Penso, quasi con inquietudine, al modello di pensiero che anima, sotterraneamente, la figura del professore nel mio romanzo intitolato " La figlia del professore ". Non lo enuncia mai esplicitamente, eppure lo si avverte: nei suoi silenzi, nel modo in cui guarda il mondo e anche – forse soprattutto – in ciò che sceglie di non fare, di non dire. Il professore è un uomo razionale, educato alla logica, alla pianificazione, all’ordine. Ma è anche un uomo profondamente deluso: dalla politica in cui ha creduto, dalle ideologie che pensava potessero rifondare il mondo, dagli affetti che non ha saputo custodire. E in quella delusione si è fatto spazio un pensiero rigido, quasi meccanico, che assomiglia pericolosamente al progetto di una società perfettamente funzionale, priva di contraddizioni e, quindi, anche di umanità. Per lui, forse per difesa o per disperazione, l’ideale diventa quello di una comunità dove ognuno ha un compito chiaro, un ruolo preciso. Come nelle colonie di ...