VILLORBA (Treviso) - Sabato 22 settembre 2012, alle ore 18.00, presso la libreria Lovat a Villorba si è svolta la presentazione del romanzo "Il boiaro" di Carlo Silvano. A presentare il volume Adriana Michielin (presidente del Circolo di lettura "Matilde Serao"), Sandra Milani (consigliere comunale del PD e socio fondatore dell'Associazione culturale "Nizza italiana") e Antonio Petrelli (aderente a "La nostra Villorba" e al Circolo "Matilde Serao"). Buona la partecipazione del pubblico.
Qui di seguito alcuni passi della serata.
ADRIANA
MICHIELIN: Buonasera a tutti e benvenuti a questo incontro dedicato
al romanzo “Il boiaro” di Carlo Silvano che, questa sera,
presentiamo alla libreria Lovat di Villorba. La
fantasia è una facoltà che tutti - chi più, chi meno - possediamo,
e non ha limiti.
Con
la fantasia si spazia ovunque: si può volare,
scalare i monti, oltrepassare le frontiere e, magari, raggiungere
anche il paese delle steppe; si possono inoltre creare dei
personaggi, dargli un volto, un nome, un carattere, una personalità
e, pure, costruire intorno a loro una storia fantastica, ambientata
magari in un determinato periodo storico.
E’
proprio tutto questo che Carlo
Silvano ha costruito con la sua fantasia e la tradotto nero su
bianco sulle pagine del suo romanzo intitolato “Il
boiaro”: un
libro diverso dai precedenti, prevalentemente improntati sui fenomeni
sociali siano essi storici o di attualità, basati soprattutto su
interviste a vari personaggi appartenenti a realtà diverse. Ne
voglio citare alcuni:
“Un
lavoratore di troppo. Storie di mobbing nella Marca trevigiana”
e “Quale primavera per i figli della vedova? Treviso vista e
vissuta dai massoni di una loggia del Grande Oriente d’Italia”,
entrambi pubblicati nel 2008.
“Condannati
a vivere. La quotidianità dei detenuti del carcere di Treviso
raccontata dal suo cappellano” (2009).
“Liberi
reclusi. Storie di minori detenuti” (2011) e “Breve storia
di Nizza e di altri paesi italofoni” (2012).
Una
piccola biblioteca, alla quale il dott.
Carlo Silvano aggiunge ora un altro volume con “Il
boiaro”, le cui
pagine appassionanti e scorrevoli introducono il lettore in un mondo
dallo sfondo cromatico dove i colori si annodano con le storie dei
protagonisti che vivono, ognuno nella sua dimensione, il tumulto e il
cambiamento storico che gli investe.
Un
romanzo breve e piacevole che ci porta alla conclusione con un
messaggio assai eloquente e dal timbro indelebile.
Ora
passo la parola a Sandra Milani che procederà con questa
presentazione rivolgendo al nostro comune amico Carlo una serie di
domande.
da sx verso dx: Adriana Michielin, Carlo Silvano e Sandra Milani
(foto di Ciro Silvano)
SANDRA
MILANI: Sì! Io evito subito i formalismi perché conosco
da anni Carlo e insieme abbiamo avviato una serie di iniziative
culturali qui a Villorba, come la fondazione dell'Associazione
culturale “Nizza italiana”.
Carlo
iniziamo subito con la prima domanda. Tu hai fatto il giornalista
quando vivevi in Campania, e da giornalista hai sempre approfondito
la cronaca su fatti di corruzione e mala gestione pubblica.
Successivamente - più o meno da quando vivi in Veneto - hai scritto
dei libri approfondendo realtà difficili della società, come il
fenomeno del mobbing, la vita dei detenuti, soprattutto minorenni,
oppure sulle corporazioni segrete come la massoneria, ecc., insomma,
sempre scritti impegnati; invece ora ti scopriamo romanziere. Come
mai? Un cambio di rotta, una boccata di leggerezza o un’abilità
finora nascosta?
CARLO
SILVANO: A dire il vero, questo romanzo è la mia prima opera, nata
in seguito ad una provocazione tra coetanei. E' un romanzo che ho
iniziato a scrivere quando avevo circa vent'anni. Comunque, la tua
domanda mi offre l'occasione per dire che io ho ricevuto una
formazione sociologica e, pertanto, sono sensibile ai fenomeni
sociali, come quelli da te accennati. Mi sento portato a scrivere
libri che trattano argomenti sociali adoperando soprattutto il metodo
dell'intervista. Ad essere sincero, non sono mosso dall'intenzione di
mettere in luce una mia abilità, quale potrebbe essere quella di
narrare, perché sono consapevole dei miei limiti. Come dicevo prima,
ho studiato sociologia e non letteratura, e quindi non ho ricevuto la
formazione appropriata per avere una buona dose di sicurezza nello
scrivere un romanzo. Nonostante ciò, mi sono cimentato in
quest'opera perché attraverso un romanzo si possono proporre
argomenti e messaggi in maniera più distaccata e indiretta, rispetto
a un libro in cui si riportano, ad esempio, le interviste ai detenuti
o le esperienze di persone che hanno perso il proprio lavoro.
Vorrei
aggiungere che il messaggio che ho cercato di far emergere dal mio
romanzo si può condensare in queste parole, e cioè:
Chi
è contento del suo presente non si preoccupa del futuro, chi è
contento del suo presente perché magari ha un bel conto in banca e
un'attività redditizia, rischia di non prestare la dovuta attenzione
a chi gli sta attorno, e poi, quando succede qualcosa di
straordinario, qualcosa che fa vacillare le sue certezze e sicurezze,
allora rischia di perdere anche se stesso.
MICHIELIN: Vorrei inserirmi in questa conversazione proponendo ai presenti la lettura di un brano che spiega bene le convinzioni del protagonista del romanzo.
A
pagina 19 si legge:
"Nella
vita - si diceva Ivan - ognuno deve imparare ad
accettare
il proprio ruolo: non importa se a volerlo povero è
stato
Dio o la natura o gli uomini. Se ora ci sono solo guerre
per
la conquista del potere, è perché i servi delle campagne e gli
operai
delle città si rifiutano di fare quanto spetta loro.
Ma
questa irresponsabilità la pagheranno cara e ne risponderanno
con
la loro stessa vita. Appena le nostre baionette ripristineranno
l'ordine
pubblico, la giustizia trionferà, e i servi riconosceranno
i
nobili e i boiari come loro padroni su questa
terra
creata per tutti e governata dai ricchi".
MILANI:
Il tuo romanzo ha come protagonista un nobile russo. Tu che
ti sei sempre schierato per difendere i diritti di tutti ed in
particolare di chi è più debole all’interno della società, come
mai hai scelto come protagonista del tuo romanzo un nobile, un
privilegiato? Come mai non hai costruito il tuo romanzo, che seppur
di fantasia ha uno sfondo storico che è la rivoluzione russa,
scegliendo come protagonista un “contadino russo rivoluzionario”?
Uno che lottava per avere la sua terra?
SILVANO:
Per rispondere a questa domanda occorre fare una premessa e spiegare
chi erano i boiari. Dalle notizie che ho potuto reperire sul ceto
sociale dei boiari, posso dire che – in origine, nella Russia
antica – erano dei capi militari; solo in seguito divennero
latifondisti e burocrati dell'amministrazione zarista. Allo scoppio
della prima guerra mondiale c'erano, in Russia, diverse migliaia di
boiari, i quali, insieme ad altri nobili, possedevano circa il
novanta per cento delle terre. La rivoluzione del 1917 spazzò via la
corte dello zar e i nobili, e così anche i boiari.
Quando
stavo ancora scrivendo le prime pagine del mio romanzo, non
conoscevo nulla dei boiari e non ero intenzionato ad ambientare la
storia in Russia; mi trovai però sottomano un romanzo intitolato
“Mosca”, scritto negli anni Trenta, cioè a circa
vent'anni dallo scoppio della Rivoluzione russa. In questo romanzo si
accennava ad un boiaro costretto alla fuga dai suoi contadini.
Attorno a questa storia ho costruito la trama del mio romanzo, non
per dare uno spaccato della società russa, ma per parlare di un
personaggio che viveva nel benessere e a un certo punto ha visto
tutto nero davanti a lui, ha visto tutto il suo mondo crollare e ha
dovuto fare i conti con una nuova realtà.
Pensare
di proporre la storia di un contadino che in nome della libertà
conduce delle lotte di liberazione, avrebbe significato voler
lanciare un messaggio del tutto diverso da quello che io avevo invece
in mente, correndo anche il rischio, secondo me, di far dire a
questo contadino parole astratte, soprattutto in tema di libertà e
giustizia sociale, perché le classi sociali che per generazioni
hanno vissuto nella miseria e nell'ignoranza non hanno mai potuto
sperimentare questi valori.
In
effetti, mentre il boiaro era consapevole che con la rivoluzione
rischiava di perdere tutto il suo mondo, un contadino non sapeva a
cosa andava incontro.
Nel
romanzo appare un giovane contadino che, dopo aver fatto la
Rivoluzione, se ne torna a casa dai genitori anziani, con una gamba
in meno e con tanta rabbia in corpo.
Ne
nasce un dialogo tra i due che però non si comprendono. Ivan, il
protagonista del romanzo, ha un colloquio anche con un anziano
contadino, ma anche in questo caso i due non si comprendono perché
provengono da due ceti sociali differenti.
MICHIELIN:
A me è piaciuto molto il dialogo che Ivan e l'anziano contadino
hanno avuto e vorrei farlo ascoltare anche ai presenti. Vado alle
pagine 88 e 89 e leggo:
E
il vecchio aggiunse:
"Almeno
in cinque fattorie della zona,
nel
giro di pochissimi giorni, sono accadute cose bruttissime?
Forse
verrà anche la fine del mondo".
Ivan,
in silenzio, rimase per un po’ a riflettere.
"Bisogna
intervenire subito – si disse tra sé - e devo anche
vedere
cosa sta succedendo nella fattoria di Michail: ora che lui
non
c’è, il suo fattore potrebbe avere bisogno del mio aiuto".
"Sta
per arrivare la fine del mondo", disse sospirando
il
vecchio come se parlasse tra sé.
"Non
dire idiozie", replicò Ivan infastidito dalle parole
del
vecchio, ma anche un po' impaurito, e poi aggiunse:
"La
fine del mondo non può venire".
"E
perché no?", chiese il vecchio che dopo aver
inghiottito
della saliva continuò dicendo:
"Ci
resta solo quella: i poveri e i miseri aspettano la
liberazione.
I servi non possono più portare le catene.
Deve
pur arrivare il tempo di rivincita degli oppressi!".
"Catene,
oppressi... tu stai farneticando, vecchio. Come si
può
pensare di stravolgere una società, una nazione e per fare
cosa
poi? Per togliere la terra a chi l'ha avuta dai propri
antenati?
Questa non è liberazione... questa, questa e una rapina!".
Il
volto di Ivan si era infiammato e la sua mente
si
affollò di mille pensieri.
Le
parole del vecchio lo turbavano.
Il
vecchio questo lo aveva capito e ora preferì
rimanere
in silenzio, senza ribattere. Il volto del boiaro
era
scuro, era duro. Il vecchio si sentì a disagio
e
riprese a guardare avanti. Non voleva scontrarsi con un uomo
che
conosceva solo da qualche ora.
Ivan
era confuso. Cosa stava accadendo? Veramente la
fine
del mondo era prossima?
[...]
MILANI:
Carlo, tu sei di origine napoletana: se c’è una cosa che
vi invidio sempre più è il sole, la luminosità e il caldo
soprattutto “invernale” di quella parte d’Italia. Il tuo primo
romanzo è invece ambientato al freddo! Leggendo certe tue
descrizioni veramente si sentono sulla pelle i brividi e si intravede
quel grigiore e quel bicolore bianco e blu degli inverni innevati.
Un’altra “stranezza”, si direbbe? Perché un’ambientazione
così lontana dai paesaggi che conosci meglio?
SILVANO:
Come ho detto prima, ho scritto questo romanzo quando avevo circa
vent'anni e nel corso della stesura ho fatto leva sulla mia fantasia,
ma se oggi dovessi riscriverlo, non lo ambienterei in Russia. Il
boiaro che oggi potrei anche riproporre alla luce della mia
esperienza di vita, sarebbe probabilmente un imprenditore che negli
anni Novanta, dopo aver ereditato l'azienda paterna, ha raggiunto un
invidiabile benessere sociale e una certa tranquillità economica
fino a questi ultimi anni. Con la crisi che stiamo vivendo, il mio
protagonista avrebbe perso tutto: avrebbe perso i clienti, si sarebbe
trovato con i dipendenti che avanzano alcune mensilità, con la banca
che gli toglie l'abitazione, con Equitalia che lo perseguita per i
mancati versamenti all'Inps e all'Agenzia delle entrate.
Il
boiaro che ho descritto nel mio romanzo non è stato capace di fare
come altri nobili russi, che prima dello scoppio della Rivoluzione
riuscirono a scappare all'estero portandosi dietro parte delle
proprie ricchezze. Oggi, il mio boiaro, sarebbe un imprenditore che
non è stato capace di delocalizzare la propria azienda in Romania o
in Cina.
Il
protagonista del romanzo è perseguitato dai bolscevichi che lo
vogliono uccidere. Oggi, il mio boiaro, sarebbe molto probabilmente
una persona che dopo aver perso l'abitazione e non avendo soldi per
pagarsi una camera in albergo, è costretto a pernottare, come un
barbone, sulla panchina di qualche stazione ferroviaria, correndo il
rischio di essere bruciato vivo da una banda di teppisti.
Nel
romanzo che ho pubblicato, il protagonista medita il suicidio.
Dovendo riscriverlo, potrei descrivere una scena in cui il
protagonista medita di compiere un gesto eclatante, quale può essere
quello di bruciarsi vivo davanti ad una filiale di Equitalia o in
piazza Montecitorio.
In
poche parole: questo romanzo l'ho scritto a vent'anni facendo leva
sulla mia fantasia e su certi ideali. Oggi, se dovessi riscriverlo,
punterei a riportare fatti concreti, di cronaca, pur mantenendo,
tuttavia, la sua impostazione di fondo.
Per
quanto riguarda l'ambientazione in Russia, devo comunque ringraziare
molto Massimo Valli, che ha letto il libro e da esperto ha tirato via
dalle bozze quegli elementi che nulla avevano a che fare con la
Russia al tempo della Rivoluzione del 1917, e mi ha dato tanti
consigli per renderlo più credibile per quanto riguarda
l'ambientazione.
MILANI:
Il protagonista del libro, quando inizia a capire che ci
sarà una rivolta contro il suo ceto sociale, non ci vuole credere,
quasi non può crederci, perché?
SILVANO:
Perché ha paura del cambiamento, di un cambiamento che non dipende
dalla sua volontà e che quindi non può gestire e governare.
MICHIELIN:
La paura è una costante in questo romanzo e voglio proporvi un brano
che leggo a pagina 81.
[Ivan]
Era terrorizzato al pensiero che i suoi servi potessero
inseguirlo
come segugi, ed una volta acciuffatolo
lo
facessero a pezzi a colpi d’ascia. Più correva e più
percepiva
la paura di udire da un momento all’altro
le
grida degli inseguitori.
Dentro
di se sentiva le maledizioni della giovane Elena,
del
vecchio Glinka che ne aveva ricevute di bastonate e di tutti gli
altri
che
da sempre avevano vissuto alle sue dipendenze.
Correndo
andò a sbattere contro un ramo e ciò gli procurò un forte
dolore
al volto, ma non ci badò e corse ancora più veloce
con
il cuore che da un momento all’altro poteva scoppiare.
MILANI:
Tu - il protagonista del romanzo - lo definiresti una persona buona o cattiva?
SILVANO:
Premetto che quando vivevo a Napoli, e in seguito anche quando ho
lavorato a Padova e a Treviso, ho conosciuto imprenditori che nei
confronti dei propri dipendenti facevano attenzione anche agli
spiccioli, che facevano mille storie per riconoscere a un dipendente
pochi euro per una o più ore di straordinario. Questi stessi
imprenditori, però, erano anche molto caritatevoli quando venivano
chiamati a fare beneficenza. Di fronte a questo atteggiamento restavo
spesso interdetto perché non sapevo definirli “buoni” o
“cattivi”. Il protagonista del mio romanzo è simile a questi
imprenditori: violento e avido con i suoi subalterni, buono e
comprensivo coi propri cari. Se Tu, Sandra, avessi la possibilità di
porre questa domanda ai contadini del mio romanzo, di certo ti
sentiresti dire che Ivan è un cattivo perché li sfrutta, mentre da
altri, come sua sorella Anastasia, che egli è buono perché per lei
si farebbe anche uccidere.
MICHIELIN:
Interrompo un attimo Carlo per leggervi un brano che mi sembra
indicativo. E' un brano che parla della fattoria di Ivan e del lavoro
dei contadini. Lo trovate a a pagina 41.
Prima
di andare a lavorare nei campi i contadini
si
riunivano nell'aia, in modo che il padrone formasse
delle
squadre assegnando ad ognuna di esse un campo.
Poi,
al tramonto, quando gli uomini ritornavano nel cortile
sudati,
carichi dei covoni e con gli arnesi logorati
dal
lavoro, ascoltavano in silenzio le imprecazioni
del
padrone che esigeva più lavoro ed affidava nuovi terreni
da
mietere. Nel tardo pomeriggio, prima che facesse buio,
il
padrone faceva solitamente sistemare un tavolino
con
una sedia nell’aia, e servendosi di un pezzo di carta
calcolava
il valore di ciò che era stato raccolto.
Anche
se il suo cuore sprizzava di gioia per i guadagni
che
si prospettavano, davanti ai volti stanchi dei suoi contadini
non
si mostrava mai soddisfatto.
SILVANO: Per rispondere alla domanda di Sandra parto da un presupposto: secondo me, e a parte alcune eccezioni, nell'animo di ogni uomo c'è del bene, e che solo sperimentando sulla propria pelle situazioni di disagio, si può far emergere il meglio di sé. Se per i contadini Ivan è cattivo, mentre per altri è un buono, per me Ivan è un proprietario terriero, è un padrone. Di famiglia benestante, e come tutte le persone nate e cresciute in ambienti in cui tutto è dovuto al padrone, pensa che il padrone non debba sudarsi il pane e non debba dire grazie per ogni cosa che riceve: per Ivan è difficile coltivare e dare spazio a certe sensibilità umane. Quando Ivan, però, sarà costretto a uscire dal suo mondo, dalla sua fattoria con tutti i suoi agi e con le sue ricchezze, e a pellegrinare vestito da contadino, costretto a nascondere la sua vera identità per non essere ucciso, allora maturerà certe esperienze che il lettore potrà giudicare.
[seguono
domande da parte del pubblico e risposte dell'Autore]
MILANI:
Bene! Vorrei ora affidare la conclusione di questa presentazione ad
Antonio Petrelli che ha letto il libro.
ANTONIO
PETRELLI: Buona sera a tutti e permettetemi di leggervi un testo.
La
neve cade
La
neve cade, la neve.
Alle bianche stelline nella tempesta
si protendono i fiori del geranio
dal telaio della finestra.
Non come cadessero fiocchi,
ma come se sopra un rappezzato mantello
scendesse a terra la volta del cielo.
Cade la neve, cade,
la neve, e ogni cosa è smarrita:
il pedone imbiancato,
le pinete stupite.
Alle bianche stelline nella tempesta
si protendono i fiori del geranio
dal telaio della finestra.
Non come cadessero fiocchi,
ma come se sopra un rappezzato mantello
scendesse a terra la volta del cielo.
Cade la neve, cade,
la neve, e ogni cosa è smarrita:
il pedone imbiancato,
le pinete stupite.
Antonio Petrelli (foto di Ciro Silvano)
Questa
è una poesia di Boris Pasternak che regalo a Carlo per avermi fatto
rivivere le emozioni che provai leggendo Il Dottor Zivago uno dei
miei primi innamoramenti letterari. Non voglio paragonare Carlo a
Pasternak, un premio Nobel per la letteratura, sarei esagerato, però
anche il suo romanzo mi ha fatto riflettere e mi ha stimolato il
pensiero su come degli accadimenti storici vengono analizzati sempre
con la visione ampia del fenomeno e liquidati il più delle volte in
poche pagine di libri scolastici.
Se
però restringiamo la visione alle singole persone che hanno vissuto
e subito quegli accadimenti riusciamo ad avere un’altra visione dei
fatti. Come un quadro guardato da distante, che, man mano che ci
avviciniamo e ci soffermiamo sui particolari, ci offre una visione ed
un’idea diversa del contenuto. Carlo ci comunica che nulla è
eterno di quello che ci circonda, tranne che i sentimenti ed i valori
che ci portiamo dentro. Le grandi rivoluzioni hanno lasciato ferite a
volte insanabili sia in chi la rivoluzione l’ha subita, sia in chi
l’ha perpetrata, e che non ci sono né vinti, né vincitori. "Il
Boiaro" mi fa riflettere come i grandi cambiamenti vanno
agevolati attraverso le generazioni cercando sempre il dialogo e
l’incontro con il nostro prossimo, convincendomi che non esistono
idee giuste se imposte con la violenza.
MILANI:
Con quest'ultimo intervento chiudiamo questa presentazione
ringraziandovi tutti per la partecipazione. Buona serata!
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