La fratellanza ambigua:
nota teologica sul Documento
di Abu Dhabi
(di Carlo Silvano)
Nel febbraio 2019 papa Francesco e il grande imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, hanno sottoscritto ad Abu Dhabi il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Il testo, ampiamente elogiato per il suo intento dialogico, solleva però alcune perplessità teologiche, soprattutto alla luce della dottrina cattolica su Dio e sulla Rivelazione.
Il punto più critico del documento è la seguente affermazione: «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina»¹. L’equiparazione tra diversità naturali (sesso, razza, lingua) e la pluralità religiosa – inclusa quella che nega verità rivelate – può far pensare a una volontà positiva e salvifica di Dio anche verso l’errore religioso. Ciò contrasta con la dottrina cattolica, secondo cui Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4), ossia la verità piena rivelata in Cristo.
La fede cristiana professa un Dio Uno e Trino, rivelato nella pienezza dei tempi in Gesù Cristo, «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15). L’islam, pur proclamando l’unicità di Dio, rifiuta esplicitamente la Trinità e la divinità del Figlio². Affermare che cristiani e musulmani adorano lo stesso Dio rischia di oscurare la differenza ontologica tra il Dio trinitario e il dio concepito come assolutamente uno e indivisibile.
Il Concilio Vaticano II, nella Nostra Aetate, riconosce che «i musulmani adorano il Dio uno, vivente e sussistente»³, ma non ha mai equiparato questa adorazione alla fede trinitaria cristiana. Al contrario, il Magistero ha sempre ribadito che la fede cattolica si fonda sull’accoglienza piena della rivelazione cristologica: «Nessuno può porre un fondamento diverso da quello già posto, che è Gesù Cristo» (1Cor 3,11).
("Il Gazzettino", 6 maggio 2025)
In tal senso, il Documento di Abu Dhabi rischia di favorire una visione relativistica della fede, secondo la quale tutte le religioni sarebbero vie equivalenti alla verità. Ciò è escluso dal Magistero della Chiesa: «La Chiesa annuncia e ha il dovere di annunciare che Cristo è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa»⁴.
Alla luce di ciò, è auspicabile che il futuro successore dell’aposto Pietro possa chiarire la posizione dottrinale della Chiesa cattolica, evitando ambiguità che potrebbero indebolire la fede dei semplici. Il dialogo è necessario, ma non può avvenire a spese della verità rivelata.
Come insegna san Paolo VI: «Il dialogo non si fonda sull’indifferentismo religioso né su un irenismo che dimentichi le differenze fondamentali»⁵. Al contrario, «la verità di Dio non si piega all’amicizia degli uomini, ma splende integra perché rifiuta ogni compromesso».
Note
Documento sulla Fratellanza Umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019.
Cfr. Corano, sura 4,171; sura 5,116.
Concilio Vaticano II, Nostra Aetate, n. 3.
Congregazione per la Dottrina della Fede, Dominus Iesus, 6 agosto 2000, n. 5.
Paolo VI, Ecclesiam Suam, 1964, n. 87.
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(Il Gazzettino del 30 aprile 2025)
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