Lunedì 3 febbraio ho avuto modo di ascoltare la testimonianza di un sacerdote che, diversi anni fa, conobbe un anziano siriano che gli raccontò della sua fede in Gesù Cristo. Ho preso spunto da questa testimonianza per scrivere il racconto che segue.
La collanina spezzata
Il vecchio Nadim sedeva sulla soglia della sua piccola casa in pietra, con il nipotino Elias accoccolato accanto a lui. Il sole del tramonto tingeva di arancio le colline lontane e faceva cadere un soffice calore sulla terra della Siria, mentre il vento portava con sé l’odore del pane appena sfornato. Elias guardava suo nonno con curiosità, sapendo che quella sera avrebbe ascoltato una delle sue storie, quelle che solo lui sapeva raccontare.
«Nonno, mi racconti ancora di quando sei andato lontano per lavorare?», chiese il bambino con gli occhi brillanti d’attesa.
Nadim sorrise e annuì. «Certo, Elias. È una storia che non devi mai dimenticare».
Si passò una mano sulla barba bianca e iniziò.
«Ero giovane, avevo diciassette anni, e la nostra famiglia era poverissima. Il tuo bisnonno e la tua bisnonna si sacrificarono per me: si indebitarono con delle persone per pagarmi il viaggio e permettermi di andare in un Paese arabo a cercare lavoro. Partii con il cuore pesante, sapendo quanto fosse grande il peso che lasciavo sulle loro spalle.
Dopo un lungo viaggio, giunsi alla dogana di quel Paese. I poliziotti controllavano tutti i viaggiatori. Quando arrivò il mio turno, uno di loro mi squadrò con occhi freddi. Mise una mano al mio collo e tirò fuori dal mio vestito la collanina con il crocifisso che ancora oggi porto sempre con me. La strappò con forza, spezzandola. Poi sollevò il crocifisso davanti ai miei occhi e mi chiese con tono duro: “Cos’è questo?”».
Nadim si fermò un attimo, osservando Elias. Il bambino tratteneva il respiro, completamente immerso nel racconto.
«Ebbi paura. Il mio cuore batteva forte. Se avessi detto la verità, mi avrebbero mandato via. I miei genitori erano indebitati, io dovevo lavorare… Cosa avrei fatto? Per un attimo pensai di mentire, ma nel profondo sentii una voce nel cuore che mi diceva: “Non temere, io sono con te”. Così presi un respiro profondo e dissi: “È il mio Signore Gesù Cristo”.
Il poliziotto mi fissò per un lungo istante. Poi, senza dire una parola, mi restituì il crocifisso e fece cenno ai suoi uomini di mandarmi via».
Elias spalancò gli occhi. «Ti hanno mandato via?».
Nadim annuì lentamente. «Sì, mi rispedirono a casa. Durante il viaggio di ritorno ero pieno di paura. Cosa avrebbero detto i miei genitori? Avrebbero sofferto per colpa mia? Non avevo trovato lavoro, ma avevo tenuto stretta la mia fede. Questo mi dava un po’ di forza, anche se non sapevo cosa sarebbe successo».
«Quando arrivai a casa, mi aspettavo rimproveri, delusione. Invece, la tua bisnonna mi abbracciò e pianse di gioia. Il tuo bisnonno mi mise una mano sulla spalla e mi disse: “Hai fatto bene, figlio mio. Meglio tornare a mani vuote che rinnegare il Signore”.
Quei debiti che tanto mi avevano pesato nel cuore? Un parente ci aiutò, e poco dopo trovai un lavoro proprio qui nel nostro villaggio. Non siamo diventati ricchi, ma abbiamo sempre avuto il necessario per vivere con dignità. Il Signore non mi ha mai abbandonato. Le difficoltà non sono mancate, ma ho sempre trovato la forza per affrontarle con la fede».
Elias sorrise e si strinse di più al nonno. «Nonno, allora Gesù ti ha aiutato davvero!».
Nadim accarezzò i capelli del nipotino. «Sì, Elias. E aiuterà anche te, se lo metterai sempre al primo posto».
Il sole era ormai tramontato, ma nel cuore di Elias era sorta una luce nuova, quella della fede del nonno, che da quella sera sarebbe diventata anche la sua. (Carlo Silvano)
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