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Dante Alighieri e i bestemmiatori


Dante Alighieri e i bestemmiatori

(XIV canto dell’inferno)

Nel XIV canto dell’Inferno, Dante Alighieri colloca i bestemmiatori in una landa desolata di sabbia rovente, colpiti da una pioggia di fuoco. Tra questi spicca la figura di Capaneo, il quale, anche nella dannazione, continua a imprecare contro Dio, manifestando il peccato della superbia e della ribellione ostinata. Questo quadro poetico offre uno spunto di riflessione profonda sul significato della bestemmia e sulla sua condanna morale alla luce della Sacra Scrittura e del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC).

1. Il senso della bestemmia nel Vangelo

Nel Vangelo, Gesù sottolinea la gravità delle parole pronunciate contro Dio. In Matteo 12,36-37, Egli afferma:

Io vi dico: di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato”.

Questa dichiarazione ci fa comprendere che le parole hanno un peso morale: non sono semplici suoni, ma espressione della volontà interiore. La bestemmia non è solo un’offesa verbale, ma un atto che nasce da un atteggiamento di disprezzo verso Dio, negandone la santità e l’autorità.

Ancora più forte è il monito di Gesù in Marco 3,28-29:

In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna”.

Qui Cristo parla della bestemmia contro lo Spirito Santo, che la Tradizione ha interpretato come il rifiuto ostinato della grazia divina, un peccato di superbia estrema, come quello di Satana. Questo ci riporta alla figura di Capaneo, che non solo ha bestemmiato Dio in vita, ma persiste nella sua ribellione anche nella dannazione, incarnando l’atteggiamento di chi si chiude volontariamente alla misericordia.

2. L’insegnamento del Catechismo sulla bestemmia

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) affronta la bestemmia nel contesto del Secondo Comandamento, “Non nominare il nome di Dio invano” (Es 20,7).

Nel paragrafo 2148, leggiamo:

La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio, interiormente o esteriormente, parole di odio, di rimprovero, di sfida. […] La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro Cristo, la sua Chiesa, i santi e le cose sacre. È in sé un peccato grave”.

La bestemmia non è quindi solo un’espressione volgare o un’abitudine culturale, ma un peccato grave che distorce il rapporto tra l’uomo e Dio, mancando di rispetto alla sua santità. Il Catechismo la condanna fermamente perché essa è un atto di superbia, che esprime disprezzo per la verità di Dio.

Inoltre, nel paragrafo 1856, il Catechismo spiega che la bestemmia può essere considerata peccato mortale, specialmente quando è commessa con piena consapevolezza e deliberata volontà. Se non pentito, un peccato di questa gravità porta alla separazione eterna da Dio, proprio come descritto da Dante nell’Inferno.

3. La bestemmia e la crisi della fede moderna

Dante scriveva in un’epoca in cui la bestemmia era considerata un atto di ribellione aperta contro Dio. Oggi, invece, essa viene spesso banalizzata, ridotta a una semplice espressione volgare, accettata nella cultura popolare e nei media. Tuttavia, questa normalizzazione è sintomo di una perdita del senso del sacro.

Giovanni Paolo II, nella “Redemptor Hominis, affermava che la società moderna è afflitta da una crisi di fede che porta a vivere “come se Dio non esistesse” (etsi Deus non daretur). La bestemmia rientra in questa mentalità: non è solo un’offesa verbale, ma un’espressione del rifiuto di Dio e della sua autorità morale.

Dante Alighieri mostra come la bestemmia, alla fine, conduca alla dannazione: non perché Dio sia vendicativo, ma perché l’uomo si auto-esclude dalla sua misericordia. Questo è il vero dramma della bestemmia: essa non danneggia Dio, ma allontana l’uomo dalla possibilità della conversione.

4. Il cammino della conversione: dal peccato alla misericordia

Se la bestemmia è un peccato grave, il Vangelo ci offre sempre la possibilità della conversione. La parabola del Figliol Prodigo (Luca 15,11-32) è il simbolo della misericordia di Dio che accoglie chi si pente sinceramente.

Il Catechismo, nel paragrafo 1847, afferma:

Dio ha creato l’uomo libero e capace di scegliere tra il bene e il male. Ma la sua misericordia è sempre pronta a rialzare chi cade, purché si penta sinceramente”.

La Chiesa ci offre i Sacramenti, specialmente la Confessione, come via per ricevere il perdono e ristabilire l’amicizia con Dio. San Giovanni Paolo II diceva:

Non abbiate paura di Cristo! Apritegli le porte del vostro cuore!”.

Il modo per sconfiggere la bestemmia non è solo evitarla, ma sostituirla con la lode a Dio. Sant’Agostino diceva:

Chi canta, prega due volte”.

L’adorazione e la preghiera sono il vero antidoto alla bestemmia, perché riempiono il cuore di gratitudine anziché di ribellione.

Conclusione

Dante Alighieri, con la figura di Capaneo, ci mostra il destino di chi rifiuta Dio fino all’ultimo istante, incapace di pentirsi anche nell’Inferno. Tuttavia, la fede cristiana non si ferma alla punizione, ma annuncia la speranza della salvezza per chiunque si converta.

La bestemmia è un peccato grave, ma la misericordia di Dio è più grande di qualsiasi peccato. Cristo ha offerto la sua vita per la nostra redenzione: non c’è parola, per quanto offensiva, che non possa essere perdonata se accompagnata da un cuore contrito.

Dante ammonisce, il Vangelo consola: il cammino dell’uomo è sempre aperto alla conversione. (Carlo Silvano)

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Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare sul collegamento che segue:  Libri di Carlo Silvano

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