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Paola Bortoletto, il mio ricordo di don Gianni Feltrin

 

 

Ho conosciuto don Gianni Feltrin nel 1998, quando è arrivato a Fontane di Villorba per assumere la responsabilità di parroco, dopo aver guidato la comunità di Veternigo a Santa Maria di Sala. Allora ero una giovane mamma e catechista e don Gianni mi fece subito un’ottima impressione per il suo carattere di persona schiva e profonda, ma anche colta pur nella semplicità dei modi. Ho visto in lui non solo lo scrupoloso studioso della Sacra Scrittura, ma anche il prete attento alla società in evoluzione e alla necessità di approfondire le varie forme di comunicazione per svolgere al meglio la propria missione sacerdotale”. A parlare è la prof.ssa Paola Bortoletto, dirigente scolastico in provincia di Treviso e residente a Fontane di Villorba, che recentemente ho incontrato in un “Caffè” in piazza Aldo Moro.

Dott.ssa Paola Bortoletto, qual è stata la qualità umana che in tutti questi anni ha apprezzato in don Gianni?

La sua capacità di ascoltare! E proprio per questa sua qualità umana l’ho scelto subito come mio “padre” spirituale e lui, sotto questo aspetto, è stato una persona eccezionale. Nei colloqui che ho avuto con lui mi ha offerto tante occasioni per riflettere. In particolare, ricordo quando ho perso mio padre: è stato un evento molto forte e don Gianni mi ha insegnato a non mettere da parte il dolore, ma a rigenerarlo e a comprenderlo attraverso la lettura e la meditazione del Vangelo e delle altre scritture. Don Gianni aveva tante altre qualità: era una persona molto cordiale e gioiva dello stare in compagnia, del far festa, e tanti avvenimenti, come gli anniversari di matrimonio che celebravamo in chiesa, erano accompagnati anche da momenti di convivialità. La sagra, per don Gianni, era un’occasione per far ritrovare tutta la famiglia parrocchiale, intesa come un’insieme di tante famiglie, per far festa. Lo stare insieme era per don Gianni un’occasione per cementare i legami tra i parrocchiani all’insegna dell’allegria.

Lei che ha avuto modo di conoscerlo da vicino, come si sente di descrivere la spiritualità di don Gianni?

Era una persona che meditava molto e tutti, nella nostra parrocchia di Fontane, conoscevamo la sua profonda passione per la montagna e la sua continua ricerca di Dio attraverso le bellezze della natura che, spesso, “immortalava” negli scatti fotografici. Trovavo sempre molto interessanti le sue omelie domenicali, perché attraverso il brano del Vangelo proposto durante ogni celebrazione eucaristica, don Gianni offriva delle profonde risposte ai mali che oggi affliggono la nostra società: riusciva, spesso in punta di piedi, a farmi comprendere ciò che stava accadendo nel mondo alla luce della Parola di Dio.

Sotto il profilo pastorale quali sono stati – secondo lei – i principali obiettivi di don Gianni?

A don Gianni stava a cuore il coinvolgimento della parrocchia in tutte le sue sfaccettature: cercava di avvicinare e coinvolgere tutte le persone, giovani e adulti, al cuore pulsante della comunità. Credeva molto nella catechesi e preparava con cura altri momenti forti in occasione di alcune importanti feste liturgiche; aveva a cuore anche le Messe animate dai bambini e dai ragazzi, e si preparava con rigore per l’ascolto della Parola che solitamente teneva di martedì, con una lettura condivisa e per cogliere alla luce delle Scritture l’attualità dei nostri giorni. Cercava di seguire tutti i gruppi e le opere parrocchiali affinché ogni persona si sentisse parte di una grande famiglia, cioè della parrocchia.

Don Gianni e la catechesi: può parlarcene?

Durante gli incontri di catechismo dimostrava un accompagnamento competente e attento ai bisogni e alle esigenze dei piccoli e degli adulti, con un linguaggio appropriato alle varie circostanze e con delle modalità adatte alle persone che aveva di fronte. Seguiva direttamente la catechesi per gli adulti e lasciava molto spazio di autonomia ai catechisti, anche se nella preparazione dei sacramenti non mancavano i suoi suggerimenti e le sue indicazioni, in modo che i bambini della Prima Confessione e della Prima Comunione e i ragazzini della Cresima, potessero vivere profondamente il sacramento che si apprestavano a ricevere. Non mancavano, durante le sue catechesi, gli spunti per attualizzare la vita sacramentale, per cercare Dio attraverso la bellezza della natura e nemmeno il suo invito a rendere meno noiosa e più interessante la catechesi che i bambini, dopo tante ore trascorse quotidianamente nei banchi di scuola, si apprestavano a seguire nelle aule del catechismo.

Secondo lei, quali erano le principali preoccupazioni che don Gianni ha avuto durante il suo ministero di parroco?

Certamente soffriva quando constatava che alcune persone si allontanavano dalla ricerca e dalla Parola di Dio per vivere un cristianesimo superficiale. Altre preoccupazioni nascevano dal prendere atto che ci sono delle nuove povertà, come gli anziani soli, e anche le persone che lui definiva “non amate” o che non “si sentivano amate” e sprofondavano in una terribile solitudine.

Don Gianni si sentiva amato e sostenuto dai propri parrocchiani?

Credo di sì! Al suo funerale, ad esempio, c’erano tante persone e non erano lì per fare presenza. Lui era un sacerdote che sapeva stare in compagnia con discrezione, ma anche con la giusta parola. Personalmente ho avuto più volte modo di dirgli che lui era importante per me e credo che ciò lo gratificasse molto. Inoltre, ha sempre avuto qualche sacerdote come collaboratore parrocchiale e credo che ciò fosse importante per lui anche sotto il profilo umano. Aveva comunque bisogno anche dei suoi spazi e cercava di vivere dei momenti in solitudine per meditare e ricaricarsi, ma era consapevole che la sua comunità parrocchiale c’era e lo sosteneva, così come c’erano anche i suoi ex parrocchiani di Veternigo di Santa Maria di Sala che partecipavano alle gite e ai pellegrinaggi che don Gianni organizzava, come in Terrasanta e a Capo nord. No, non credo proprio che si sentisse solo.

Don Gianni quale bene spirituale ha lasciato alla comunità parrocchiale di Fontane?

Premetto che dal giorno della sua scomparsa ogni volta che mi capita di passare davanti alla canonica, che lo ha ospitato per circa ventitré anni, provo una strana sensazione nel vedere le finestre chiuse, quando invece erano aperte e mi davano un caldo senso di accoglienza. Penso che questa sensazione la provino anche tante altre persone. Il lavoro pastorale di don Gianni non è andato perduto, perché ha lasciato una comunità viva e capace di continuare ad essere un faro di spiritualità e a vivere i sacramenti. (a cura di Carlo Silvano)

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Il presente blog è curato da Carlo Silvano autore di numerosi volumi.






 


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