Nel cuore febbrile della Sicilia: la grandezza umana e stilistica della novella "Malaria" di Giovanni Verga
Nel cuore febbrile della Sicilia:
la grandezza umana e stilistica
della novella "Malaria" di Giovanni Verga
In Malaria, una delle novelle più intense raccolte in Novelle (1883), Giovanni Verga dimostra pienamente la sua statura di maestro
del verismo italiano. Ambientata nelle campagne della Sicilia interna,
la narrazione si apre su un paesaggio che è già di per sé simbolo di
condanna: la natura rigogliosa, surriscaldata dal sole e imbevuta di
miasmi, diventa l’incubatrice di un male invisibile quanto implacabile.
Il lettore non ha bisogno di spiegazioni scientifiche: la malaria è
percepita nei colori, nei suoni ovattati del caldo, nei silenzi tra i
contadini, nella fatica che pesa su ogni gesto. È una presenza vivente,
quasi mitologica, che tutto pervade.
Verga, con il suo stile asciutto
e impersonale, costruisce un racconto che si affida alla forza del
dettaglio, all’autenticità del linguaggio popolare, alla musicalità dura
del parlato contadino. L’uso del discorso indiretto libero gli consente
di immergersi nel pensiero dei suoi personaggi senza mai cedere a
commenti o giudizi esterni. L’autore si nasconde, come da poetica
verista, ma la sua mano è ovunque: nel ritmo della narrazione, nei tagli
improvvisi, nei proverbi che punteggiano le scene e conferiscono verità
e fatalismo all’intera vicenda.
I protagonisti – Massaro Croce, compare Carmine “l’ammazzamogli”, il povero Cirino – non sono eroi nel senso tradizionale. Sono sopravvissuti, esseri logorati dal male, dallo sfruttamento e dalla rassegnazione. Le loro storie si intrecciano senza mai convergere in un reale riscatto: chi muore, chi impazzisce, chi resta a testimoniare il proprio dolore. Verga li guarda senza compassione, ma con profonda umanità. Non li eleva né li condanna: ne mostra la disperazione come fatto naturale, connaturato a un destino che non prevede scampo né redenzione. La malattia, in questo racconto, è un’allegoria della condizione umana nella società rurale meridionale: si nasce e si lavora in una terra madre e matrigna, fertile ma letale, che chiede tutto e restituisce poco.
Nella parte finale della novella, l’ironia tragica si fa più evidente: mentre il morbo continua a mietere vittime, una ferrovia nuova taglia la campagna senza sfiorarla davvero. Il treno passa, non si ferma. Il progresso – o la sua illusione – corre altrove. In questa immagine simbolica si condensa l’intera critica sociale verghiana: chi è escluso dalla storia resta a guardarla passare, senza potervi accedere.
Quello che colpisce di Malaria non è
solo la sua intensità narrativa, ma la perfezione formale con cui Verga
dosa ogni parola. La prosa è misurata, scarna, ma densissima. Ogni
frase è carica di senso, ogni immagine nasce da un’esperienza diretta
del mondo contadino. La scelta lessicale è attentissima: non c’è
retorica, ma una musicalità ruvida, sincera, che rispecchia la voce di
un popolo stanco, che parla poco perché ha già detto tutto con la fatica
del vivere.
Verga riesce nell’impresa più difficile: rappresentare l’orrore della sofferenza quotidiana senza indulgere nel patetico, e al tempo stesso restituire una visione morale altissima. I suoi personaggi, pur nella miseria, conservano una dignità silenziosa, tragica. Malaria è un racconto breve solo in apparenza: racchiude una vastità emotiva e una profondità di pensiero che lo rendono un’opera maggiore. La sua lettura, oggi come ieri, tocca le corde più intime, rivelando la sensibilità straordinaria di uno scrittore che ha saputo farsi popolo, senza mai smettere di essere grande letteratura. (Carlo Silvano)
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Questo blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare sul seguente collegamento alla Libreria Feltrinelli: Libri di Carlo Silvano
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