Passa ai contenuti principali

Quando il silenzio inganna: riflessioni pedagogiche sull'uso precoce del telefonino

Quando il silenzio inganna:

riflessioni pedagogiche

sull’uso precoce del telefonino

Anche recentemente ho incontrato una mamma accompagnata dalla sua bambina di pochi mesi, ancora nel passeggino. Per poter parlare con me senza interruzioni, la signora ha messo in mano alla piccola il proprio telefonino. Le ho detto che, anche se la bambina avesse pianto, non mi avrebbe disturbato. Con molta naturalezza la mamma ha risposto che “una mezz’ora al giorno non fa male” e che così la figlia “sta buona”. Questo breve episodio mi ha spinto a riflettere su un fenomeno ormai molto diffuso: l’uso del telefonino come strumento per calmare i bambini fin dalla primissima età.

La tranquillità apparente che un telefonino può offrire è spesso ingannevole. Nei primi anni di vita il bambino costruisce il proprio mondo interno attraverso il contatto diretto: lo sguardo dell’adulto, la voce, il gesto, gli oggetti da toccare e scoprire. Un telefonino, con le sue luci e i suoi suoni, può catturare l’attenzione, ma non offre esperienze reali né relazioni autentiche. Il rischio è che il piccolo impari presto a calmarsi non grazie alla presenza dei genitori, ma attraverso uno stimolo luminoso e sonoro che lo agita e allo stesso tempo lo isola.

Le ricerche nel campo della pedagogia e dello sviluppo infantile indicano che l’esposizione precoce e ripetuta agli schermi può interferire con la capacità di concentrazione, con il linguaggio e con lo sviluppo dell’autocontrollo. Il bambino che viene spesso “tenuto buono” con il telefonino può avere più difficoltà a sopportare la frustrazione, ad aspettare, a gestire la noia o i piccoli disagi quotidiani. Eppure queste capacità nascono proprio nei momenti in cui l’adulto accompagna con pazienza, consola, accoglie le emozioni e insegna a riconoscerle.

Con il tempo, tutto questo può tradursi in maggiore agitazione, fatica a restare tranquilli e bisogno continuo di stimoli rapidi. È un effetto che può emergere non solo nella seconda infanzia, ma anche negli anni dell’adolescenza, quando il ragazzo fa più fatica a stare con se stesso, a mantenere un ritmo calmo o a dedicarsi a un compito senza distrazioni continue. L’abitudine a usare gli schermi per soffocare il disagio può trasformarsi, negli anni, in una dipendenza emotiva dagli strumenti digitali, rendendo più difficile la costruzione di relazioni profonde e la gestione delle proprie emozioni.

Naturalmente non si tratta di condannare la tecnologia, che fa parte della nostra vita quotidiana e offre anche molte opportunità. Il punto riguarda l’età in cui la si introduce e soprattutto il modo in cui la si usa. Un neonato non ha bisogno di essere intrattenuto dallo schermo di un telefonino: ha bisogno della presenza dell’adulto. Ha bisogno di braccia, parole, sguardi veri. Sostituire la relazione con uno schermo genera una falsa comodità, ma priva il bambino della possibilità di sviluppare le risorse interiori che gli serviranno per tutta la vita.

Il pianto di un bambino non è un disturbo: è un linguaggio. Rispondervi è già educare. Anche quando occuparsi di un piccolo richiede tempo, anche quando sarebbe più facile “zittire” il disagio con un telefonino, la scelta più impegnativa resta quella più preziosa. È in quei piccoli gesti quotidiani, in quelle attenzioni ripetute con pazienza, che un bambino impara a sentirsi sicuro, ascoltato e compreso. Ed è lì, nella relazione vera, che cresce davvero. (Carlo Silvano)

_________________________ 

Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare sul collegamento che segue: Libri di Carlo Silvano 




Commenti

Post popolari in questo blog

Nizza, città francese o italiana?

Intervista allo storico e politico Alain Roullier-Laurens LA CITT À DI NIZZA RIPENSA AL SUO PASSATO ITALIANO Ha dato i natali a Giuseppe Garibaldi, artefice dell'unità nazionale Perché in certi libri scolastici non si parla della cessione della città di Nizza e della regione della Savoia da parte del governo di Torino a quello di Parigi nel 1860? Da questo interrogativo prende lo spunto l'intervista che segue, rilasciataci da Alain Roullier-Laurens , fondatore della “ Lega per la restaurazione delle libertà nizzarde ”. Nato a Nizza nel 1946, Alain Roullier-Laurens discende per parte di madre da una famiglia residente a Nizza ancor prima del 1388, anno della dedizione ai Savoia, ed è autore di numerosi libri che hanno provocato scalpore - ogni volta che sono usciti - sull'ideologia indipendentista nizzarda, sui retroscena dell'annessione e del falso plebiscito. I libri di Alain Roullier si basano su documenti inediti ed adoperati per la prima volta, come ...

ROBERT ROSSI, LA FRANCESIZZAZIONE DI TENDA È INIZIATA CON I BAMBINI DELLA SCUOLA

TENDA - « Mi chiamo Robert Rossi e sono nato nel 1944: mia madre è brigasca e conobbe mio padre che svolgeva il servizio militare ne lla GAF, cioè la guardia di frontiera proprio a Briga Marittima. Dopo l’8 settembre del 1943 mio padre fu catturato dai nazisti e portato in Germania, ma finita la guerra ritornò a Briga e si sposò con mia madre per venire a mancare nel 2009 ». Inizia con queste parole l’intervista concessami da Robert Rossi (qui sotto in foto), nato italiano nel 1944 e diventato francese nel 1947, quando il comune di Tenda fu ceduto alla Francia in seguito al Trattato di Parigi. Signor Robert Rossi, a Tenda che lingua si parlava fino al 1945? E qual era il dialetto più diffuso? Oggi qualcuno a Tenda e a Briga parla ancora in dialetto? Fino al 1947 i comuni di Briga Marittima e Tenda rientravano nei confini dell’Italia e quindi la lingua ufficiale era l’italiano. A Briga Marittima era molto diffuso il dialetto locale, cioè il «brigasco», mentre a Tenda ...

Patrizia Caproni (DSP): “Rimettere l’uomo al centro dell’economia e della politica. Solo così il Triveneto può ripartire”

  Patrizia Caproni (DSP): “ Rimettere l’uomo al centro dell’economia e della politica. Solo così il Triveneto può ripartire” ( a cura di Carlo Silvano )  Nel Nord-Est, dove la crisi della piccola e media impresa si intreccia con la delocalizzazione e la perdita di coesione sociale, Democrazia Sovrana Popolare propone una lettura alternativa alla globalizzazione economica. Patrizia Caproni  (nella foto con Francesco Toscano a sx e Marco Rizzo a dx), sottolinea la necessità di “rimettere al centro l’uomo e il lavoro” e critica la deriva privatistica nei servizi pubblici, dall’istruzione alla sanità. Nell’intervista Patrizia Caproni affronta i nodi dell’autonomia differenziata, delle disuguaglianze territoriali e della sfiducia verso la politica, indicando nella sovranità economica e popolare la chiave per una nuova stagione di sviluppo. Patrizia Caproni è  referente Elettorale Nazionale e membro dell’Ufficio Politico (referente Nord Est) del partito D...