Prostituzione, è una scelta volontaria?
Una testimonianza scritta da una donna negli anni Cinquanta del secolo scorso offre uno sguardo penetrante sulla realtà della prostituzione. Le sue parole, intrise di disperazione e rassegnazione, ci ricordano che dietro ogni storia di prostituzione si nasconde spesso un vissuto di sofferenza e coercizione. La donna scrive: “Io sono entrata nelle case di mia volontà spontanea, però non sapevo più cosa fare, erano mesi che mangiavo una volta ogni due giorni e nessuno mi dava lavoro e tante volte non potevo andarci io al lavoro perché capivo che mi volevano però non per lavorare”1.
Questa dichiarazione mette in luce una verità amara: la prostituzione non è una scelta libera, ma una scelta obbligata dalle circostanze. La donna racconta di essere stata costretta a vendere il proprio corpo per sopravvivere, dopo mesi di fame e disoccupazione. Il suo racconto evidenzia come la povertà estrema e la mancanza di opportunità lavorative siano fattori determinanti che spingono molte donne verso la prostituzione.
Oggi, come allora, la situazione non è cambiata di molto. La stragrande maggioranza delle donne che si prostituisce lo fa contro la propria volontà, costretta dalla povertà e dalle circostanze avverse. Molte di queste donne sono vittime di sfruttamento, traffico di esseri umani e violenze. La loro condizione è spesso invisibile agli occhi della società, che tende a giudicarle senza comprendere le complesse dinamiche che le hanno portate a quella scelta.
La povertà rimane la principale forza coercitiva che spinge le donne nella prostituzione. In molte parti del mondo, l'assenza di un sistema di assistenza sociale efficace, la disuguaglianza di genere e la mancanza di opportunità educative e lavorative generano un terreno fertile per lo sfruttamento. Le donne provenienti da contesti svantaggiati sono particolarmente vulnerabili e spesso non vedono altra via d’uscita dalla loro condizione se non quella di vendere il proprio corpo.
Per affrontare realmente il problema della prostituzione, è necessario intervenire sulle cause strutturali che la alimentano. Le politiche sociali devono concentrarsi sulla riduzione della povertà, sull’uguaglianza di genere e sull’offerta di opportunità lavorative ed educative. È fondamentale anche garantire protezione e supporto alle vittime di sfruttamento e traffico di esseri umani, offrendo loro alternative concrete per uscire dalla spirale della prostituzione.
Oltre agli interventi strutturali, è indispensabile un cambiamento culturale che elimini lo stigma associato alla prostituzione e promuova il rispetto per la dignità di tutte le persone. La società deve smettere di giudicare le donne che si prostituiscono e iniziare a vedere la loro condizione come una conseguenza di problemi sistemici. Solo attraverso un approccio empatico e inclusivo si potrà sperare di arginare il dramma della prostituzione.
La testimonianza che ho riportato sopra ci ricorda che la prostituzione è spesso una scelta dettata dalla disperazione e dalla mancanza di alternative. La povertà e la coercizione sono ancora oggi le principali forze che spingono molte donne a prostituirsi. Per cambiare questa realtà, è necessario un impegno congiunto dell’opinione pubblica e delle istituzioni per affrontare le cause profonde del problema e offrire soluzioni concrete e umane. Solo così si potrà sperare in un futuro in cui nessuna donna debba più vendere il proprio corpo per sopravvivere.
1Vedi “Lettere dalle case chiuse”, a cura di Lina Merlin e Carla Barberis (1955), e “Non ero così e volevo crescere onesta”, di Carlo Silvano (2024).
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