il profilo prettamente culturale, nonché umano. Un dilagante agnosticismo – o addirittura ateismo – non dovrebbe però scoraggiare gli ecclesiastici. Il veicolo privilegiato rimane l’incontro, il dialogo, la condivisione di esperienze. Quello che forse manca è un progetto didattico puntuale e interessato da parte della Chiesa per i giovani, che sia adatto ai tempi.
Quali dovrebbero essere – secondo lei – le linee guida per elaborare un progetto capace di rivitalizzare le attività culturali della Mesolcina e Calanca?
Se per “linee guida” si intende un progetto comune che vada a toccare tutta la Mesolcina e la Calanca, credo che solo unendo gli intenti e le forze si possa realizzare tale obiettivo. Per ora, mi pare, manca ancora un fulcro attorno al quale poter costruire un’unità culturale moesana, tranne forse la Biblioteca di Soazza (ma “relegata” nell’alta valle). Come già riferito, la PGI gioca e dovrà sempre giocare un ruolo fondamentale per cementare questa unione, ma senza il sostegno politico e finanziario di tutti i Comuni interessati, del Cantone e di altri enti secondari, essa non potrà compiere miracoli. A mio avviso, si dovrebbe formare una specie di sovra-apparato culturale che raggruppi ad esempio un rappresentante di ogni associazione culturale di valle (associazione artigiani, teatrale, canora, sportiva ecc.) e unificare gli sforzi per creare delle manifestazioni che abbiano ampio respiro e risonanza anche oltre le nostre due valli.
Riguardo allo spopolamento della Val Calanca, lei come percepisce questo problema?
Noto con piacere che molti giovani e giovanissimi sono ancora attaccati alla loro valle d’origine, la Val Calanca. La nostra scuola conta diversi allievi che ogni mattino si alzano alle 5.30 per raggiungere la bassa valle. Ragazzi e ragazze provenienti ad esempio da Landarenca o da Braggio che il mattino prestissimo devono ancora affidarsi alla teleferica per raggiungere la fermata dell’autopostale che li condurrà sino a Roveredo, con un ulteriore doppio cambio di mezzo, anche durante l’inverno. Affinché questi giovani rimangano in futuro (o ritornino) a lavorare nella propria valle è necessario che il territorio politico e geografico abbia ad offrire loro motivo di riconoscimento. Fulcro attorno al quale tutto dovrebbe ruotare rimangono i posti di tirocinio o di lavoro interessanti e abbastanza ben remunerati; che non si fossilizzino però solo sulla manodopera, ma che vadano anche ad offrire possibilità ai futuri ingegneri, informatici, insegnanti e via dicendo. Il valore aggiunto di una valle laterale, come quella della Calanca, resta la bontà dell’ambiente alpino, l’aria fresca e i paesaggi favolosi che ritornano ad essere sempre più riapprezzati dalla gente in generale. Ma l’investimento sul lavoro (e le offerte culturali annesse) rimane centrale.
Don Marco Flecchia ritiene che i giovani mesolcinesi hanno “sete di Assoluto” e mostrano interesse per le “cose antiche”...
Condivido la prima parte dell’osservazione, quando il bravo parroco dice che i giovani mesolcinesi hanno “sete di Assoluto”, nel senso che per definizione i giovani (adolescenti) sono “assolutistici” in tutto quello che fanno e in riferimento a tutto quello che credono: nelle amicizie, negli amori, nelle lotte, nelle loro opinioni, nello sport, nella ricerca spirituale. Il bisogno di conquistare una nuova identità personale li spinge con certa esagerazione a gridare al mondo la loro appartenenza, il loro diritto a farne parte e ad essere accettati. Si ritrovano infine confrontati coi veri problemi della vita “adulta”: lavoro, bollette, assicurazioni, infortuni, scontri di pensiero, amori delusi ecc. Noto però in questi ragazzi, frastornati da un dilagante e martellante incitamento tecnologico, un desiderio morboso verso il nuovo, il diverso, il tecnologico appunto, e poca attenzione verso quelle “cose antiche” di cui parla ancora padre Marco. L’arte, la musica d’autore, la poesia, la narrativa antica, sembrano non riscuotere più molto interesse in questi giovani cibernetici. Ritengo che il gusto estetico sia stato sostituito da un gusto utilitaristico, dove al piacere si sostituisce appunto un’utilità pratica che risponde alla semplice domanda: “A cosa serve?”. Questa pericolosa tendenza va combattuta, affinché ci si possa affidare in futuro a giovani “pensatori” e non a giovani imprenditori senza scrupoli.
Qual è l'autore elvetico di lingua italiana che oggi si sente di proporre ai giovani della sua valle?
Mi chiedo innanzitutto se esiste un autore elvetico di lingua italiana che sappia fungere da modello e da guida per i nostri giovani. Come per quanto riguarda l’identità comunitaria, anche l’identità letteraria della nostra regione è un tema molto grosso e che andrebbe presto affrontato. Gli scrittori grigionitaliani e ticinesi seguono un percorso, a mio avviso, a sé stante, indipendente dalle linee di pensiero territoriali. Ogni artista (o scrittore che sia) sembra essere guidato soprattutto da un personale sentire, da una personale visione delle cose, della realtà circostante, del mondo. Sporadiche iniziative antologiche o riviste che tendono ad unificare questo “modo di sentire le cose” sono dei tentativi destinati a mio avviso al fallimento, benché iniziative lodevolissime. Leggo con piacere il poeta ticinese Fabio Pusterla, professore di lingua e letteratura italiana presso il liceo di Lugano 1. La sua poeticità dirompente e schietta stupisce per i modi narrativi, descrittivi e ipermetrici. Una scrittura poetica che può interessare ai nostri giovani, lontana da uno stilismo letterario esasperato, che non fa che diminuire l’interesse verso l’opera poetica. È un autore che mi sentirei di proporre.
La scrittrice Anna Felder – rispondendo a una domanda di Gian Paolo Giudicetti – ha detto di non credere che la letteratura debba avere primariamente un impegno politico diretto. Qual è la sua opinione?
Sono d’accordo. L’artista – lo scultore, il pittore, il poeta, il drammaturgo – deve innanzitutto presentare una visione di sé e del mondo personalissima, lasciando poi al lettore (o fruitore) la scelta se identificarsi nel suo discorso creativo oppure rigettarlo, se trarne beneficio, giovamento, stimolo di riflessione, modello di comportamento, oppure restare indifferente alla voce dell’artista. L’arte deve passare in modo diretto ma non forzato. Se pensiamo a molte opere civili e politiche incisive, troviamo dei testi allegorici o delle finzioni letterarie grottesche che celano l’impegno civile, politico ed etico dell’autore. Non si tratta qui di un impegno politico diretto. Basti pensare all’opera di Bulgakov, “Il maestro e Margherita”, oppure alla “Mala ora” di Gabriel Garcia Marquez. Sta al lettore attento trarre il dovuto messaggio da queste opere impegnate, e agire secondo la propria sensibilità personale. L’artista è al servizio del popolo, lo può incitare alla rivolta, ma a mio avviso senza per forza essere roboante e diretto nelle sue dichiarazioni.
Ultima domanda: ha messo in cantiere un nuovo libro? Può fare qualche anticipazione?
Assieme ad un amico scultore ho appena pubblicato per le feste un libretto poetico di beneficenza (“Pensieri e nebbie”, MiArte Edizioni, 2009) a favore dei bambini bisognosi del Togo (Africa). Per riallacciarmi al discorso di prima, ritengo che oltre ad un impegno politico indiretto, un artista debba anche mettersi a disposizione di coloro che non hanno voce, dei più deboli, degli emarginati. Ho accolto di cuore la possibilità di scrivere per beneficenza, attività che di sicuro riproporrò in futuro. Tuttora, sono in cantiere due mie nuove opere letterarie...
Cioè?
La prima è una raccolta di racconti intitolata “Oltre il confine”, già approvata da una casa editrice ticinese di richiamo, che apparirà nella primavera del 2010. In quest’opera raccolgo una quindicina di racconti lunghi e brevi che trattano dei più svariati temi: il contrabbando tra Mesolcina e Chiavenna, la persecuzione nazista, la riscoperta del valore del libro e della lettura, i viaggi della speranza, il desiderio di libertà e di conoscenza, la spiritualità. Appena consegnata la bozza definitiva, mi concentrerò sul mio secondo grande progetto: completare e perfezionare la mia terza raccolta poetica che prevedo di proporre ad una casa editrice ticinese o italiana durante l’anno 2010. (a cura di Carlo Silvano)
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(1) GERRY MOTTIS (Lostallo, 1975). Ha terminato gli studi in Letteratura Italiana presso l'Università di Friburgo nel 2001. Ha pubblicato la prima opera poetica nel 2000 (“Sentieri umani”, Libroitaliano, Ragusa) e nel 2003 la sua seconda (“Un destino una nostalgia”, Ulivo, Balerna) con la prefazione del prof. Jean-Jacques Marchand (Losanna). Nel 2005 ha fondato la compagnia teatrale “Siparios” a Lostallo, di cui è regista e sceneggiatore. Nel 2006 ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti: “Il boia e l’arcobaleno” (Ulivo, Balerna) con la prefazione del prof. Guido Pedrojetta (Friburgo), mentre nel 2007 è uscita alle stampe la commedia “Deus Ex” (Ulivo, Balerna) che è andata in scena per la prima volta il 16 giugno 2007. Nel 2008 è stata pubblicata la sua seconda commedia: “All’inizio (… e alla fine) c’era il Verbo”, andata in scena per la prima volta il 25 ottobre 2008. È docente di italiano per le Scuole Secondarie di Roveredo (GR) e redattore per il “Bollettino Scolastico” dei Grigioni. Si occupa anche di Letteratura per ragazzi. Altre informazioni su Gerry Mottis sono reperibili nel sito http://www.gmottis.ch/
Prof. Mottis, come si possono descrivere i caratteri dell'identità dei mesolcinesi?
La Mesolcina si presenta, a mio avviso, come identità comunitaria solo “sulla carta”. Il riconoscimento identitario ci è indotto dall’esterno, soprattutto dai mass-media che etichettano territori e popolazioni per comodità – i ticinesi, i grigionitaliani, la Svizzera italiana, i giovani moesani ecc. –, uniformando e banalizzando tutto e tutti. Riconosco ciononostante che vi sia un certo attaccamento territoriale e culturale soprattutto nell’alta valle, mentre l’estremità sud – Roveredo e dintorni – si sta piano piano aprendo al fenomeno dell'“immigrazione” ticinese e italiana che penetra sempre più verso nord, nelle vallate meno chiassose e più verdi. In questo senso anche la Mesolcina sta subendo i contraccolpi di una globalizzazione di persone che si spostano e portano con sé idee e costumi diversi, che vanno poi ad intaccare quell’unità identitaria di cui si discute. In ambito sportivo si stanno lentamente trovando delle sinergie tra alta e bassa valle, mentre in ambito culturale la divisione è oggi ancora accentuata come in passato, purtroppo. Le offerte culturali appaiono così iniziative settoriali, benché di buona qualità, e non rappresentano tutta la Valle.
Gerry Mottis
A suo avviso, l'attuale classe politico-amministrativa delle due Valli è in grado di promuovere e tutelare in maniera significativa la cultura e l'identità locale?
La classe politico-amministrativa come dappertutto è disposta ad investire nei progetti interessanti che rendono anche su un piano di immagine e di ritorno economico. Poco si muove in difesa e a favore degli estrosi volontari che quotidianamente si impegnano per proporre attività culturali per la gente delle nostre valli. Vigono soprattutto iniziative di paese, locali, sostenute dagli enti di un territorio ristretto (vedi per esempio la Biblioteca di Soazza), piuttosto che una visione comune di realizzazione culturale su più ampia scala. Persino la sezione moesana della PGI (Pro Grigione italiano, ndr), che da decenni si impegna in questo senso, si vede sempre più decurtare i fondi da investire in progetti culturali. Dedicandomi al teatro e alla scrittura di opere letterarie, ho trovato buon sostegno ai primi passi, mentre poco interesse ora che maggiormente ne avrei bisogno. Un artista - poeta, scrittore, scultore, fotografo, teatrante, regista ecc. che sia -, sul nostro territorio rimane un solitario incompreso, e per questa ragione egli deve continuamente auto-promuoversi con grande investimento di energie (e soldi) per crearsi una nicchia di interesse. Le autorità politiche dovrebbero capire il “valore” di un artista locale che potrebbe bene rappresentare il territorio e veicolare tramite la propria arte un riconoscimento che travalica il rendiconto economico. L’immagine del Comune o della Valle ne guadagnerebbe certamente. Basti pensare quali eredità ha lasciato Alberto Giacometti – in termine di immagine, e non solo – al paesino di Stampa”.
Dal suo punto di vista, le parrocchie delle due Valli svolgono ancora – sotto il profilo socio-culturale – delle attività rilevanti?
Ritengo che le parrocchie si dovrebbero interrogare con serietà sul ruolo che vogliono e possono ancora svolgere all’interno delle nostre comunità. È indubbio che il centro dell’interesse della gente comune – che anticamente trovava nella Chiesa un luogo di ritrovo e un solido punto spirituale di riferimento – sia venuto piano piano a decadere quasi completamente. I giovani si interessano poco di spiritualità, e conoscono poco anche le Scritture, la vita di Gesù, così importanti per “decodificare” e “dare un senso” ad esempio a molti testi letterari – pensiamo solo alla “Divina Commedia” – o alle opere d’arte (ad esempio il “Giudizio universale” di Michelangelo). Questo scarso interesse verso la religione e la religiosità impoverisce i ragazzi e le ragazze anche sotto il profilo prettamente culturale, nonché umano. Un dilagante agnosticismo – o addirittura ateismo – non dovrebbe però scoraggiare gli ecclesiastici. Il veicolo privilegiato rimane l’incontro, il dialogo, la condivisione di esperienze. Quello che forse manca è un progetto didattico puntuale e interessato da parte della Chiesa per i giovani, che sia adatto ai tempi.
Quali dovrebbero essere – secondo lei – le linee guida per elaborare un progetto capace di rivitalizzare le attività culturali della Mesolcina e Calanca?
Se per “linee guida” si intende un progetto comune che vada a toccare tutta la Mesolcina e la Calanca, credo che solo unendo gli intenti e le forze si possa realizzare tale obiettivo. Per ora, mi pare, manca ancora un fulcro attorno al quale poter costruire un’unità culturale moesana, tranne forse la Biblioteca di Soazza (ma “relegata” nell’alta valle). Come già riferito, la PGI gioca e dovrà sempre giocare un ruolo fondamentale per cementare questa unione, ma senza il sostegno politico e finanziario di tutti i Comuni interessati, del Cantone e di altri enti secondari, essa non potrà compiere miracoli. A mio avviso, si dovrebbe formare una specie di sovra-apparato culturale che raggruppi ad esempio un rappresentante di ogni associazione culturale di valle (associazione artigiani, teatrale, canora, sportiva ecc.) e unificare gli sforzi per creare delle manifestazioni che abbiano ampio respiro e risonanza anche oltre le nostre due valli.
Riguardo allo spopolamento della Val Calanca, lei come percepisce questo problema?
Noto con piacere che molti giovani e giovanissimi sono ancora attaccati alla loro valle d’origine, la Val Calanca. La nostra scuola conta diversi allievi che ogni mattino si alzano alle 5.30 per raggiungere la bassa valle. Ragazzi e ragazze provenienti ad esempio da Landarenca o da Braggio che il mattino prestissimo devono ancora affidarsi alla teleferica per raggiungere la fermata dell’autopostale che li condurrà sino a Roveredo, con un ulteriore doppio cambio di mezzo, anche durante l’inverno. Affinché questi giovani rimangano in futuro (o ritornino) a lavorare nella propria valle è necessario che il territorio politico e geografico abbia ad offrire loro motivo di riconoscimento. Fulcro attorno al quale tutto dovrebbe ruotare rimangono i posti di tirocinio o di lavoro interessanti e abbastanza ben remunerati; che non si fossilizzino però solo sulla manodopera, ma che vadano anche ad offrire possibilità ai futuri ingegneri, informatici, insegnanti e via dicendo. Il valore aggiunto di una valle laterale, come quella della Calanca, resta la bontà dell’ambiente alpino, l’aria fresca e i paesaggi favolosi che ritornano ad essere sempre più riapprezzati dalla gente in generale. Ma l’investimento sul lavoro (e le offerte culturali annesse) rimane centrale.
Don Marco Flecchia ritiene che i giovani mesolcinesi hanno “sete di Assoluto” e mostrano interesse per le “cose antiche”...
Condivido la prima parte dell’osservazione, quando il bravo parroco dice che i giovani mesolcinesi hanno “sete di Assoluto”, nel senso che per definizione i giovani (adolescenti) sono “assolutistici” in tutto quello che fanno e in riferimento a tutto quello che credono: nelle amicizie, negli amori, nelle lotte, nelle loro opinioni, nello sport, nella ricerca spirituale. Il bisogno di conquistare una nuova identità personale li spinge con certa esagerazione a gridare al mondo la loro appartenenza, il loro diritto a farne parte e ad essere accettati. Si ritrovano infine confrontati coi veri problemi della vita “adulta”: lavoro, bollette, assicurazioni, infortuni, scontri di pensiero, amori delusi ecc. Noto però in questi ragazzi, frastornati da un dilagante e martellante incitamento tecnologico, un desiderio morboso verso il nuovo, il diverso, il tecnologico appunto, e poca attenzione verso quelle “cose antiche” di cui parla ancora padre Marco. L’arte, la musica d’autore, la poesia, la narrativa antica, sembrano non riscuotere più molto interesse in questi giovani cibernetici. Ritengo che il gusto estetico sia stato sostituito da un gusto utilitaristico, dove al piacere si sostituisce appunto un’utilità pratica che risponde alla semplice domanda: “A cosa serve?”. Questa pericolosa tendenza va combattuta, affinché ci si possa affidare in futuro a giovani “pensatori” e non a giovani imprenditori senza scrupoli.
Qual è l'autore elvetico di lingua italiana che oggi si sente di proporre ai giovani della sua valle?
Mi chiedo innanzitutto se esiste un autore elvetico di lingua italiana che sappia fungere da modello e da guida per i nostri giovani. Come per quanto riguarda l’identità comunitaria, anche l’identità letteraria della nostra regione è un tema molto grosso e che andrebbe presto affrontato. Gli scrittori grigionitaliani e ticinesi seguono un percorso, a mio avviso, a sé stante, indipendente dalle linee di pensiero territoriali. Ogni artista (o scrittore che sia) sembra essere guidato soprattutto da un personale sentire, da una personale visione delle cose, della realtà circostante, del mondo. Sporadiche iniziative antologiche o riviste che tendono ad unificare questo “modo di sentire le cose” sono dei tentativi destinati a mio avviso al fallimento, benché iniziative lodevolissime. Leggo con piacere il poeta ticinese Fabio Pusterla, professore di lingua e letteratura italiana presso il liceo di Lugano 1. La sua poeticità dirompente e schietta stupisce per i modi narrativi, descrittivi e ipermetrici. Una scrittura poetica che può interessare ai nostri giovani, lontana da uno stilismo letterario esasperato, che non fa che diminuire l’interesse verso l’opera poetica. È un autore che mi sentirei di proporre.
La scrittrice Anna Felder – rispondendo a una domanda di Gian Paolo Giudicetti – ha detto di non credere che la letteratura debba avere primariamente un impegno politico diretto. Qual è la sua opinione?
Sono d’accordo. L’artista – lo scultore, il pittore, il poeta, il drammaturgo – deve innanzitutto presentare una visione di sé e del mondo personalissima, lasciando poi al lettore (o fruitore) la scelta se identificarsi nel suo discorso creativo oppure rigettarlo, se trarne beneficio, giovamento, stimolo di riflessione, modello di comportamento, oppure restare indifferente alla voce dell’artista. L’arte deve passare in modo diretto ma non forzato. Se pensiamo a molte opere civili e politiche incisive, troviamo dei testi allegorici o delle finzioni letterarie grottesche che celano l’impegno civile, politico ed etico dell’autore. Non si tratta qui di un impegno politico diretto. Basti pensare all’opera di Bulgakov, “Il maestro e Margherita”, oppure alla “Mala ora” di Gabriel Garcia Marquez. Sta al lettore attento trarre il dovuto messaggio da queste opere impegnate, e agire secondo la propria sensibilità personale. L’artista è al servizio del popolo, lo può incitare alla rivolta, ma a mio avviso senza per forza essere roboante e diretto nelle sue dichiarazioni.
Ultima domanda: ha messo in cantiere un nuovo libro? Può fare qualche anticipazione?
Assieme ad un amico scultore ho appena pubblicato per le feste un libretto poetico di beneficenza (“Pensieri e nebbie”, MiArte Edizioni, 2009) a favore dei bambini bisognosi del Togo (Africa). Per riallacciarmi al discorso di prima, ritengo che oltre ad un impegno politico indiretto, un artista debba anche mettersi a disposizione di coloro che non hanno voce, dei più deboli, degli emarginati. Ho accolto di cuore la possibilità di scrivere per beneficenza, attività che di sicuro riproporrò in futuro. Tuttora, sono in cantiere due mie nuove opere letterarie...
Cioè?
La prima è una raccolta di racconti intitolata “Oltre il confine”, già approvata da una casa editrice ticinese di richiamo, che apparirà nella primavera del 2010. In quest’opera raccolgo una quindicina di racconti lunghi e brevi che trattano dei più svariati temi: il contrabbando tra Mesolcina e Chiavenna, la persecuzione nazista, la riscoperta del valore del libro e della lettura, i viaggi della speranza, il desiderio di libertà e di conoscenza, la spiritualità. Appena consegnata la bozza definitiva, mi concentrerò sul mio secondo grande progetto: completare e perfezionare la mia terza raccolta poetica che prevedo di proporre ad una casa editrice ticinese o italiana durante l’anno 2010. (a cura di Carlo Silvano)
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(1) GERRY MOTTIS (Lostallo, 1975). Ha terminato gli studi in Letteratura Italiana presso l'Università di Friburgo nel 2001. Ha pubblicato la prima opera poetica nel 2000 (“Sentieri umani”, Libroitaliano, Ragusa) e nel 2003 la sua seconda (“Un destino una nostalgia”, Ulivo, Balerna) con la prefazione del prof. Jean-Jacques Marchand (Losanna). Nel 2005 ha fondato la compagnia teatrale “Siparios” a Lostallo, di cui è regista e sceneggiatore. Nel 2006 ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti: “Il boia e l’arcobaleno” (Ulivo, Balerna) con la prefazione del prof. Guido Pedrojetta (Friburgo), mentre nel 2007 è uscita alle stampe la commedia “Deus Ex” (Ulivo, Balerna) che è andata in scena per la prima volta il 16 giugno 2007. Nel 2008 è stata pubblicata la sua seconda commedia: “All’inizio (… e alla fine) c’era il Verbo”, andata in scena per la prima volta il 25 ottobre 2008. È docente di italiano per le Scuole Secondarie di Roveredo (GR) e redattore per il “Bollettino Scolastico” dei Grigioni. Si occupa anche di Letteratura per ragazzi. Altre informazioni su Gerry Mottis sono reperibili nel sito http://www.gmottis.ch/
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