Passa ai contenuti principali

I bufali? Sono i filosofi della savana - Tratto dal volume: "Non tutti i pinguini sono gay... e altre storie"

I filosofi

della savana:

i bufali

Nella vastità dorata della savana, dove l’erba ondeggia al vento e il sole cuoce la terra con la stessa tenacia con cui una nonna cucina la sua pasta migliore per gli amati nipoti, si aggirano le mandrie di bufali, quelle enormi bestie dai corni affilati e dall’aria vagamente imbronciata. A prima vista, potrebbero sembrare tutti uguali, come gli ospiti di una festa di matrimonio dopo il quinto brindisi: grandi, massicci e con un’espressione che oscilla tra il “ma cosa ci faccio qui?” e il “non toccarmi che potrei esplodere”. Ma se si osserva con attenzione, se si rimane immobili abbastanza a lungo da non essere notati (o peggio caricati), si possono cogliere dettagli intriganti. La savana, infatti, non è solo un campo da gioco per i felini o un banchetto per gli avvoltoi, ma anche il teatro di complessi comportamenti sociali, dove i bufali, apparentemente stoici, diventano attori protagonisti di un dramma che William Shakespeare non avrebbe saputo scrivere meglio. Prendiamo ad esempio la scena, tanto comune quanto crudele, di un attacco di leoni. Il re della savana, con la sua criniera fiammeggiante e il passo sicuro, individua un bufalo separato dalla mandria, forse uno un po’ più vecchio o magari solo un po’ meno veloce. E qui inizia lo spettacolo. Alcuni bufali, quelli che nel mondo degli umani chiameremmo “gli apatici”, continuano a masticare l’erba, come se niente fosse, forse persino cercando di evitare il contatto visivo, un po’ come quando si incrocia un vecchio conoscente in un supermercato e non si ha voglia di scambiare convenevoli. Altri bufali, tuttavia, reagiscono in maniera completamente diversa. Questi sono i “paladini”, gli eroi della mandria, che, con un barrito che sembra una versione amplificata del “carica!” di un film di guerra, si lanciano all’attacco dei leoni. Perché? Per amicizia? Solidarietà? O solo perché hanno un bisogno urgente di scaricare un po’ di adrenalina? Le motivazioni, ahimè, restano avvolte nel mistero. Il punto è che, tra i bufali, sembra non esistere una regola fissa. Alcuni si dimostrano dei veri altruisti, pronti a sacrificarsi per il compagno in difficoltà. Altri, invece, assumono l’atteggiamento del “ognuno per sé e Dio per tutti”, come se un codice morale animale ancora più antico di Hammurabi governasse i loro istinti. E questo comportamento apparen­temente contraddittorio non è una prerogativa esclusiva dei bufali. Lo si ritrova in molte altre specie animali, dove le reazioni di fronte a un pericolo comune variano tanto quanto i caratteri degli esseri umani al pranzo di Natale. C’è chi difende il proprio territorio con feroce determinazione, chi fugge senza voltarsi indietro e chi, forse più egoista o semplicemente stanco, si limita a osservare gli eventi con un distaccato fatalismo. Si potrebbe quindi dire che la natura è un po’ come un grande spettacolo di improvvisazione: ogni creatura ha il proprio ruolo, ma nessuno sa esattamen­te cosa farà finché non si troverà di fronte al pericolo. È un sistema fluido, dinamico e profondamente incoerente, proprio come la vita stessa. Ma qui arriva il vero colpo di scena: l’ironia della questione. Noi umani, con la nostra tendenza a categorizzare e catalogare tutto ciò che incontriamo, cerchiamo sempre di trovare delle regole precise per spiegare i comportamenti animali. Ci piace pensare che ogni specie abbia il proprio manuale di istru­zioni, come se i bufali si riunissero ogni mattina per una riunione tecnica su cosa fare in caso di attacco dei leoni. Ma la verità, come spesso accade, è molto più sfumata. Gli animali, proprio come noi, sono capaci di sorprendere, di agire fuori dagli schemi, di mescolare altruismo e egoismo in dosi che solo loro conoscono. E allora, forse, la lezione che possiamo trarre dall’osservazione di queste mandrie di bufali è che, in fondo, anche nella natura non esistono regole universali. La so­pravvivenza, il coraggio, la paura e la compassione sono tutte carte nel mazzo della vita, e ogni animale, che sia un bufalo, un leone o anche un pinguino, gioca la sua mano come meglio crede. Ecco, quindi, che la savana diventa il palcoscenico di una commedia tragica, dove i bufali non sono semplicemente vittime o eroi, ma individui, ciascuno con il proprio modo di affrontare il mondo, proprio come noi. Un buffo, a volte crudele, specchio della nostra stessa natura, dove la prevedibilità è solo un’illusione, e la vera legge è quella dell’imprevedibilità.

Insomma, quando guardiamo una mandria di bufali nella savana, forse stiamo semplicemente guardando una versione pelosa e con le corna di noi stessi. E forse, solo forse, la prossima volta che vedremo qualcuno fare qualcosa di apparentemente incomprensibile, potremo semplicemente scrollare le spalle e dire: “Eh, anche i bufali fanno così”.

(brano tratto dal volume "Non tutti i pinguini sono gay... e altre storie", ed. Youcanprint 2024, pp. 14-18

Per informazioni sul volume cliccare sul collegamento: Non tutti i pinguini sono gay 


 

Commenti

Post popolari in questo blog

Nizza, città francese o italiana?

Intervista allo storico e politico Alain Roullier-Laurens LA CITT À DI NIZZA RIPENSA AL SUO PASSATO ITALIANO Ha dato i natali a Giuseppe Garibaldi, artefice dell'unità nazionale Perché in certi libri scolastici non si parla della cessione della città di Nizza e della regione della Savoia da parte del governo di Torino a quello di Parigi nel 1860? Da questo interrogativo prende lo spunto l'intervista che segue, rilasciataci da Alain Roullier-Laurens , fondatore della “ Lega per la restaurazione delle libertà nizzarde ”. Nato a Nizza nel 1946, Alain Roullier-Laurens discende per parte di madre da una famiglia residente a Nizza ancor prima del 1388, anno della dedizione ai Savoia, ed è autore di numerosi libri che hanno provocato scalpore - ogni volta che sono usciti - sull'ideologia indipendentista nizzarda, sui retroscena dell'annessione e del falso plebiscito. I libri di Alain Roullier si basano su documenti inediti ed adoperati per la prima volta, come ...

ROBERT ROSSI, LA FRANCESIZZAZIONE DI TENDA È INIZIATA CON I BAMBINI DELLA SCUOLA

TENDA - « Mi chiamo Robert Rossi e sono nato nel 1944: mia madre è brigasca e conobbe mio padre che svolgeva il servizio militare ne lla GAF, cioè la guardia di frontiera proprio a Briga Marittima. Dopo l’8 settembre del 1943 mio padre fu catturato dai nazisti e portato in Germania, ma finita la guerra ritornò a Briga e si sposò con mia madre per venire a mancare nel 2009 ». Inizia con queste parole l’intervista concessami da Robert Rossi (qui sotto in foto), nato italiano nel 1944 e diventato francese nel 1947, quando il comune di Tenda fu ceduto alla Francia in seguito al Trattato di Parigi. Signor Robert Rossi, a Tenda che lingua si parlava fino al 1945? E qual era il dialetto più diffuso? Oggi qualcuno a Tenda e a Briga parla ancora in dialetto? Fino al 1947 i comuni di Briga Marittima e Tenda rientravano nei confini dell’Italia e quindi la lingua ufficiale era l’italiano. A Briga Marittima era molto diffuso il dialetto locale, cioè il «brigasco», mentre a Tenda ...

Il carcere di Treviso raccontato da don Pietro Zardo

TREVISO - Ha conosciuto il mondo carcerario nel 1996. Prima di allora non era mai entrato in un penitenziario, e proprio ripensando a quel “primo” giorno trascorso a percorrere corridoi e locali dove dappertutto ci sono cancelli, porte blindate e sbarre, don Pietro Zardo ricorda che provò un'emozione molto strana, quasi inquietante. Da circa quattordici anni don Pietro è cappellano della Casa circondariale di Treviso, un luogo per molti aspetti disumano dove vige la regola della sopravvivenza. “Ciascuno vive per sé – riferisce don Pietro – e non esiste quel sistema relazionale che ti permette uno scambio di sentimenti umani, come quelli legati all'accoglienza, alla fiducia, alla solidarietà. Non ci sono aree comuni e anche i pasti vengono consumati in cella. Col tempo non mi sono più posto certe domande e sono cresciuto sul campo, perché quando ho accettato di fare il cappellano a Santa Bona non avevo una specifica formazione. Subito, però, capii che non bisogna commettere cer...