Le religioni non sono tutte uguali.
L’unicità di Cristo nella via verso Dio…
Nel panorama moderno assistiamo frequentemente a discorsi che enfatizzano il dialogo interreligioso, la tolleranza e il rispetto reciproco tra le diverse religioni del mondo. Mentre questi valori sono innegabilmente fondamentali per una convivenza pacifica tra popoli e culture, è necessario precisare e ribadire un aspetto cruciale della fede cristiana: la centralità e unicità di Gesù Cristo come via esclusiva per arrivare a Dio. Questo non sminuisce l’importanza del rispetto per altre tradizioni religiose, ma chiarisce un principio teologico fondamentale che non può essere relativizzato senza compromettere la fede stessa.
L’affermarsi di un relativismo religioso
L’affermazione che «tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio» può sembrare, a prima vista, un gesto di apertura e inclusività. Tuttavia, tale dichiarazione rischia di oscurare e minimizzare la verità centrale proclamata dai Vangeli e dalla Chiesa: Gesù Cristo è l’unica via per la salvezza. Questa concezione relativistica, seppur ben intenzionata, porta a un errore teologico che riduce il sacrificio di Cristo a una semplice opzione tra tante. Non possiamo considerare la redenzione operata da Gesù come una tra le varie proposte che la storia religiosa del mondo offre.
Gesù stesso afferma con chiarezza nel Vangelo di Giovanni: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). In questo passo, Cristo non lascia spazio a interpretazioni pluralistiche. Il Suo sacrificio sulla croce e la Sua resurrezione non sono eventi che possono essere messi sullo stesso piano con altri cammini spirituali; sono invece l’atto culminante dell’amore redentore di Dio, un dono unico e insostituibile per l’umanità.
Il pericolo di minimizzare il sacrificio della croce
Affermare che tutte le religioni siano vie equivalenti per arrivare a Dio può portare a una visione distorta del sacrificio di Cristo. La croce non è solo un segno di sofferenza, ma il centro della storia della salvezza, l’evento attraverso cui Dio ha riconciliato l’umanità con Sé. Minimizzare il ruolo della croce significa sminuire l’atto di supremo amore di Dio che ha offerto Suo Figlio per la redenzione del mondo.
Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice ai Suoi discepoli: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano; quanto stretta è invece la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano» (Mt 7,13-14). Questo avvertimento chiarisce ulteriormente che non tutte le vie conducono alla salvezza; c’è una via precisa, e quella via è Cristo stesso.
La risurrezione: cuore della fede cristiana
La risurrezione di Cristo è l’evento che fonda la fede cristiana. San Paolo scrive nella sua Prima lettera ai Corinzi: «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1 Cor 15,14). Ridurre la figura di Gesù a quella di un semplice maestro tra tanti, o mettere la sua via allo stesso livello di altri percorsi religiosi, implica un travisamento profondo del significato della risurrezione.
Cristo non è venuto semplicemente a insegnare una morale o a presentare un nuovo cammino spirituale: Egli è risorto dai morti, sconfiggendo il peccato e la morte, e ha aperto una via nuova e definitiva verso Dio, una via che non esisteva prima e che non può essere duplicata o eguagliata da nessun altro fondatore religioso. La resurrezione di Gesù non è solo una dottrina da credere, ma è il fondamento della nostra speranza e della nostra salvezza.
Rispettare senza confondere
Nel contesto di un mondo pluralistico, è giusto e doveroso rispettare le persone di altre fedi e promuovere il dialogo interreligioso. Il rispetto delle religioni, tuttavia, non significa accettare che tutte le vie siano uguali o portino allo stesso Dio. Il Concilio Vaticano II, nella dichiarazione Nostra Aetate, ci insegna a riconoscere i semi di verità presenti nelle altre religioni, ma allo stesso tempo riafferma la fede nella rivelazione definitiva e piena di Dio in Gesù Cristo.
In questo contesto faccio mio il pensiero di chi ha affermato che il rispetto per le altre religioni non implica l’idea che tutte le religioni siano uguali, ma piuttosto riconosce la comune dignità degli esseri umani e la ricerca sincera della verità da parte di molte persone. Questo è il cuore del dialogo interreligioso: riconoscere e rispettare l’altro senza rinunciare alla verità della nostra fede.
Figli di Dio in Cristo
L’idea che “siamo tutti figli di Dio” richiede anch’essa una precisazione. Secondo l’insegnamento cristiano, tutti gli esseri umani sono creature di Dio, ma è solo in Cristo che diventiamo realmente figli di Dio in senso pieno e adottivo. San Paolo lo chiarisce nella Lettera ai Galati: «Voi tutti infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù» (Gal 3,26). La filiazione divina, in senso salvifico e spirituale, è un dono che si riceve attraverso l’adesione a Cristo e l’accoglienza del battesimo.
Se affermiamo che tutti gli uomini sono figli di Dio senza fare riferimento a Cristo, rischiamo di perdere di vista la singolarità della nostra adozione filiale operata attraverso la grazia.
Conclusione
In sintesi, è necessario riaffermare che, secondo i Vangeli, solo in Gesù Cristo si ha la possibilità concreta di arrivare a Dio. Egli è la via unica e definitiva, non una tra le tante opzioni. Il dialogo interreligioso è fondamentale, ma non può trasformarsi in un relativismo che equipara tutte le religioni, poiché ciò comprometterebbe la verità essenziale della fede cristiana: Gesù Cristo, morto e risorto, è il Salvatore del mondo. Il rispetto per le altre tradizioni religiose non implica la rinuncia alla verità che in Cristo si manifesta pienamente la volontà salvifica di Dio per tutti gli uomini. (a cura di Carlo Silvano)
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Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare su Libri di Carlo Silvano
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