Uno sguardo sociologico
su La figlia del professore
Ho scritto La figlia del professore come un romanzo (sarà pubblicato entro giugno 2025), ma fin dalle prime pagine ho sentito che stavo attraversando anche territori propri della riflessione sociologica. In fondo, ciò che racconto è il declino di due vite individuali intrecciate ai mutamenti profondi della società italiana degli ultimi decenni: la delusione politica, l’erosione delle istituzioni educative, la trasformazione della famiglia e il vuoto culturale che ne consegue.
Dal punto di vista della sociologia dei mutamenti culturali, il romanzo esplora il passaggio da un’epoca segnata da ideologie forti e impegni collettivi — come quella vissuta dal professore nella sua giovinezza — a una società sempre più individualizzata, liquida, priva di riferimenti stabili¹. L’uomo che un tempo credeva nella scuola come presidio civile e nella politica come strumento di giustizia sociale si ritrova smarrito in un mondo dove le promesse del progresso si sono sbriciolate.
In chiave di sociologia politica, il romanzo mette in scena un’analisi quasi autoptica della degenerazione morale di una certa Sinistra italiana. Il protagonista ha visto il suo partito abbandonare i principi in nome del potere, ha taciuto per non “sporcare” la causa, ed è diventato — senza volerlo — complice di ciò che aveva sempre combattuto². È un tema, questo, che riguarda molte esperienze politiche europee, in cui la distanza tra i gruppi di potere e le periferie sociali ha finito per alimentare il rancore e l’apatia.
Dal punto di vista della sociologia dell’educazione, il romanzo interroga direttamente il senso della scuola. Il professore ha dedicato la sua vita all’insegnamento, credendo di poter lasciare un’impronta sui giovani. Ma nel confronto con la propria figlia — una ragazza cresciuta nel vuoto affettivo, che si prostituisce per pagarsi la droga — si accorge che il sapere da solo non salva, se manca una rete di senso, se l’educazione non è anche affetto, ascolto, testimonianza³.
Il fallimento educativo non riguarda solo la sua esperienza familiare, ma anche un sistema più ampio, in cui l’istruzione ha perso la sua funzione emancipatrice, riducendosi spesso a meccanismo burocratico o di selezione sociale⁴.
Infine, il cuore più profondo del romanzo tocca la sociologia della famiglia. Non esistono famiglie “normali” nel libro, ma solo legami spezzati, interrotti, dimenticati. Il rapporto tra il professore e sua figlia è il simbolo di una generazione di padri che, pur avendo buone intenzioni, non è riuscita a costruire un dialogo autentico con i propri figli⁵.
La loro incomunicabilità è il riflesso di un impoverimento affettivo che attraversa molte realtà contemporanee: famiglie disgregate, madri assenti, padri inadeguati, figli che non trovano più casa nemmeno tra le mura domestiche.
La figlia del professore non pretende di offrire soluzioni. Ma pone domande, e credo che oggi sia già molto. A chi si occupa di sociologia, forse interesserà questa narrazione perché, nella sua finzione letteraria, restituisce il peso del vissuto reale, le tensioni di fondo che animano le nostre trasformazioni sociali. In definitiva, questo romanzo è anche un tentativo di raccontare cosa accade quando gli ideali pubblici si svuotano e i legami privati si spezzano: resta il bisogno, profondamente umano, di non essere soli⁶.
Note
Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza 2002; U. Beck, La società del rischio, Carocci, 2000.
Cfr. F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza 1996; F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, 1992.
P. Freire, Pedagogia degli oppressi, EGA 1971; E. Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina, 2000.
P. Bourdieu, J.-C. Passeron, La riproduzione. Elementi per una teoria del sistema di insegnamento, Guaraldi 1972.
P. Donati, M. Scabini, Famiglia: soggetto sociale, Edizioni San Paolo 1990.
F. Ferrarotti, La sociologia come esperienza, Armando 1999.
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