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Don Franco Marton, Il Vangelo e la Dottrina sociale della Chiesa cattolica



Qui di seguito propongo la relazione che don Franco Marton (1936 - 2016) propose ad un incontro dedicato al tema “Il denaro pubblico merita rispetto”, svoltosi il 15 dicembre 2011 presso la sala della Biblioteca civica di Povegliano. La presente relazione è stata inserita nel volume "Voci villorbesi". 

C’è il Vangelo all’origine
della dottrina sociale della Chiesa[1]
  
Mentre ascoltavo il relatore che mi ha preceduto e che ha trattato alcuni scandali finanziari avvenuti in Italia, i miei pensieri andavano alla Chiesa – di cui faccio parte – e mi domandavo cosa la Chiesa ha detto e ha fatto, e soprattutto se è complice di questi scandali che ci sono stati e che, probabilmente, ci saranno anche in futuro. Su cosa diceva e faceva la Chiesa in questi anni, propongo di fare una disamina partendo dagli anni Ottanta del secolo scorso, avendo sottomano un intervento da parte dei Vescovi italiani – e quindi non tanto il Magistero – che allora suscitò grande scalpore e un grande interesse all'interno della Chiesa, in particolare da parte di quanti erano sensibili ai problemi dei poveri e della giustizia. In seguito, però, anche questo profetico documento è stato dimenticato e con esso tutte le questioni che affrontava per poi riesplodere con forza quando, anche in questo periodo, ci si è posti degli interrogativi sull'uso del denaro a livello politico, sociale e anche a livello ecclesiale.

Premessa
Prima di entrare nel vivo dell'argomento, è opportuna una mia precisazione: quando si parla di dottrina sociale della Chiesa, quella che io di per sé dovrei trasmettere, devo aggiungere che come presbitero condivido la finalità ultima della Chiesa, ma non posso condividere tutto quello che alcuni Vescovi e certi miei confratelli nel sacerdozio fanno nella quotidianità; però quando si parla di Dottrina sociale della Chiesa non bisogna mai dimenticare che alla sua origine c'è il Vangelo. In questi tempi la Dottrina sociale viene particolarmente esaltata, ma bisogna sottolineare che essa non è un'ideologia anche se molti la collocano al centro o al centrodestra dello schieramento politico. È doveroso, dunque, sottolineare che la Dottrina sociale non si può ridurre ad un'ideologia. Il “manifesto” sui problemi sociali – se così si può definire – di noi credenti è costituito dalle parole che Gesù Cristo ha pronunciato a Nazareth quando è entrato nella sinagoga e ha preso il testo del profeta Isaia, riportato dall'evangelista Luca (4,18-19), per leggere:

“Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore”.

Questo testo viene da Isaia, ma descrive, in alcuni tratti, quello che Gesù chiamava il Regno di Dio. Lui, Gesù, era venuto per piantare il Regno di Dio. E per Dio, così come in tanti passi ci viene detto dalla Bibbia, i poveri e la giustizia sono al centro di tutto. In questa matrice nasce la Dottrina sociale della Chiesa, e solo quando si allontana dal Vangelo questa dottrina assume una connotazione ideologica. Quando si parla di Dottrina sociale della Chiesa ci si riferisce al tentativo della Chiesa di portare il messaggio del Vangelo nella società odierna.

Le analisi della Chiesa
Fatta questa precisazione vorrei ora proporvi, brevemente, alcuni punti di uno straordinario documento redatto dai Vescovi italiani e – occorre sottolineare – non tutti i Vescovi hanno condiviso, intitolato “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese”, e pubblicato il 25 ottobre 1981. Sentirete quanto calzanti sono alcune indicazioni di analisi e quanto sarebbero cambiate le cose se fossero state ascoltate. In questo documento i Vescovi parlano dello stato di crisi che allora, all'inizio degli anni Ottanta, l'Italia stava vivendo. Al punto tre di questo documento (“Capire il momento e affrontare la crisi”), ad esempio, leggiamo: “Le persistenti difficoltà che anche l'Italia sperimenta oggi non sono frutto di fatalità”. Già questo è importantissimo perché oggi si dice che è un meccanismo economico, una fatalità, ed è inevitabile che accadano certe cose che sono legate alle regole del mercato. Invece, dicono i Vescovi, dietro certe situazioni ci sono delle precise responsabilità; anche dietro a delle libere scelte ci possono, in altre parole, essere delle azioni perverse, e poco fa il relatore che mi ha preceduto ha fatto un accenno alle quote latte. Non è dovuta ad una fatalità se oggi il nostro sistema socio-economico è in crisi. I Vescovi, poi, aggiungono che il vertiginoso cambia-mento delle condizioni di vita ci è sfuggito di mano e che tutti sono stati, in qualche modo, inadempienti. Tutti vuol dire anche loro Vescovi, noi cattolici e società civile. Dopo aver esaminato gli errori commessi, i Vescovi propongono i valori a cui dovremmo ispirarci.
Il titolo del paragrafo numero quattro di questo documento è diventato anche un noto slogan, e dice: “Il progresso economico e sociale che anche l'Italia ha sviluppato è innegabile”. Certo, nel 1981 stavamo bene. “Ma con esso – continuano i Vescovi – si sono pure affermati elementi regressivi che hanno portato alla perdita di valori senza i quali è impossibile che quel progresso sia vero e proceda per il bene comune”. Quel progresso, diciamo noi oggi, non era autentico e i fatti di oggi ce lo dimostrano. Quel progresso era semplicemente bacato. Ciò spinse, già allora, i Vescovi a suggerirci una prima indicazione che espressero con queste parole: “Conosciamo la complessità dei problemi che occorre affrontare, ma innanzitutto bisogna decidere di ripartire dagli ultimi che sono il segno drammatico della crisi attuale”.
Ripartire dagli ultimi” è diventato uno slogan; un manifesto: o si riparte dagli ultimi o non nasce un tipo di società nuova e giusta. “Con gli ultimi e con gli emarginati potremmo tutti recuperare un genere diverso di vita”. Se noi sogniamo una società giusta che dia a ciascuno, in parti uguale, e qui pensiamo anche a don Lorenzo Milani, tra disuguali è il sommo dell'ingiustizia. Se avete persone disuguali e distribuite a tutti con criteri di giustizia la stessa risorsa è un'ingiustizia, perché chi è povero, ultimo ed emarginato, e non ha nulla, ha diritto di essere trattato in altro modo perché possa nascere una società giusta. Anche per la società stessa – in quanto non si sa dove va la società – che persevera nell'emarginare i più deboli. Chi ha commesso gli scandali elencati dal relatore che mi ha preceduto, se ne infischiava altamente di questo documento del 1981, anche se poi si era cattolici e si dovevano assumere delle decisioni in materia finanziaria in quanto banca cattolica. E quando i Vescovi tentano di identificare i poveri di allora, sostengono che bisogna esaminare la situazione degli emarginati che il nostro sistema di vita ignora – e ancora oggi si ignora – e che perfino il sistema coltiva. Sapete, su quest'ultimo punto, che non manca una teoria economica che sostiene la necessità di avere una quota di poveri all'interno del sistema sociale proprio per stimolare la crescita socio-economica. Tanti parlano di crescita e bisogna fare attenzione a cosa intendono perché, come ho detto ora, non manca chi per garantire la crescita di una certa fetta della popolazione attivi delle politiche per “coltivare” lo stato di povertà di un'altra fetta della nostra popolazione; cioè quale crescita vogliamo per la nostra società visto che c'è pure una crescita che va per una certa strada e che fa “crescere” i poveri. Allora, in questo documento del 1981, i poveri in crescita erano gli anziani, i disabili, i tossicodipendenti che – proprio all'inizio degli anni Ottanta – entrò in atto la divulgazione e la commercializzazione delle droghe. E ricordiamoci che dietro alle droghe ci sono capitali enormi, che alimentano organizzazioni criminali. Sempre nel documento “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese” i Vescovi parlano degli ex reclusi, cioè quanti venivano scarcerati, mentre oggi, col problema del sovraffollamento, abbiamo il dramma di chi sta in carcere: pensiamo a quanti si uccidono, sono già 64 le persone che si sono suicidate e l'anno non è ancora terminato. E il problema dei suicidi in carcere non riguarda solo i detenuti perché anche tra le guardie carcerarie c'è chi decide di togliersi la vita. Se non si affronta il problema delle carceri, avremo un bubbone che prima o poi scoppierà per danneggiare tutto il nostro sistema sociale. I Vescovi, nel 1981, parlavano anche degli ospedali psichiatrici. Inoltre, anche se non c'era, in quegli anni, il problema degli immigrati, tuttavia i Vescovi accennavano alla precarietà del lavoro dei giovani e ciò proprio nel 1981. Allora, queste osservazioni dei Vescovi non sono analisi statistiche quanto, piuttosto, delle descrizioni della situazione sociale per cui domandano che queste situazioni di emarginazione entrino soprattutto nel quadro dei programmi delle amministrazioni civiche e delle forze politiche.


Anche il paragrafo numero sei di questo documento è molto interessante e riguarda il rinnovamento della società che dovremmo, tutti, costruire insieme agli ultimi. Con gli emarginati – sostengono i Vescovi – potremmo tutti recuperare un genere diverso di vita. Ed è senz'altro così: se continuiamo in questa direzione, divorando e sperperando ricchezze, arriveremo di certo ad un punto che ci obbligherà a rivedere il nostro stile di vita. Se continuiamo anche con certi scandali bancari e finanziari è chiaro che il baratro è a un passo da noi.
Se nel 1981 avessimo tenuto presente queste osservazioni di certo avremmo preso delle precauzioni, come, ad esempio, la demolizione di tutti i nostri idoli che ci siamo costruiti, come il dio denaro. Chi è credente, sa che nelle Sacre Scritture la ricchezza legata al potere è un idolo. La ricchezza di pochi costruisce la povertà dei tanti. Il potere – e penso che possiamo essere tutti d'accordo – è anch'esso un idolo, una divinità. Il consumo che, in un certo modo, è diventato consumismo. Lo spreco e mi riferisco anche allo spreco del denaro; quest'ultimo va rispettato e non sprecato. Altro idolo: la tendenza a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Tutto questo veniva elencato nel 1981, cioè esattamente trent'anni fa. Solo se abbattiamo questi idoli – ricchezza, potere, consumismo e altro ancora – possiamo scoprire i valori legati al bene comune, come la tolleranza, la solidarietà, la giustizia sociale e la corresponsabilità. Se oggi accettiamo uno stile di vita sobrio possiamo ritrovare fiducia nel progettare il domani, e avremo la forza di accettare i sacrifici con un nuovo gusto di vivere. Oggi, invece, nonostante il lusso e lo spreco che ci circonda, c'è sfiducia: il futuro resta un'incognita non solo per i poveri, ma anche per gli stessi ricchi che sono consapevoli che la loro fortuna li può abbandonare da un momento all'altro; basta poco, ad esempio, perdere ingenti somme di denaro con una speculazione finanziaria o affidandosi ad un promotore che persegue solo i propri interessi. Del resto, la crisi mondiale che stiamo subendo da qualche anno va ricercata, molto probabilmente, nelle disparità a livello globale e locale della ricchezza, con i ricchi che diventano più potenti sulle costole e sulle spalle dei poveri, e questi ultimi, invece, diventano sempre più miseri. Sono rimasto colpito dal ministro Fornero del governo Monti che non riusciva a pronunciare la parola “sacrificio”, e purtroppo questa parola bisogna accettarla, anche se raffigura un dramma. Ed è un dramma perché il sacrificio, inteso come rinuncia al fine di conseguire il bene comune, non è entrato nella nostra cultura e nel nostro vivere quotidiano. In un contesto del genere – e anche ascoltando papa Benedetto XVI che ha pubblicato l'enciclica “Caritas in veritate” – bisogna rimettere in discussione la Legge che dichiara che il falso in bilancio non costituisce un reato: non si possono chiedere sacrifici agli italiani e poi avere una Legge del genere! Alla luce della Dottrina sociale della Chiesa il falso in bilancio è un male.
Nel 1981 i Vescovi affermarono che il Paese non poteva crescere se non c'era la partecipazione di tutti. Queste parole le abbiamo ascoltate anche in questi giorni. E il dramma di oggi è che certe contrapposizioni così radicali sulla scena politica italiana non possono portarci da nessuna parte. Urge, allora, riscoprire il senso dello Stato e del bene comune che può avvenire solo con un costruttivo e serio confronto culturale e con una chiara ed onesta comunicazione sociale. In questi ultimi anni, mi chiedo, abbiamo assistito ad un buon confronto culturale? Quell'argomentare tipico dei militanti della Lega nord, ad esempio, non ha niente di culturale perché non contiene nulla di riflessivo e di serio.
I Vescovi, nel 1981, hanno insistito affinché le diverse agenzie sociali, come scuola e media, diventino un luogo di confronto culturale, però, oggi, se pensiamo alle televisioni ci balzano all'occhio le liti permanenti che lì trovano ampi spazi.
Sempre nel documento “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese” si sottolinea il dovere della partecipazione, mentre oggi si registra la progressiva chiusura nel proprio individualismo. La partecipazione alla vita pubblica è stata mortificata anche intenzionalmente, basti pensare alle manifestazioni e agli scioperi che un tempo venivano vissuti in maniera diversa e con maggiore consapevolezza dai cittadini. Ma la partecipazione alla vita pubblica è stata svilita soprattutto con la Legge elettorale che non consente ai cittadini di scegliere direttamente i propri rappresentanti in Parlamento.
Non ultimo il gravissimo problema del lavoro: come nel 1981, anche oggi si chiede alla classe politica di affrontare in maniera decisa la richiesta del Paese di poter lavorare.
Nell'ultimo numero di questa analisi fatta dai Vescovi italiani nel 1981, si afferma: “La crisi in corso non si risolverà a breve scadenza, né possiamo attendere soluzioni miracolistiche”. E aggiungono: “Conosceremo ancora per molto tempo le contraddizioni di carattere socio-economiche, le minacce della violenza e del terrorismo”. Se oggi il terrorismo politico non fa paura come negli anni Settanta e Ottanta quando c'erano le “brigate rosse”, la violenza, però, è ancora all'ordine del giorno con i campi dei Rom bruciati e i dissidi e gli omicidi-suicidi in famiglia e, in generale, nell'ambito del privato.
Ogni volta che leggo questo testo, “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese”, resto sempre sorpreso perché vedo che le difficoltà elencate sono ancora attuali, soprattutto quando si parla di precarietà delle strutture pubbliche e delle difficoltà e della fatica a concretizzare l’Europa unita. A volte mi chiedo chi è stato l'estensore finale di questo documento che porta la firma dei Vescovi, ma, per ovvie ragioni, è stato, alla fine redatto da una sola persona: non si sa chi è questa persona che di certo doveva essere molto lungimirante!
Il messaggio conclusivo che traspare da questo documento è quello che dovremo pertanto imparare a vivere nella crisi con lucidità e con coraggio, e tenere sempre presente che a fiaccarci è stato soprattutto il consumismo. Il consumismo che ha fiaccato anche la Chiesa e così i genitori che, oggi, non riescono a trasmettere a livello educativo un po’ di austerità ai propri figli.
E se nel 1981 si parlava dell'iniqua e ingannevole corsa agli armamenti, mi chiedo come mai, proprio in questi giorni che il governo Monti parla dei sacrifici che devono fare tutti gli italiani, non si parla di eventuali tagli da fare alla spesa militare?
Dunque, in questo documento dei Vescovi italiani del 1981, ci sono tanti elementi che oggi ci aiuterebbero, se fossimo attenti, a leggere i fenomeni sociali e a scuoterci da una certa pigrizia che ci fa chiudere gli occhi.



[1] Intervento di don Franco Marton all’incontro su “Il denaro pubblico merita rispetto”, svoltosi il 15 dicembre 2011 presso la sala della Biblioteca civica di Povegliano ed organizzato dal Circolo di lettura “Matilde Serao” di Villorba, affiliato all’Associazione culturale “Nizza italiana”. La trascrizione della relazione è stata curata da Carlo Silvano.

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