di Francesco P. Silvano
La crisi attualmente in corso è certamente più violenta di quella del 2008. Per superare questa crisi, pertanto, le risposte a livello comunitario devono essere più imponenti e rapide, al fine di evitare il ripetersi di una crisi che ha distrutto una parte consistente del sistema bancario mondiale, crisi allora causata dall’esplosione dalla bolla immobiliare[1].
La crisi attualmente in corso è certamente più violenta di quella del 2008. Per superare questa crisi, pertanto, le risposte a livello comunitario devono essere più imponenti e rapide, al fine di evitare il ripetersi di una crisi che ha distrutto una parte consistente del sistema bancario mondiale, crisi allora causata dall’esplosione dalla bolla immobiliare[1].
Oggi, per quanto riguarda l’Unione
europea, la Banca Centrale Europea è intervenuta sin da subito al fine di scongiurare il pericolo
di una nuova recessione economica. Provvedimenti, però, che ancora non sono
stati tradotti in azioni concrete. Se da un lato il programma di quantitative
easing[2]
da parte della Banca Centrale Europea rappresenta un importante fonte di
finanziamento, dall’altro è utile integrare questa fonte di finanziamento con
una risposta congiunta e solidale da parte dei governi dell’area euro,
incaricati di adattare le direttive comunitarie alle necessità di ogni
territorio.
Per tale ragione è importante che i
provvedimenti presi dall’Unione non alterino i rapporti tra gli Stati. Si
tratta, infatti, di un’emergenza di natura e dimensione senza precedenti dalla
fine della seconda guerra mondiale, che investe tutti i Paesi, e non solo parte
di essi. Dunque, la risposta deve essere congiunta e coerente con i principi di
solidarietà e di cooperazione dell’Unione europea.
Un importante dichiarazione ci è
fornita da Mario Draghi, ex Presidente della Banca Centrale Europea, e
promotore europeo del quantitative easing (allentamento quantitativo)
nel 2015, con cui la BCE ha acquistato titoli di Stato europei per un valore
complessivo di 60 miliardi di euro. Un intervento che è stato realizzato per la
prima volta da Italia e Germania nella seconda guerra mondiale (seppur con
modalità pressocché differenti), nel 2006 dalla Banca Centrale giapponese e nel
2008 congiuntamente da Inghilterra e Stati Uniti d’America.
Il piano proposto da Mario Draghi evidenzia
il ruolo cruciale dello Stato nell’affrontare la crisi economica. Il suo ruolo
sta nell’implicare il suo bilancio, lo strumento più importante e potente di
cui dispone, per proteggere i suoi cittadini e la sua economia contro una crisi
di cui il settore privato non ne è in alcun modo responsabile e di fatto non è
in grado di affrontare senza strumenti adeguati.
Draghi propone, quindi, che le banche
immettano liquidità a costo zero, senza praticare né interessi né spese
accessorie di altro tipo, a tutte le aziende favorevoli a salvaguardare i posti
di lavoro e che il capitale disposto dagli Istituti di credito sia fornito dal
Governo, sottoforma di garanze di Stato su prestiti e scoperti aggiuntivi.
Attraverso queste sovvenzioni molte imprese le cui perdite potrebbero essere
recuperabili potranno ripagare i debiti. Altre ancora non saranno in grado di
ripianare i debiti nel breve periodo, ma potranno comunque continuare le loro
attività, contestualmente garantire i posti di lavoro e nel medio-lungo periodo
aumentare il loro volume di affari. In quel caso dette imprese saranno in grado
non solo di produrre beni e servizi in un’economia più favorevole, ma
reimmetteranno la liquidità precedentemente acquisita nuovamente nel mercato.
Ciò si traduce in una politica
economica espansiva, finalizzata all’aumentare dell’offerta di moneta attraverso
l’acquisto di titoli di Stato seppure dovessero risultare tossici[3].
Ma in questo caso, comunque, non si dovrebbe temere per l’economia dell’Unione,
in quanto per “titoli tossici” attualmente si indicano tutte le
cartolarizzazioni, anche quelle garantite da asset di prima qualità e che
quindi non inciderebbero sul loro rendimento.
La proposta di Draghi, dunque, implica
un inevitabile incremento dei livelli di debito pubblico, e non la distruzione
della capacità produttiva, quindi il tessuto produttivo e pertanto la base
fiscale. Alternativa che sarebbe molto più dannosa per l’economia perché
inciderebbe sulle imprese e sui singoli contribuenti e non sullo Stato come
collettività.
Dinnanzi a eventi imprevedibili, come
questo, è necessario un riassestamento della politica economica europea, anche
temporaneo, in quanto questi scossoni non sono ciclici e, pertanto, non
destinati a durare nel lungo periodo.
Gli organismi competenti, come la Banca
Centrale Europea e la Commissione europea, dovrebbero fare ricorso al loro
ampio braccio operativo per disporre provvedimenti rapidi e mirati
all’incremento della capacità produttiva dell’Unione, al fine di salvaguardare
il capitale umano e sostenere i sistemi economici locali, adattando le proprie
direttive alle situazioni socio-economiche dei singoli Paesi.
Francesco P. Silvano
4 aprile 2020
[1] L’esplosione della bolla immobiliare si
riferisce alla crisi dei mutui subprime che ha investito gli
Stati Uniti d’America a partire dall’autunno del 2007.
[2] Il quantitative easing o “allentamento
quantitativo” è una modalità non convenzionale attraverso la quale una Banca
centrale interviene sul sistema economico e finanziario di uno Stato al fine di
aumentare la moneta in circolazione (immissione di liquidità); essa si
configura attraverso l’acquisto di titoli di Stato.
[3] Un “titolo tossico” agli albori della crisi subprime,
nell'autunno del 2007, era identificato come il bond di una
cartolarizzazione con una struttura eccessivamente complessa, talmente
complicata, opaca e carente di informazioni pubbliche da renderne la
valutazione difficile e incerta; oggi a causa di una diffusa crisi di
fiducia nel mercato e per paura di
deprezzamenti, per titolo tossico si è passati ad indicare qualsiasi
cartolarizzazione, anche se garantita da asset di prima
qualità
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