papa Leone XIV
(la foto è tratta da un sito che offre immagini gratis)
Cristo al centro:
l’appello di papa Leone XIV
ai giovani del Giubileo
di Carlo Silvano
Questa mattina, 3 agosto 2025, papa Leone XIV ha celebrato la Santa Messa conclusiva del Giubileo dei Giovani a Tor Vergata (Roma), un evento che ha visto riuniti diverse centinaia di migliaia di giovani (secondo alcune stime oltre un milione di ragazzi e ragazze) provenienti da ogni parte del mondo. In un clima di intensa partecipazione spirituale e festosa fraternità, il Pontefice ha pronunciato un’omelia di grande profondità, lasciando trasparire tutta la forza della sua spiritualità e il fervore con cui desidera che ogni giovane scopra il volto vivo di Gesù Cristo.
“Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno”, ha detto papa Leone con voce ferma e accogliente. Con parole semplici e dirette, il Pontefice ha invitato i presenti a guardare in alto, a non rimanere schiacciati dalle piccole logiche dell’effimero, a non lasciarsi definire dal successo o dalla paura, ma a lasciarsi inquietare da Dio. In questa inquietudine, ha spiegato, c’è la radice della vera libertà. Ha ricordato le figure luminose di Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, giovani che hanno saputo vivere nella pienezza la loro fede, proprio perché hanno messo il Figlio di Dio al centro delle loro scelte quotidiane. Sono esempi vicini, credibili, e – come ha detto il Pontefice – non “supereroi”, ma amici da seguire nel cammino verso la santità¹.
Il cuore dell’omelia si è condensato attorno a un richiamo preciso e ardente: Gesù deve essere il centro della vita di ogni cristiano. Senza mezzi termini, Leone XIV ha affermato che nulla può davvero compiersi in noi se non viviamo in unione profonda con Lui. Solo in Gesù Cristo – ha detto – il cuore umano trova pace. Citando sant’Agostino, ha sottolineato che la nostra inquietudine interiore è un segno della nostra sete di Dio, e non un difetto da eliminare. I giovani sono portatori di domande vere, e queste domande hanno in Gesù Cristo non una risposta teorica, ma una presenza viva che cammina con noi.
In questo contesto, possiamo richiamare nella vita della Chiesa e del singolo cristiano la centralità dell’Eucaristia, e accogliere la reale presenza di Gesù nel pane e nel vino consacrati, non come simbolo, ma come verità concreta. Nell’Eucaristia non incontriamo un’idea, ma Colui che ci ama fino al dono totale di Sé. È lì che si alimenta la nostra fede, è da lì che nasce la forza per perdonare, per servire, per donare la propria vita agli altri. Il Pontefice ha esortato tutti a riscoprire l’adorazione eucaristica, a tornare alla confessione, a vivere la Messa non come abitudine, ma come fonte e culmine di ogni giornata. L’Eucaristia non è una parte del cammino cristiano: è il cammino stesso, perché è Gesù Cristo stesso.
Sul finale, il Papa ha lanciato un appello missionario. Ha chiesto ai giovani di non “lasciare Gesù a Tor Vergata”, ma di portarlo con sé, nel cuore e nella testimonianza, nei luoghi di studio, di lavoro, nei contesti più difficili e periferici della vita. Li ha chiamati “missionari della speranza”, capaci di irradiare luce anche in mezzo alla confusione, alla violenza, alla solitudine che abita molte esistenze. Ha affidato ciascuno alla Vergine Maria, perché sia madre e guida di ogni passo.
Toccante è stato il momento in cui ha ricordato i pellegrini che non sono riusciti a concludere il Giubileo: due ragazze, Maria e Pascale, morte durante il cammino. A loro ha rivolto un pensiero pieno di tenerezza, invitando tutti a pregare. La Chiesa – ha detto – non dimentica nessuno dei suoi figli. Anche nella sofferenza e nella morte, siamo uniti nel corpo di Cristo. E questo corpo è vivo, risorto, eterno. In ospedale vi è purtroppo anche Ignacio, un giovane colto da malore.
In questa omelia, papa Leone XIV ha mostrato, dunque, una volta di più come la sua guida spirituale sappia unire l’altezza della teologia e della spiritualità con il calore dell’amore pastorale. Ha parlato con il cuore di un padre e la voce di un testimone. E ha lasciato, ai giovani e a tutta la Chiesa, un chiaro messaggio: la speranza cristiana non è una vaga attesa, ma la certezza che Gesù è vivo, ci accompagna, e nell’Eucaristia è realmente presente per noi, oggi, ogni giorno.
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¹ Pier Giorgio Frassati (1901–1925) e Carlo Acutis (1991–2006) sono due figure di giovani beati che hanno vissuto una fede intensa e gioiosa, profondamente legata all’Eucaristia e alla carità.
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“La figlia del professore” (romanzo). In un appartamento popolare ai margini di una città anonima, avvolto nel silenzio e nel tempo sospeso delle vite spezzate, un uomo si aggira tra i propri fantasmi. Ha quasi sessant'anni, un passato da docente liceale stimato e un'antica fede politica coltivata nei circoli della Sinistra militante. Oggi è un uomo solo, malato, dimenticato. La sua compagna lo ha lasciato anni prima, abbandonandolo assieme alla loro figlia. Le cause legali perse lo hanno trascinato nel baratro economico, privandolo della dignità e della serenità. Vive tra debiti e una malattia cronica che lo piega ogni giorno un po' di più. Ma il dolore più grande è proprio tra quelle mura che un tempo erano casa: sua figlia, poco più che ventenne, si prostituisce per pagarsi la droga, portando clienti nella stessa casa dove lui legge, riflette, sopravvive. Il romanzo si muove tra le ombre dense di questa convivenza muta e tesa, raccontando con lucidità e compassione il lento disfacimento di due vite: quella del padre, che rilegge la propria esistenza alla luce di fallimenti personali, errori politici, ideologie sostenute senza piena coscienza, e quella della figlia, che vive intrappolata in un presente devastato, ma ancora attraversato da sprazzi di umanità. Entrambi abitano uno spazio fisico e interiore segnato dall'abbandono e dalla disillusione. Eppure, tra le pagine, emergono anche frammenti di affetto non detto, ricordi tenaci di un giorno al mare, di uno sguardo paterno, di un'infanzia che poteva essere diversa.
Ho ascoltato con attenzione il messaggio del Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, rivolto ai giovani radunati in vista del Giubileo. Ha descritto un ritmo vibrante e universale: Roma “letteralmente invasa da centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze provenienti da tutto il mondo”, un intreccio di bandiere, canti, preghiere, solidarietà spontanea. Ha definito tutto ciò “una festa straordinaria di fede, di gioia, di speranza che riempie il cuore e ci emoziona nel profondo”. Ha offerto un caloroso benvenuto, invitando i partecipanti a far risuonare a Roma un nuovo “chiasso” capace di cambiare la città, come accadde nel 2000 sotto la guida di San Giovanni Paolo II.
RispondiEliminaDa cattolico, ho avvertito la genuinità del suo messaggio. Non semplici frasi convenzionali, ma una nota profondamente umana che riconosce nella fede dei giovani una forza pulsante. Ha colto che questo Giubileo non è un evento rituale, ma “un’esperienza che ti rimane incisa nel cuore e che può imprimere nella vita una direzione diversa”. Quello che emerge è un orientamento autentico verso la partecipazione, non un’adesione strumentale: un riconoscimento della dimensione spirituale che, vissuta con sincerità, suscita speranza e trasforma. (Carlo Silvano)