Il Seminario diocesano?
Non ha bisogno solo di numeri,
ma anche e soprattutto di cuori consacrati
di Carlo Silvano
Oggi la diocesi di Treviso invita a sostenere il Seminario, luogo dove maturano le vocazioni e dove i futuri sacerdoti imparano a discernere e a formarsi per il servizio alla Chiesa. Si parla spesso della diminuzione dei preti diocesani, una realtà concreta e preoccupante. Tuttavia, quasi mai si riflette con la stessa forza sull’altra metà della questione: la qualità spirituale e umana dei futuri sacerdoti, la profondità della loro vita interiore, la loro capacità di custodire il sacro, la loro fedeltà al Vangelo nella quotidianità.
Il popolo di Dio oggi non attende semplicemente più sacerdoti: attende sacerdoti santi. Attende uomini di Dio che siano prima di tutto uomini di preghiera, capaci di riconoscere Cristo vivo nel Tabernacolo e di vivere in sua presenza con trepidazione e amore. Eppure, è doloroso constatare che talvolta questa sensibilità si affievolisce. In alcune chiese non è raro vedere sacerdoti che passano davanti al Tabernacolo senza alcun gesto di riverenza, senza un inchino, senza un segno che manifesti esternamente ciò che la fede insegna: lì c’è Gesù, realmente presente.
Non si tratta di formalità o di estetica, ma di un linguaggio del corpo che educa il cuore. Chi non si inginocchia più davanti al suo Signore rischia lentamente di smarrire la consapevolezza della sua presenza. E il popolo, che guarda, impara. Un sacerdote che non custodisce i gesti sacri, difficilmente saprà custodire le anime.
A volte anche la celebrazione della Santa Messa risente di una certa superficialità: parole affrettate, gesti sbrigativi, un atteggiamento che sembra più quello di un funzionario che di un uomo consegnato a Dio. La liturgia, invece, chiede attenzione, cura, silenzio interiore; chiede che il sacerdote sia un tramite limpido, non un protagonista. L’Eucaristia non è uno spettacolo, ma il sacrificio di Cristo che si rinnova: per questo merita rispetto, tempo, dedizione.
C’è poi un altro aspetto del presente che interpella la Chiesa: alcuni sacerdoti passano più ore sui social a discutere di politica, di polemiche o di temi che poco hanno a che fare con il loro ministero, che non a visitare un anziano solo, un malato, una famiglia in difficoltà, una donna che intende abortire... Non è un giudizio sul valore dei social, che possono essere strumenti utili, ma un richiamo a non dimenticare quale sia il cuore del sacerdozio: la cura delle anime, non la gestione di un profilo pubblico.
Il Seminario dovrebbe essere proprio il luogo in cui queste priorità si imparano e si custodiscono. Un luogo in cui si formano sacerdoti che conoscono la Scrittura, che vivono della liturgia, che pregano, che ascoltano, che imparano la compassione quotidiana, quella che nasce dal Vangelo e non dalle mode del momento. Se un prete non coltiva la vita interiore, sarà fragile davanti alle prove, disperso tra mille cose, incapace di essere guida per gli altri.
Sostenere il Seminario significa allora pregare e lavorare perché i futuri sacerdoti siano uomini radicati in Cristo, capaci di riverenza e di tenerezza, di fermezza e di misericordia. Il popolo cristiano non ha bisogno solo di sacerdoti “in più”, ma di sacerdoti “più di Dio”. Solo così la Chiesa potrà continuare a essere casa per chi cerca speranza e luce, oggi come sempre.



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